Caro amico…non ti scrivo
Il lato poco sostenibile della posta elettronica e dei moderni metodi di comunicazione e connessione digitale.
Se la pandemia da Covid-19 ci ha aperto gli occhi sull’importanza della prevenzione a livello globale e sul fatto che la prossima minaccia che incombe sull’umanità è quella del cambiamento climatico, fatichiamo ancora a capire le reali proporzioni dell’impatto che ciò potrebbe avere sulle nostre vite.
I congressi sul clima terminano con tiepide e poco convinte promesse di intervento e sovente si assiste a un rimpallo di responsabilità su chi sia maggiormente da incolpare per lo stato in cui versa il nostro pianeta, ora l’industria tessile, ora quella dei trasporti, ora l’Occidente, ora la Cina. I singoli spesso demandano ai governi misure e azioni da intraprendere, sostenendo che in assenza di regole ben precise calate dall’alto poco resti all’iniziativa personale dei cittadini, non sforzandosi nemmeno quindi, per il momento, di fare un acquisto in meno su Amazon o di portare in ufficio una borraccia riutilizzabile per l’acqua. I governi, di contro, sono impantanati in burocrazie senza fine e interessi economici difficilmente tralasciabili.
Ad ogni modo tutti, più o meno consciamente, abbiamo interiorizzato che prediligere la macchina al trasporto pubblico, acquistare in modo compulsivo su internet, optare per articoli usa e getta invece che riutilizzabili sia altamente inquinante. Sono cose tangibili, basta guardare il bidone dell’immondizia dopo aver scartato l’ultimo pacco ricevuto dal corriere o scartato una confezione di pomodori imballati nella plastica per rendersene conto. Ma ci sono altre azioni, apparentemente innocue e spesso sconosciute anche ai più virtuosi, che contribuiscono all’emissione di CO2: inviare email e, più in generale, utilizzare in modo prolifico e sconsiderato motori di ricerca, app di messaggistica istantanea, social media e streaming online.
I messaggi che inviamo quotidianamente non sono visibili, spariscono non appena premiamo “invio”, non ce li ritroviamo nella pattumiera di casa alla sera e non hanno l’aspetto e l’odore di un gas di scarico fuligginoso, quindi si è legittimamente portati a pensare che siano innocui. Di diverso parere è però uno studio di Ademe, l’Agenzia francese per l’ambiente e la gestione dell’energia, che nella ricerca “La face cachée du numérique” (Il volto nascosto del digitale) ha tentato di investigare quanto effettivamente inquini, in termini di anidride carbonica, inviare un messaggio di posta elettronica: una mail da 1 megabyte emette circa 19 grammi di CO2, tenendo conto sia del consumo energetico del pc che di quello dei server coinvolti nel traffico. Quando inviamo una email, infatti, la stessa viene copiata circa dieci volte e rimbalzata su vari server prima di arrivare a un destinatario, cosa che ovviamente si moltiplica quando i destinatari sono più di uno e se vengono utilizzati alias contenenti svariati nominativi.
Si è calcolato che un’azienda con 100 dipendenti che inviano in media 33 messaggi di posta al giorno per circa 220 giorni lavorativi all’anno, produca all’incirca 13,6 tonnellate di CO2, equivalenti a 13 viaggi andata e ritorno da Parigi a New York. A questo vanno aggiunti i post sui social media, le migliaia di dati che viaggiano sulle chat, i video che guardiamo e persino le ricerche internet che effettuiamo quotidianamente, tutte cose che vengono fatte attraverso strumenti che necessitano energia per essere ricaricati e, in primo luogo, fabbricati.
Ci è ora evidente che le azioni digitali che intraprendiamo, ignari, ogni giorno, hanno un’impronta ecologica ben definita e per nulla trascurabile. Al momento non ci sono ancora dati solidi che ci possano dire se abbia un maggiore impatto ambientale far spostare le persone per raggiungere l’ufficio o farle rimanere a casa, ma con la pandemia le videoconferenze e le moli di dati che inevitabilmente vengono impiegati per lavorare da remoto sono aumentate a dismisura; e ancora, se è vero che inviare una lettera cartacea è apparentemente più impattante, a livello energetico, che inviare una email, va considerato che però di email ne mandiamo molte di più, e che per farlo avremo sempre più bisogno di strumenti elettronici che andranno spesso cambiati, aggiornati e ricaricati.
Ma allora, che fare? Ritornare ai piccioni viaggiatori, magari? No, l’alternativa è molto più semplice: pensare prima di inviare, o per dirla con le parole dell’ente britannico per la fornitura di energia OVO energy, “Think before you thank”: secondo l’indagine condotta da OVO pare infatti che siano oltre 64 milioni le mail non indispensabili inviate ogni giorno solo dai britannici, ovvero email con scritto unicamente “grazie”, “ok, ricevuto”, “super”, inviate peraltro anche a persone che non serviva affatto le ricevessero.
Ecco, dunque, alcune semplici regole, davvero alla portata di tutti, per un utilizzo più consapevole e sostenibile della posta elettronica e dei dispositivi di comunicazione digitale:
– inviare solo email strettamente necessarie e con un contenuto importante
– non mandare email incomplete che necessiteranno di tutta un’altra serie di comunicazioni posteriori
– inviare solo gli allegati necessari e controllare che ci siano prima di cliccare “invio”
– ove possibile, organizzare un meeting invece di far girare decine di email
– annullare l’iscrizione alle newsletter che non ci interessano più o non abbiamo il tempo di leggere
– cancellare le email non necessarie dalla nostra casella di posta per diminuire i dati contenuti nei server
– usare in modo consapevole e sensato il cc e gli alias contenenti molti nominativi
A proposito di quest’ultimo punto, va considerato che anche ricevere un eccessivo numero di email non è funzionale, al di là dell’impatto ambientale, in termini di disturbo della concentrazione derivante dal continuo ricevere input che ci costringono a leggere, almeno in modo sommario, la comunicazione ricevuta prima di cestinarla definitivamente, correndo al tempo stesso il rischio di perdere, nel marasma di messaggi recapitati, quelli davvero importanti e meritevoli della nostra piena attenzione.