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Cosa sappiamo e cosa no di Covid-19?

25 Giugno 2020

Una master class finale per fare il punto sulle acquisizioni mediche e scientifiche attualmente disponibili sul SARS-CoV2

Si è concluso con una master class degna di nota il ciclo di lezioni dedicato al Covid-19, organizzato dall’Ordine dei Medici di Trento e FBK per la Salute, per offrire strumenti di conoscenza sulla pandemia ai professionisti sanitari del Trentino.

Protagonista è stato Sergio Harari, medico che dal gennaio 2020 ha preso la direzione dell’U.O. di Pneumologia, Servizio di Emodinamica polmonare e Fisiopatologia Respiratoria e Unità di Terapia semi-intensiva Respiratoria dell’Ospedale San Giuseppe di Milano e che si è quindi ritrovato a combattere in prima linea durante i mesi di punta dell’epidemia di SARS-CoV2. Sono cambiati, lui e i suoi colleghi: non sono più gli stessi medici che, a fine febbraio, hanno indossato le pesanti tute protettive e hanno preso servizio nell’unità polmonare riconvertita a reparto Covid-19, nella regione più flagellata d’Italia. Fra di loro, non solo pneumologi ma anche altri specialisti e infermieri che, nell’emergenza, si sono rimboccati le maniche e hanno necessariamente espanso le loro competenze, imparato nuove routine di cura e si sono messi a disposizione per combattere il virus sconosciuto.

Hanno perso un terzo dei pazienti ricoverati nel giro di una manciata di settimane e questo ha inevitabilmente pesato sulla loro storia professionale ma anche, e non di meno, su quella emotiva e personale.

Ma come si cura una patologia sconosciuta, che condivide alcuni sintomi con una banale influenza stagionale ma che si rivela, soprattutto in taluni soggetti, molto più subdola e letale?

Inizialmente, i pazienti sono stati trattati con antiretrovirali come il ritonavir, che però non sono risultati particolarmente efficaci, e con idrossiclorochina, il farmaco tanto inneggiato dal tycoon d’oltreoceano che è stato presto scartato perché gli effetti collaterali prodotti erano maggiori dei benefici apportati.

I risultati più consistenti sono stati invece raggiunti con i farmaci cortisonici, steroidei e con l’eparina, somministrati per combattere l’ormai nota tempesta citochimica, caratterizzata dalla produzione, da parte delle cellule del sistema immunitario, di sostanze infiammatorie (citochine) dagli effetti devastanti sul polmone e altri organi. È stato impiegato anche il farmaco immunosoppressore Tocilizumab, solitamente usato nei pazienti affetti da artrite reumatoide, che però – spiega Harari – è efficace solo se somministrato prima che il malato raggiunga la fase più critica dell’intubazione.

Ora che siamo usciti dalla fase di picco e che le terapie intensive si sono finalmente svuotate, è tempo di definire un protocollo di cura ma, sottolinea ancora Harari, oltre a non esistere ancora un antidoto al Covid-19, non esiste nemmeno una terapia scientificamente approvata e consolidata, a causa sia dell’estrema mutevolezza comportamentale del virus in questione, sia del fatto che rimangono ancora molti punti oscuri su questa pandemia che ricorda, a tratti, quelle dei secoli scorsi. Ad esempio, non è ben chiaro come mai il virus sia letale in alcuni pazienti mentre altri risultano del tutto asintomatici. Anche l’età degli infetti è risultata altalenante: sebbene la maggior parte di essi, e purtroppo anche dei deceduti, fosse in età senile, il 20% dei ricoverati al San Giuseppe era sotto i 50 anni, molti dei quali senza patologie pregresse: non si può quindi dire che sia una sindrome che colpisce solo le persone anziane o già ammalate. Sono stati evidenziati il tabagismo e l’ipertensione arteriosa – tipica sia dei soggetti anziani che di quelli in sovrappeso – come fattori di rischio, così come la comorbidità, ovvero la compresenza di altre patologie, ma rimane comunque difficile definire un quadro esaustivo.

Rispetto ai mesi passati, inoltre, i nuovi infetti da SARS-CoV2 presentano polmonite interstiziale in minor numero, cosa le cui cause rimangono da vagliare.

Anche la diversa diffusione per aree geografiche è una zona grigia: il virus, infatti, si è sviluppato maggiormente nelle regioni dell’Italia settentrionale (Lombardia e Pianura Padana in testa) ma anche diversamente in alcuni stati europei (Italia, Spagna, Francia) piuttosto che in altri (Germania), stando ai dati finora disponibili. L’inquinamento atmosferico è stato additato come una delle potenziali cause di una maggiore virulenza, ma non ci sono ancora avvalli scientifici in merito.

Permangono, insomma, ancora molti punti oscuri, che sarà possibile chiarire probabilmente a distanza di tempo ma anche studiando le epidemie che hanno precedentemente afflitto le popolazioni su larga scala, come ad esempio quella di peste del XVII secolo o di febbre spagnola di inizi ‘900, sebbene anche su queste gli studiosi non sono ancora riusciti a capire tutto.

Quello che è certo è che sarà determinante individuare, arginare e soffocare sul nascere eventuali nuovi focolai di SARS-CoV2, grazie anche al prezioso aiuto dei medici di base, che dovranno fungere da “sentinelle territoriali” per i pazienti in cura presso i loro ambulatori. Nell’emergenza dei mesi scorsi, la necessità di far rimanere a casa alcuni infetti per non sovraccaricare le strutture ospedaliere già in sofferenza, si è rivelata una strategia necessaria e contingente ma rischiosa: una delle cose che abbiamo imparato sul SARS-Cov2, infatti, è proprio l’importanza di prestare ai contagiati cure immediate e tempestive, per evitare l’insorgere di complicanze che possono causare seri problemi nel decorso della malattia.


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