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Le cose speciali che ci regala l’Universo

4 Luglio 2022

L'astrofisica Sibylle Anderl ospite del MUSE di Trento

Non ci badiamo più di tanto perché è un po’ come l’aria che respiriamo, ma la conoscenza è davvero qualcosa di speciale. Quando mettiamo bene a fuoco un fenomeno ignoto o rendiamo meno scontata un’esperienza solo apparentemente familiare è come se avessimo accesso a uno spazio nuovo e l’effetto che ci fa entrare in questo luogo immateriale è simile allo stupore che ci coglie in montagna quando, dopo una lunga camminata nel bosco, ci si spalanca davanti agli occhi una radura, un lago o un picco innevato. A quel punto i sensi si ravvivano tutti insieme, i polmoni si dilatano e le energie si moltiplicano improvvisamente.

Da questo punto di vista, non esiste forse scienza più speciale dell’astrofisica. Visto il carattere sbalorditivo, spesso sconcertante, del suo campo di studio, non sorprende che la descrizione del movimento degli astri e la presa d’atto delle strabilianti dimensioni del cosmo e delle forze all’opera in esso siano state il terreno su cui ha preso forma e si è imposta all’attenzione popolare la Rivoluzione scientifica moderna. Cose come le galassie, i buchi neri, il Big Bang, l’espansione continua dell’universo, stelle che nascono e muoiono, radiazioni cosmiche impercettibili, ma anche il riferimento costante a forze colossali, distanze siderali e coordinate temporali sconfinate, fanno sbarrare gli occhi a chiunque e mettono a dura prova non solo il senso comune, ma anche la capacità di chi se ne occupa professionalmente di dare compiutamente senso al proprio lavoro.

Nel suo bel libro L’universo e io (Solferino, Milano 2018), l’astrofisica tedesca Sibylle Anderl ha dato voce a questo stato d’animo spiegando anzitutto a sé stessa e poi ai suoi lettori per quale motivo la sua disciplina è allo stesso tempo speciale e ordinaria, avventurosa, ma anche del tutto conforme agli standard di razionalità che guidano le investigazioni delle scienze naturali dai tempi di Bacone e Galileo.

Esiste, tuttavia, un altro aspetto della natura conoscitivamente “speciale” dell’astronomia che è colto con precisione nel titolo del libro di Anderl. La congiunzione che lega l’universo e l’io richiama infatti l’attenzione sull’importanza che il cielo, e la relazione con il cielo, ha sempre avuto per la nostra specie. Alla fine, è soprattutto di questo tema che si è parlato in occasione dell’evento organizzato dal MUSE di Trento il 14 giugno 2022 .

Anche prescindendo dalla simbologia religiosa, non serve un grande sforzo per rendersi conto che la volta celeste ha rappresentato nel corso dei millenni una mappa o uno specchio in cui le persone più sensibili, o quelle con l’immaginazione più fervida, sono andate alla ricerca della soluzione degli enigmi dell’esistenza o di una possibile consolazione per le sue infinite pene: un riflesso incerto della stabilità, armonia, incorruttibilità o delle figurazioni suggestive (costellazioni, presagi, leggi) che per secoli gli esseri umani hanno rintracciato o creduto di rintracciare nel firmamento.

Il cielo, prima di tutto, è infatti lo sfondo senza fondo che rende ancora più stupefacente l’impressione che suscita in noi il fatto di poterne fare esperienza, che esista cioè uno spazio sui generis – il pensiero – in cui ogni cosa è simultaneamente presente e collegata da nessi invisibili.

Anche se è vero che di norma dalle brave scienziate (o scienziati) si pretendono solo informazioni affidabili, evidenze inoppugnabili, teorie sofisticate, spiegazioni senza fronzoli, in due parole conoscenza rigorosa e non il tipo di saggezza che si traeva un tempo dalla contemplazione dei cieli, Sibylle Anderl ha nondimeno accettato volentieri la sfida e si è chiesta se non esista un modo per rendere la conoscenza scientifica una forma di sapienza un po’ più vicina al capire attraverso il patire, il sapere come essere toccati personalmente, di cui si parla in un celebre Coro dell’Agamennone di Eschilo. La rinuncia alla saggezza è veramente il prezzo inevitabile che bisogna pagare per il progresso della conoscenza? Oppure anche chi si occupa oggi con il dovuto distacco di fenomeni astrofisici può fare tesoro di quello che il filosofo agrigentino Empedocle ha sostenuto duemilacinquecento anni fa e cioè che per gli esseri umani “il sangue che circonda il cuore è il pensiero”?

Dall’attenzione che Sibylle Anderl dedica alle sottigliezze che caratterizzano le indagini astronomiche sembra di poter desumere che anche lei dal cielo, di tanto in tanto, si aspetta un pizzico di saggezza e che nei rompicapi epistemici generati dagli sforzi necessari per conoscere un universo smisurato da un suo minuscolo, eppure significativo, cantuccio ha trovato una fonte non solo di conoscenza, ma di perspicacia, persino di sapienza.

Basta forse questo, allora, per tornare a chiedersi senza imbarazzo se lo studio dell’universo non possa renderci un po’ più saggi e magari addirittura spingerci a stipulare una nuova alleanza con la natura che, se non proprio su una forma di rispecchiamento, faccia almeno leva su una varietà enigmatica di risonanza. La speranza, in fondo, è sempre la stessa: che da questo rinnovato sforzo di pensiero scaturiscano le motivazioni e l’intelligenza per cambiare le nostre vite in meglio.

 


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