For a Human-Centered AI

Nuovi alleati nella lotta contro le organizzazioni mafiose. Metodi analitici e machine learning al servizio della giustizia.

24 Gennaio 2023

Numerosi traguardi sono stati raggiunti nel campo della legislazione antimafia, a partire dalla legge Rognoni-La Torre (1982), che punisce il reato di associazione mafiosa riconoscendone le peculiarità e le differenze rispetto alla semplice associazione a delinquere, per arrivare alla legge 109/96, che stabilisce il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. E poi, ancora, l’istituzione di organi specializzati come la direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA) e successivamente la convenzione ONU di Palermo (2000), il primo strumento legislativo mondiale contro la criminalità organizzata transnazionale. Di più recente sviluppo sono, invece, alcuni strumenti meno tradizionali che si propongono di applicare metodi analitici e tecniche di machine learning in fase investigativa.

Ci sono feudi da difendere e contadini da ricattare. Ci sono grandi proprietari terrieri e commercianti che sanno a chi devono rispondere. E poi ci sono politici in cerca di voti, infrastrutture da realizzare e case da costruire. È il neonato Regno d’Italia, e in Sicilia esiste, per dirla con le parole dei meridionalisti nonché parlamentari Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, un “sistema sociale extra legale” che “la massa della popolazione ammette, riconosce e giustifica […]; sicché, per chi volesse mettersi dalla parte della legge, si aggiunge al timore delle vendette quello della disapprovazione pubblica, cioè del disonore”. Esiste, insomma, una vera e propria organizzazione che, pochi anni dopo, avremmo iniziato a chiamare con il suo nome proprio: Cosa Nostra. Si trova, al contrario, in uno stato ancora embrionale la ‘ndrangheta, che solo dopo il 1991 raggiungerà un equilibrio interno e saprà sfruttare le favorevoli condizioni esterne per affermarsi come principale organizzazione criminale italiana, prima, e globale, poi.

Quello mafioso è, dunque, un fenomeno sociale profondamente radicato nella storia italiana, le cui origini risalgono al periodo pre-risorgimentale e che è stato in grado di sopravvivere ai radicali mutamenti sociali ed economici susseguitisi nel tempo, dal latifondo al boom economico, dal secondo dopoguerra agli anni di piombo, fino ad arrivare alle emergenze ancora in corso: quella pandemica e quella bellica. È evidente che tale sopravvivenza non sarebbe stata possibile se le organizzazioni mafiose, la ‘ndrangheta in primis, non avessero dimostrato una formidabile capacità di adattamento al contesto sociale in cui sono nate e proliferate: senza mai rinnegare le proprie origini e la propria essenza, esse hanno saputo infiltrarsi nel tessuto economico legale, ricorrendo alla violenza solo quando strettamente necessario.

È chiaro, pertanto, che questa duttilità necessiti di un altrettanto dinamica capacità di reazione da parte delle forze dell’ordine, dell’apparato giuridico ma anche della società nel suo complesso. Numerosi traguardi sono stati raggiunti nel campo della legislazione antimafia, a partire dalla legge Rognoni-La Torre (1982), che punisce il reato di associazione mafiosa riconoscendone le peculiarità e le differenze rispetto alla semplice associazione a delinquere, per arrivare alla legge 109/96, che stabilisce il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. E poi, ancora, l’istituzione di organi specializzati come la direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA) e successivamente la convenzione ONU di Palermo (2000), il primo strumento legislativo mondiale contro la criminalità organizzata transnazionale.

Di più recente sviluppo sono, invece, alcuni strumenti meno tradizionali che si propongono di applicare metodi analitici e tecniche di machine learning in fase investigativa. Si tratta di un software di analisi dei dati che punta ad automatizzare il processo di identificazione di schemi ricorrenti nelle modalità di azione dei clan ‘ndranghetisti, accelerando, così, le indagini. Lo sviluppo di questo strumento è inserito all’interno del più ampio progetto I-can, Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta, a cui attualmente aderiscono Australia, Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Stati Uniti e Uruguay. Il ruolo dell’Italia all’interno di I-Can è fondamentale, dato che è proprio il Dipartimento della Pubblica Sicurezza italiano a finanziarlo, il che fa del nostro Paese, ancora una volta, un’apripista nel campo della lotta alla criminalità organizzata. Va detto, per chiarezza, che l’autonomia di questo software non sarebbe assoluta, poiché la fase di raccolta di informazioni, documenti, video e quant’altro rimarrebbe inderogabilmente nelle mani degli investigatori e della loro imprescindibile conoscenza del fenomeno mafioso.

Un altro interessante strumento di cui le forze dell’ordine potrebbero servirsi in futuro per districarsi all’interno della complessa struttura organizzativa delle locali di ‘ndrangheta – con il termine “locale” ci si riferisce all’unità territoriale di ‘ndrangheta che coordina le cellule di base, dette ‘ndrine – è quello recentemente applicato nell’ambito di un progetto di ricerca italo-americano capitanato dall’Università Bocconi. Si tratta del cosiddetto extended stochastic block model (esbm), un algoritmo che, applicato allo studio di network criminali, permetterebbe di assegnare a ciascun nodo il ruolo che più gli si addice. Ciò consentirebbe agli investigatori di individuare più facilmente gli attori criminali che rivestono ruoli rilevanti all’interno dell’organizzazione, dando un ordine sistematico alle caotiche informazioni derivanti da intercettazioni e meeting riservati.

In sintesi, alle capacità di sopravvivenza e proliferazione che caratterizzano le organizzazioni criminali di stampo mafioso è necessario contrapporre strumenti di investigazione e prevenzione che siano sempre più raffinati e sofisticati, le cui radici non possono che affondare in un terreno fatto di conoscenza e competenza. Se è vero, infatti, che la mafia “è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine”, è altrettanto vero che “bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

Logo Vulcano_colour_small


Autore/i