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Come appare il futuro osservato dall’alto? La montagna dopo la pandemia

27 Dicembre 2021

Il racconto di una giornata di incontri pubblici disegnati per esaltare il carattere caleidoscopico delle Terre alte.

Esiste davvero la “montagna”?

La domanda può sembrare a prima vista bizzarra. Se esiste il “mare” come luogo fisico e simbolico, esisterà per forza anche la “montagna”. Ma la montagna, come ripete continuamente chi la conosce bene, ha molte facce e parlare al singolare di “montagna” rischia di ridurre tale complessità a un’immagine da cartolina: troppo bella, troppo piatta, troppo finta.

Lo scorso 11 dicembre, in occasione della Giornata internazionale della montagna 2021, FBK, insieme al Trento Film Festival, ha organizzato tre eventi pensati proprio per esaltare il carattere caleidoscopico delle Terre alte.

La mattina, per cominciare, si è tenuta a Trento una tavola rotonda presso la sala della SOSAT. Il tema dell’evento era la pandemia e il futuro post-pandemico, così come appaiono dall’osservatorio privilegiato delle valli alpine. I relatori – Antonio G. Bortoluzzi (scrittore), Nicola Magrin (illustratore), Roberta Silva (rifugista), Michele Trentini (documentarista) – hanno fatto sia un bilancio dei quasi due anni di emergenza sanitaria sia uno sforzo per mettere sulla bilancia i motivi che inducono a sperare nel futuro e non solo a vigilare sui rischi che stiamo correndo.

L’importanza di aggiungere anche la voce della montagna alla conversazione globale su un evento che, se da un lato ha preso tutti alla sprovvista, dall’altro sembra soltanto la prova generale della vera emergenza globale che incombe sull’umanità – il cambiamento climatico – è emersa con chiarezza ascoltando le parole profonde e pacate di persone che, grazie alla loro familiarità con la fragilità, la solitudine, la libertà e la vocazione comunitaria dei larghi spazi alpini, hanno messo in luce aspetti della pandemia che troppo spesso vengono offuscati dalla gestione quotidiana delle urgenze sanitarie ed economiche.

Questo tentativo di spingersi oltre la superficie ha toccato il suo apice nel pomeriggio, a Levico, dove Nicola Magrin e Antonio G. Bortoluzzi hanno intrecciato un dialogo non rituale sotto l’egida di Lisa Orlandi (La Piccola Libreria) e Riccardo Bosco (Ristorante Boivin).

Partendo dal fumetto – la forma forse più ancestrale di letteratura – lo scrittore e l’illustratore sono riusciti a mostrare con semplicità come la ricerca dell’essenziale in montagna possa percorrere strade diverse, ma alla fine convergenti: la via stretta della memoria, nel caso di Bortoluzzi, e quella senza confini dell’esplorazione artistica e spirituale intrapresa da Magrin.

La Giornata si è chiusa, infine, con la proiezione serale del documentario “La casa rossa”: un film ambientato nella Groenlandia orientale che racconta la straordinaria impresa umanitaria dell’esploratore altoatesino Robert Peroni alle prese con la crisi irreversibile della forma di vita nomade degli Inuit.

Come si sopravvive a un mondo che va in frantumi, dove intere comunità sono state costrette a tagliare i ponti con un passato millenario nel giro di pochi decenni? Su quali risorse può fare leva la speranza nel mezzo della catastrofe?

Peroni, che era presente in sala, ha spiegato agli spettatori come la sua passione per l’avventura geografica abbia lasciato spazio con gli anni al gusto per l’avventura umana e ha raccontato con parole semplici come la ricchezza spirituale della montagna lo abbia aiutato ad affrontare la complessità di una società ormai priva di qualsiasi bussola sociale, culturale, religiosa.

La montagna dai mille volti – è questa la grande lezione impartita da tutti e tre gli eventi organizzati da FBK insieme al Trento Film Festival – è un ambiente fisico e culturale risonante, che può cambiare la gente nel profondo facendo lavorare insieme testa e cuore.

Questa capacità di scavare dentro le persone, facendole vibrare insieme alle rocce, i boschi, i torrenti alpini è stata rappresentata vividamente nel cortometraggio in ladino “Monologhes”, realizzato da Andrea Franceschini (FBK) in collaborazione con l’Istituto Ladino di Fassa e proiettato alla fine della tavola rotonda.

La tensione cinematografica tra i volti, i pensieri e il contesto di vita dei protagonisti del documentario ha permesso al pubblico che affollava la sala della SOSAT di toccare con mano la dimensione corale e la profondità della voce che arriva dalle Terre alte e capire perché sia essenziale fare spazio anche alla montagna nella discussione pubblica sulle sfide globali con cui l’umanità è destinata a misurarsi nei prossimi decenni.


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