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COVID-19 e la comunicazione digitale nel mondo clinico

28 Settembre 2020

La pandemia ha evidenziato sia i lati positivi sia i lati problematici di una rivoluzione che coinvolge gli aspetti relazionali.

Monica Consolandi è stata invitata a discutere il tema “Toward a Digitized Medicine: The COVID-19 Pandemic as a Disclosure of the Importance of Communication in the Clinical World“ all’interno della “10th annual Western Michigan University Medical Humanities Conference”, che si è tenuta online il 25 settembre 2020.

Al centro della conferenza temi quali etica clinica, storia della medicina, antropologia medica, approcci religiosi alla salute, narrazioni della salute, educazione sanitaria, prospettive di benessere. Coerentemente con la Mission del Centro per le Scienze religiose FBK, Monica Consolandi ha presentato la propria ricerca sulla comunicazione tra operatori sanitari, pazienti e famiglie in tempo di Covid19. Una comunicazione mediata dalla tecnologia, ma che ha una base umana profonda ed irrinunciabile. Ecco la sintesi delle sue conclusioni.

L’importanza della comunicazione tra l’équipe medica, i pazienti e le loro famiglie è una dimensione che non deve essere dimenticata neanche quando mediata e supportata da strumenti tecnologici. È un dato di fatto che il mondo medico sta affrontando modificazioni interne in direzione della digitalizzazione.

Partendo da un livello base con i registri elettronici, le app per aiutare il paziente a seguire i trattamenti, la telemedicina, arrivando ad un livello più complesso con l’uso dell’IA nei processi decisionali, la medicina sta cambiando, in linea con la quarta rivoluzione industriale. In realtà, questa trasformazione verso la digitalizzazione è iniziata già prima, con l’introduzione di strumenti elettronici avanzati come ad esempio TAC, raggi X, radiazioni UV. Qual è dunque la differenza tra questo tipo di strumenti e i recenti miglioramenti, tale da innescare un acceso dibattito? Le innovazioni più recenti riguardano la relazione medica in sé, mentre le altre sono esclusivamente di supporto.

A causa della sua natura emergenziale, la pandemia COVID-19 ha interrotto violentemente il processo lineare di digitalizzazione, evidenziando sia i lati positivi sia i lati problematici di una rivoluzione che coinvolge gli aspetti relazionali. Nella fase più grave dell’epidemia, è stato vietato a chiunque di fare visita ai pazienti, con l’unica eccezione degli operatori sanitari; le famiglie si sono così trovate separate dai loro cari. Le nuove tecnologie di comunicazione sono venute in aiuto: utilizzando tablet, smartphone e app per videochiamate, lo sforzo di tenere in contatto le famiglie ha avuto successo.

Ancora una volta, gli strumenti digitali si sono rivelati essenziali. La comunicazione tra operatori sanitari e famiglie, tuttavia, è stata più complicata da gestire a causa della sua finalità informativa, completamente diversa da quella conversazionale della relazione pazienti-famiglie. Quasi ogni giorno, medici e infermieri dedicavano una sessione informativa virtuale alle famiglie dei pazienti: è stata una sfida per entrambe le parti, un momento comunicativo attraverso la linea telefonica spogliato della sua pragmatica, che si affidava esclusivamente alla semantica. Leggermente diverso è stato per le visite mediche virtuali: hanno permesso ai medici di prendersi cura dei propri pazienti a distanza, ma non senza difficoltà relazionali nella gestione di questo nuovo modo di comunicare.

Questi due casi  rivelano l’utilità delle nuove tecnologie ma anche i loro limiti: c’è una componente umana nella relazione medica che non può essere accantonata e deve essere sempre presente. Questa componente è la dimensione comunicativa della relazione: la relazione medica non è solo clinica, ma anche ed essenzialmente umana, e deve prestare attenzione al lato comunicativo di un processo che speriamo non sarà mai completamente automatizzato, ma sempre, almeno in parte, basato sull’umanità dei parlanti.


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