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Inci Temel, una ricercatrice sulle tracce del tatto

13 Novembre 2020

Sono molte le sfide che devono affrontare gli scienziati all'inizio della loro carriera. In questo post conosciamo una giovane dottoranda che punta a ridare il senso del tatto a chi non lo ha più

Inci è una studentessa parigina di 26 anni. Si è laureata in Biologia ed ha ottenuto un master in Ingegneria delle Tecnologie sulla Salute all’Università di Montpellier. È arrivata da poco in FBK con una borsa “Marie Curie”, e nel breve tempo che ha vissuto a Trento è rimasta molto colpita dalle montagne e dalla tranquillità della città. E su quest’ultimo punto non possiamo darle torto visto che, al contrario di come è abituata, qui ha a che fare con un paio di milioni di persone in meno e con un traffico notevolmente ridotto dalla pandemia.

E tutta questa tranquillità si concilia bene col tuo lavoro di ricerca?
A dire il vero essendo al primo anno di PhD e avendo ancora molte cose da studiare posso proprio dire di sì. Poi lavorando spesso da casa – causa pandemia – ho anche meno distrazioni e riesco a stare più tempo concentrata. Certo è che mi manca molto la socialità. Riesco a trovarmi nei weekend con i miei nuovi colleghi di FBK, ma manca un po’ il “caffé” quotidiano, quello dove si parla di più e del meno.

Come sei arrivata qui in FBK?
Ho fatto richiesta di borsa di studio per un progetto europeo che era nelle mie corde, così, senza troppa convinzione di poter essere presa. E invece, due giorni prima del lockdown, ho avuto la risposta positiva e non potevo crederci! 

Di che progetto si tratta?
Si chiama INTUITIVE e ha l’obiettivo di scoprire come si possa ricreare il senso del tatto attraverso delle protesi e, allo stesso tempo, di portare dei miglioramenti nell’ambito della robotica e dello sviluppo di nuove tecnologie. Il mio ruolo, in particolare, è quello di sviluppare un sensore in grado di fornire sensazioni tattili a chi non ha più la possibilità di averne. Io quindi lavoro sulla parte hardware del progetto, mentre altri colleghi cercano di comprendere meglio come viaggiano le informazioni tra gli arti e il cervello, e quindi come si possa ricreare il senso del tatto.

È davvero così importante il senso del tatto, non basta la connessione dei muscoli per muovere un arto artificiale?
Sì potrebbe bastare, ma prova a pensare a quando ti si ghiaccia la mano e non riesci più ad usarla. Quella sensazione non è collegata al congelamento muscolare, bensì all’assenza del tatto. Questo è quindi un grosso limite delle protesi dei giorni nostri. Chiaramente è un grande passo in avanti averle e poterle usare, ma poter ridare anche il tatto a chi ha perso un arto sarebbe un salto in avanti nella qualità delle loro vite.

Qual è lo stato dell’arte di questo campo di ricerca?
È un ambito piuttosto recente e quindi è anche molto complicato trovare la strada giusta perché il campo è davvero aperto e le possibilità di scelta su quale strada prendere sono molte.

Tu hai studiato biologia e ingegneria, non sono due mondi separati?
Effettivamente il più delle volte gli ingegneri non capiscono i biologi e viceversa. Il mio obiettivo era quindi quello di studiare entrambi i campi così da poter essere un ponte tra le due discipline. Certo questo comporta lo svantaggio di non essere troppo esperto in nessuno dei due, però ho la facilitazione di non dover aprire i libri da zero in entrambe le materie. In questo modo ho le basi per imparare facilmente cose nuove. A questo proposito il progetto di cui faccio parte è un esempio perfetto di come più discipline abbiano la necessità di coesistere e di quanto servano persone con competenze trasversali per facilitare il raggiungimento degli obiettivi.

Com’è stato il passaggio da Parigi a Trento?
Sono arrivata qui ad agosto e posso già dire che adoro il Trentino! Mi piacciono molto le montagne, la natura, la possibilità di fare lunghe passeggiate. A Parigi la gente è sempre di corsa, compra cibi già pronti da scaldare… qui c’è addirittura gente che si coltiva il cibo che mangia! A Parigi non c’è proprio questa abitudine, tantomeno quella di comprare prodotti locali.

L’avvento del coronavirus ha cambiato il tuo modo di vivere?
Sì è cambiato completamente a partire dal lockdown. Prima vivevo coi miei genitori a Parigi ed era bello avere qualcuno in casa, ma chiaramente c’erano anche situazioni di conflitto. Ora mi trovo qui da sola e con il fatto che si lavora molto da remoto ho a che fare con il problema contrario. Il vantaggio attuale è che ho il tempo di leggere un sacco di cose utili al mio lavoro, di concentrarmi meglio. 

Manca la socialità in buona sostanza.
Certo ci sono sempre i meeting con il mio supervisore (Leandro Lorenzelli del Centro Materiali e Microsistemi di FBK, ndr) e coi colleghi di progetto, ma manca un po’ il tempo di parlare del più e del meno. Credo sia una cosa che a lungo termine non possa funzionare, perché anche nel lavoro molte delle idee nascono proprio da conversazioni casuali, fuori contesto.

Ti vedi ricercatrice anche in futuro?
In verità prendo un po’ le cose come vengono e ho avuto diversi cambi di percorso fino ad oggi. Quello che vedo ora è che questo mondo mi piace, sarà anche per l’entusiasmo dell’inizio e perché ho molto da imparare, ma come biologa mi sono accorta che questo settore ha bisogno di nuovi strumenti tecnologici per poter fare un passo avanti e credo di poter essere utile in questo. E poi mi piace l’idea di poter aiutare le persone nell’ambito della salute.

E hai anche capito il perché vorresti continuare con questo percorso?
Per me la ricerca è la cosa più interessante che ci possa essere: capire come è fatto il mondo e come sono fatte le persone. Ho un sacco di domande e quindi voglio continuare a cercare le risposte!

 


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