For a Human-Centered AI

Risparmiare 15 miliardi di euro attraverso la sanità 4.0

19 Dicembre 2018

Una proposta per il Governo e per tutti i governatori delle regioni quella lanciata dalla redazione di "Report" (Rai3) nella puntata andata in onda lunedì 17 dicembre 2018 dal titolo “Sanità 4.0”

L’avatar di un medico che ci risponde 24 ore su 24, sistemi per seguire da remoto l’evoluzione di ogni patologia, dalle cardiopatie all’asma, al diabete, fino alle malattie neurodegenerative. Questi i temi della trasmissione che ha indagato le nuove frontiere della sanità. Michele Buono, autore dell’inchiesta, ha attraversato con la troupe di Rai3 i confini italiani, fino in Germania e poi l’oceano fino a Los Angeles, Los Altos, Stanford e San Francisco, ha fatto tappa in Israele a Tel Aviv, infilandosi nei laboratori di università, centri di ricerca, ospedali, start-up e case dei pazienti che sperimentano dispositivi per il monitoraggio remoto, per raccontare quello che si fa all’estero, ma anche le eccellenze a casa nostra, in Italia. Dall’ospedale San Camillo Forlanini di Roma, al Politecnico di Milano, all’IIT di Genova, fino a Salerno, nel palazzo dell’Innovazione dove ha sede Healthware di Roberto Ascione, la troupe di Report è arrivata anche in Trentino, dove sono stati intervistati il direttore generale dell’Azienda sanitaria per i servizi sanitari Paolo Bordon e il direttore del Centro ICT della Fondazione Bruno Kessler di TrentoPaolo Traverso.

Nell’inchiesta, visibile a questo link su RaiPlay (dal 35esimo minuto circa), la tappa trentina parte da Rovereto, in casa di una ex insegnate in pensione, la signora Franca. “Adesso” – racconta Michele Buono nel servizio – “è vedova e deve badare un po’ all’asma, al diabete e tenere sotto controllo la pressione. L’Azienda sanitaria deve badare ai servizi sul territorio”.  “Il nostro lavoro” – ha detto Paolo Bordon – “è di immaginare la popolazione che dovremmo servire nei prossimi anni”. Fin qui è un buon proposito, non c’è che dire, dice Buono. “Quindi noi abbiamo un target preciso” – continua nell’intervista Bordon – “che è quello del settore dei cronici e cambiare i nostri modelli per avvicinarci al paziente, dando risposte più efficaci e più veloci con le tecnologie che oggi abbiamo a disposizione”.

“Dare risposte più efficaci e più veloci” – dice Buono – è nel repertorio di un direttore generale. Non è di repertorio che l’abbia fatto veramente. Costruito il piano, l’Azienda si è rivolta alla Fondazione Bruno Kessler di Trento, un istituto di ricerca. “Voi che avete fatto?” – chiede l’intervistatore a Paolo Traverso, direttore del centro IT. “Noi prendiamo le nostre tecnologie, costruiamo il sistema giusto, costruiamo tutte le tecniche di interazione tra il paziente e il sistema”.

Buono mostra ai telespettatori le immagini di TreC, la Cartella Clinica del Cittadino: basta un’applicazione e possono accedere sia i cittadini che il personale sanitario. “Questo archivio centralizzato dei referti” – spiega Ettore Turra, direttore del dipartimento tecnologie APSS di Trento – “contiene circa 90 milioni di informazioni, di referti, di documenti clinici. Pensate che ogni giorno questo archivio riceve 100 mila chiamate, non solo da parte dei cittadini, ma anche da parte degli altri sistemi, come il sistema domiciliare”.

 In questo modo è possibile per i cittadini della provincia di Trento, come la signora Franca, farsi curare restando a casa, racconta Buono. Le telecamere di Report tornano nell’abitazione di Rovereto, dove Paola Leonardelli, infermiera Cure domiciliari APSS, controlla la paziente e memorizza i dati della pressione sul tablet. Non è un’assistenza domiciliare tradizionale: “Questi dati sono in rete” – dice l’infermiera – “e anche il medico del distretto li può vedere. Rimangono a disposizione in una logica di continuità assistenziale”. Quando i dati sono condivisi in un sistema digitale – afferma Buono – può nascere un ospedale diffuso sul territorio, casa per casa. È un vantaggio per il cittadino e per il sistema sanitario. Dati, persone, applicazioni, intelligenza artificiale, cure mediche. La sintesi è un nuovo modello di sanità e di ospedale.

La  parentesi sulla sanità trentina, che l’autore inserisce verso la fine dell’inchiesta, chiude il primo atto in cui le telecamere ci hanno accompagnato, con continui rimandi, da una parte all’altra del globo, raccogliendo esperienze, dichiarazioni ed esempi virtuosi dalla voce dei protagonisti di questa affascinante immersione nella “Sanità4.0” curata da ReportEcco la provocazione che ha dato l’incipit all’inchiesta, attraverso le parole di Sigfrido Ranucci, conduttore della trasmissione: “Immaginare una sanità che funzioni come la rete aerea internazionale, ottimizzare le cure, evitare gli sprechi.

E poi che cosa c’è di più rassicurante che sapere che i nostri cari sono monitorati quotidianamente, magari anche quando vanno in vacanza. E invece pochi giorni fa sono usciti i dati del Tribunale del malato –  la onlus che tutela i diritti dei pazienti – e la fotografia che ne esce del sistema sanitario nazionale non è certo lusinghiera. I dati si riferiscono al 2017 e secondo questi dati un cittadino su 3 ha avuto difficoltà ad accedere al servizio sanitario nazionale. Un dato che purtroppo è in aumento rispetto al 2016. Questo è dovuto al costo dei ticket, al costo dei farmaci, ma per il 56% dei cittadini anche per i tempi lunghi delle liste d’attesa (si parla di 15 mesi per una semplice cataratta, 13 per la mammografia, 12 per una risonanza magnetica, 10 per una TAC). Il 15% poi dei cittadini segnala anche la difficoltà di avere accesso all’assistenza dei medici di famiglia, dei pediatri e delle guardie mediche, anche e soprattutto per i limiti di orario. Poi un terzo dei cittadini segnala anche che c’è poca informazione e tanta burocrazia per l’accesso all’assistenza domiciliare: il 14% dice “guardate non ce n’è proprio sul nostro territorio”. Parlare di prevenzione in un contesto del genere, se il quadro è questo… Ma il paradosso qual è? Che il nostro Ministero della Salute un piano nazionale per la digitalizzazione ce l’ha e investe oltre un miliardo di euro ogni anno, ma le regioni non parlano tra loro, manca una regia comune. Ed è un peccato perché noi le eccellenze ce le abbiamo e sono anche purtroppo frammentate sul territorio”.

“Quasi vent’anni fa realizzavano soltanto tecnologia impiantabile, come peace maker, valvole cateteri” – spiega Paul Yock, direttore del Byers Center for Biodesign dell’Università di Stanford. “Adesso creiamo dispositivi connessi a

 Internet in grado di svolgere anche l’analisi dei dati”. “Interrogare a distanza i dispositivi ogni giorno” – racconta Leslie A. Saxon, cardiologa dell’Università Sud California di Los Angeles – “invece di visitare i pazienti solo qualche volta l’anno è una grande opportunità. Come fu quella degli antibiotici”. “Un farmaco digitale” – dice Andrew Thompson, cofondatore e amministratore delegato Proteus – “è un medicinale che una volta ingerito può comunicare con uno smartphone e trasferire informazioni”. “Ed è qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale per mettere ordine tra milioni di dati” – specifica Todd Richmond, dell’Istituto tecnologie creative dell’Università Sud California di Los Angeles.

“Immaginate che i nostri anziani, un po’ acciaccati” – ha esordito nel lancio dell’inchiesta sulla “Sanità4.0” Sigfrido Ranucci – “possano ingerire una pillola con dei sensori che faccia un check-up costante e se c’è qualcosa che non va lanci degli allarmi ai parenti o ai medici. Immaginate un futuro dove non ci sono file negli studi dei medici di famiglia perché le visite possono essere fatte attraverso la telemedicina e le prescrizioni viaggiare via cloud e possono essere lette in tutte le farmacie d’Italia. Immaginate un futuro dove non ci sono file nel pronto soccorso, né nelle sale d’attesa delle visite specialistiche convenzionate, perché possono essere monitorate da lontano cardiopatie, allergie, ipertensione, diabete. Possono essere controllate anche le evoluzioni di alcune malattie degenerative neurologiche, oppure gli esiti di un’operazione chirurgica. Immaginate anche che ci siano dei malati oncologici, spesso sperduti, che possano consultare un database dove trovare un paziente che ha avuto la loro stessa patologia e che ce l’abbia fatta e scegliere le cure migliori, scegliere magari anche di essere operati da un robot che usa un laser come bisturi, guidato dalla mano di un chirurgo, il migliore che c’è, dall’altra parte di un continente. Ecco sembra un’utopia, ma la bella notizia è che tutto questo esiste già. Basta solo abbattere i muri della sanità che ci sono in questo momento, creare una rete. Abbiamo le competenze, abbiamo le tecnologie. Le parole magiche sono medicina predittiva, ospedale intelligente“.

“Spesso si scopre che” – interviene Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova – “due soggetti completamente diversi, con storie completamente diverse possano avere patologie simili o mutazione simili. A questo punto, tutte queste informazioni tornano al medico, il quale trova correlazioni, ha dei risultati che ad occhio o per esperienza non avrebbe trovato, perché ci voleva troppo tempo”. Un ospedale non è diverso da un’industria avanzata – spiega Michele Buono: un sistema di produzione efficiente per un buon prodotto finale. In questo caso il prodotto è la nostra vita.

“Il primo strumento è avere una cartella informatizzata” – racconta Sergio Pillon, coordinatore della Commissione Telemedicina italiana – “nella quale arrivano anche le informazioni del paziente esterne all’ospedale”. È il fascicolo sanitario elettronico, la nostra storia clinica, ma non c’è, perché il servizio sanitario italiano non è digitalizzato nel suo insieme e non fa rete – continua Buono.

Le immagini portano i telespettatori nell’Unità di terapia intensiva coronarica. Si sentono i bip di sottofondo, che sono generati da apparecchi collegati ai pazienti 24 ore su 24 e forniscono una quantità enorme di dati. “Questa è una tecnologia salvavita” – continua Pillon. “Il problema è che non è in rete. Queste informazioni aiuterebbero a curare questi pazienti e i prossimi, ma nel momento in cui i pazienti sono usciti, tutte queste informazioni non sono più utilizzabili”. Il professor Sergio Pillon  – spiega Buonocoordina la Commissione di Governo per lo sviluppo della telemedicina in Italia e studia con la Nasa come sbrogliarsela con la salute anche su Marte. Ma torniamo sulla terra – prosegue Buono. “Ecco” – chiosa Pillon – “quelli che vedete lì sono i flussi informativi (ndr. si vede un carrello con fascicoli di documenti cartacei) nel senso che la carta stampata viaggia sul carrello e si accosta al paziente”. E quindi, che senso ha? – chiede Buono al professore. “E quindi siamo ancora in una fase in cui il digitale non viene utilizzato per la sua reale potenzialità. Viene utilizzato, ma poi stampato”. È come se – ironizza l’autore – in un’organizzazione che dovrebbe essere ad alta intensità produttiva, si scrivessero delle email e invece di dare il comando “invia” si stampassero e per spedirle in busta con francobollo. “Pensiamo al paziente che arriva in un pronto soccorso” – dichiara Sandro Petrolati, cardiologo dell’ospedale San Camillo Forlanini di Roma – “Normalmente si arriva senza la possibilità di avere documentazione con sé. In quel momento avere la storia clinica del paziente con tutta la sua refertazione è fondamentale per essere rapidi ed efficaci. Io avrei già guadagnato 2-3 ore, che per un paziente in condizioni di una sospetta patologia cardiaca acuta è la vita”.

“Medici ed infermieri sono bravi”-  racconta Buono, che poi sparge sale sulla ferita: “Manca un’intelligenza collettiva”. “Se un paziente esegue una TAC e gli esami in un pronto soccorso e poi viene rimandato a casa, tre giorni dopo in un altro pronto soccorso quella TAC e di quello che ha fatto non sono disponibili e quindi va ripetuto tutto” – afferma Pillon.

Mariano Corso, dell’Osservatorio innovazione digitale Sanità del Politecnico di Milano, afferma: “Con un utilizzo allo stato dell’arte del digitale, sarebbe possibile risparmiare ogni anno qualcosa come 6,8 miliardi per il Sistema Sanitario Nazionale e circa 7,6 miliardi di produttività per i cittadini, derivante da un miglior utilizzo del tempo. Insomma, siamo vicini ai 15 miliardi l’anno che noi di fatto stiamo sprecando”. Il Ministero della Salute ha un piano per la digitalizzazione e investe più di un miliardo l’anno in un sistema sanitario che però è frammentato in 21 organizzazioni regionali – racconta l’autore di Report. “Non esiste una regia su questo tema” – risponde però Sergio Pillon.

“Esistono delle strutture intermedie, capaci poi di trasferire conoscenza e tecnologia alle strutture che sono sul territorio?” – chiede Michele Buono a Mariano Corso: “Dal punto di vista teorico queste strutture dovrebbero essere nelle regioni e nelle società in house che rispondono alle regioni, ma non lavorano in una logica sufficientemente di rete”. “È come se il trasporto aereo con milioni di dati da incrociare” – racconta Buono usando una metafora – “non lavorasse in una logica di rete per gestire voli, flussi di passeggeri e merci, destinazioni su tutto il pianeta. Che succerebbe agli aerei in volo? Si scontrerebbero spesso e i banchi delle compagnie ci direbbero “per questa destinazione non può partire prima di sei mesi, oppure, a chi è più fortunato, intanto occupi un posto in sala d’aspetto, la richiamiamo tra qualche giorno. Bagagli messi sui nastri sbagliati e in viaggio intorno al mondo a caccia dei proprietari. Daremmo di matto”.

L’inchiesta porta poi gli spettatori a Tel Aviv, in Germania e vola poi in California, dove il know how italiano è approdato grazie a due giovani, Luca Foschini e Alessio Signorini (laurea al Sant’Anna di Pisa), tra i cofondatori della start-up Evidation health, e a San Francisco, dove ha sede un’altra start-up italiana, AmicoMedEvidation health – ci spiega Buono – ha due sedi, Santa Barbara e San Mateo e un centinaio di collaboratori per interpretare i dati prodotti dalle persone e capire come interagiscono con la salute. Il punto è: come dare un significato a questi dati? “L’intelligenza artificiale” – spiega Alessio Signorini – “ci permette di analizzare grandi quantità di dati, con tante variabili che sarebbe molto difficile fare manualmente”. Si tratta di integrare queste informazioni con il resto dei dati clinici di una persona e cogliere tendenze e anomalie. “Dare 500 milioni di data point al dottore” – continua Signorini – “non aiuta il dottore a fare meglio il suo lavoro. Vanno sintetizzati, con sistemi validati in modo tale che il dottore li possa usare in campo clinico”. “Se non confiniamo la sanità esclusivamente nei limiti dello spazio fisico” – afferma Leslie A. Saxon, cardiologa dell’Università Sud California, L.A. – “tutto diventa possibile”. La professoressa Saxon è cardiologa e nel dipartimento di medicina ha creato il “Center for body computing” per progettare un’assistenza sanitaria personalizzata grazie alle tecnologie digitali, ma voleva andare oltre. “La maggior parte dei medici non ha a portata di mano un informatico, capace di creare esseri umani virtuali. Ho voluto coinvolgerlo”. “Mi sono chiesta allora se sarebbe stato possibile realizzare una squadra di medici virtuali, partendo da medici veri, sempre disponibili, in tutto il mondo, ventiquattr’ore su 24 e 7 giorni su 7”. “Leslie aveva a disposizione i medici e le sue competenze” – afferma Todd Richmond, dell’Istituto di tecnologie creative all’Università della California del Sud – “noi gli esperti di tecnologia e gli scrittori di Hollywood per costruire personaggi credibili. Una volta creata l’immagine digitale della professoressa Saxon, abbiamo caricato le sue conoscenze nel suo avatar”. Ma come fanno le competenze a trasformarsi in risposte? – le chiede Buono. “Abbiamo catalogato circa 2600 domande tipiche dei pazienti, studiando insieme gli sceneggiatori di Hollywood la maniera più efficace per rispondere. Il mio personaggio virtuale auto apprende man mano che risponde alle domande e diventa sempre più intelligente”. “L’attività fisica fa bene al cuore e la incoraggio. Se vuoi posso lavorare con te per creare un piano di gestione personale il più adatto ai tuoi sintomi e allo stile di vita” – risponde l’avatar della Saxon sullo schermo del cellulare della paziente che è preoccupata per la propria attività fisica. “Dottoressa Saxon, oggi è cambiato il suo lavoro?” – la incalza l’intervistatore fuori campo. “È’ cominciato a cambiare da quando mi sono chiesta come sarebbe un’assistenza sanitaria che, grazie al digitale, non si limita più visite saltuarie. Cambia tutto il modello: il paziente è al centro e prende il controllo”.

In California, a Los Altos, nella Silicon Valley, le telecamere di Report incontrano Marty Tenenbaum, fondatore di Cancer Commons. “Tutto è iniziato vent’anni fa, quando mi diagnosticarono un melanoma con metastasi al fegato. All’epoca era una condanna a morte, non esistevano i farmaci di precisione. Incontrai decide di medici, capivo che ero nei guai fino al collo, ma giurai che se fossi riuscito a sconfiggere la mia malattia, avrei impiegato il resto della mia vita a fare qualcosa di significativo per chi si fosse trovato nelle mie condizioni”. Tenenbaum tentò molte strade e, alla fine, riuscì ad inserirsi in un test sperimentale. “Funzionò per un ristretto numero di pazienti, tra i quali fortunatamente, c’ero anch’io”. Ricercatore sull’intelligenza artificiale a Stanford ed esperto di robotica, da quel momento volle impiegare totalmente le sue competenze in un’altra direzione, per mantenere l’impegno. “Volevo garantire che altri pazienti non dovessero provare ciò che ho vissuto io”.  Fondò la Cancer Commons, una no profit che mette in relazione pazienti, ospedali, istituti di ricerca in tutto il mondo. Il microfono passa a  Erika Vial Monteverdi, direttore esecutivo di Cancer Commons. “Rispondiamo alla domanda: che cosa posso fare? Qual è il mio prossimo passo? Perché nell’ambito del cancro avanzato è tutto un esperimento”. Il servizio – spiega Buono – è completamente gratuito e disponibile online. “Si tratta spesso di pazienti che hanno tentato diverse strade” – racconta Lisandra West-Odell, responsabile del servizio pazienti di Cancer Commons – “E la domanda che ci rivolgono è: adesso che cosa faccio?” E voi che cosa fate? – incalza l’intervistatore. “Utilizziamo per prima cosa è uno strumento di analisi che elabora i dati dei vari casi, permettendoci di creare collegamenti con altri pazienti in tutto il mondo”. “Esperti e algoritmi permettono di coordinare in maniera efficiente dati, variabili e migliaia di trattamenti” – spiega Jeff Shrager, responsabile Intelligenza Artificiale del Cancer Commons. “Possiamo individuare quali soluzioni funzionino e definire un quadro di tutti i trattamenti possibili”. Ma come funziona? “Un gruppo multidisciplinare di radiologi, chirurghi, oncologici e patologi analizza i casi e collega i dati genomici” – dice Buono. “È fondamentale che partecipi il medico che ha in cura il paziente – spiega Tanenbaum – “perché proviamo solamente strade che siano accettate anche da lui”. “Il paziente riceve opinioni di tutti gli altri ospedali, strutture, università e accademici” – continua Erika Vial Monteverdi. “La raccomandazione di quello che è meglio per te, paziente, ce l’hai in 48 ore”. “Più informazioni accumuliamo, più l’intelligenza artificiale aiuterà a prendere decisioni consapevoli” – conclude Tanenbaum – “e in questo sistema ognuno impara continuamente dall’altro”.

“Abbiamo delle ottime competenze dal punto di vista medico, anche dal punto di vista infermieristico. Andrebbero aggiornate e complementate con quelle che sono le competenze legate all’uso dei nuovi strumenti” – afferma  Mariano Corso, dell’Osservatorio innovazione digitale Sanità del Politecnico di Milano. I formatori ce li abbiamo in Italia? “Non c’è dubbio, avremmo tutto” – gli risponde Corso e Michele Buono lo incalza: “Informatici ce li abbiamo; aziende capaci di costruire software adeguati ci sono?”. “Certamente”. Architetti e ingegneri, e le innovazioni nella sanità non ci mancano; sono solo sparse. L’autore tenta un esperimento utilizzando la computer grafica: “proviamo a metterle a sistema e simuliamo un ospedale intelligente 4.0. Innanzitutto, è un nodo connesso a una rete globale per scambiare informazioni. Quattro livelli in tutto. Meno 1, con i server per la gestione digitale, il magazzino, la farmacia e le cucine; piano zero, due accessi: la reception e il pronto soccorso. Da un lato negozi, bar, ristoranti e auditorium per convegni e spettacoli; dall’altro gli ambulatori, i laboratori di analisi, radiologia e tac. Grazie alla telemedicina, più day hospital e meno degenza. Quindi, al primo piano la degenza in stanze singole in un’unica area con i blocchi operatori e le postazioni degli infermieri, senza divisione per reparti, in modo da favorire l’interoperabilità. Alcuni blocchi sono attrezzati per le operazioni in remoto. Come sperimentano a Genova, all’Istituto Italiano di Tecnologia. Si simula un’operazione di microchirurgia con laser e robot. Il chirurgo è in una postazione, il paziente potrebbe trovarsi anche in un altro continente”.

Le telecamere di Report proseguono il viaggio in Italia all’IIT di Genova, al Policlinico Gemelli di Roma e a Milano, all’Istituto Europeo di Oncologia, dove incrociano ricercatori, direttori scientifici e sanitari, responsabili dei servizi informativi e infermieri. E ancora all’Ospedale di Vimercate (Monza), registrando immagini dei vari reparti, dove partono le richieste dei medicinali verso la farmacia e dove, grazie ad un sistema automatico, non si può sbagliare perché ogni farmaco coincide con i codici a barre del braccialetto del paziente. Quindi, più sicurezza e spesa dei farmaci trasparente, dati informatizzati e infermieri e medici possono concentrarsi completamente sulla cura dei pazienti – racconta Buono.

“Dal punto di vista economico un ospedale di questo tipo avrebbe dei risultati straordinari perché non fa duplicazioni, non fa sprechi” – dichiara Maurizio Mauri, presidente del Centro nazionale edilizia e tecnica ospedaliera.  Ma – chiede Buono: “Un ospedale di questo tipo quanto potrebbe costare?”. “Diciamo che un ospedale che faccia un’attività media, potrebbe avere un costo di 150 milioni di euro e” – prosegue Mauri – “abbiamo fatto una valutazione: rispetto ai costi di un ospedale tradizionale si possono risparmiare fino al 25/30% dei costi annui. Se io risparmio il 30% all’anno vuol dire che in tre anni mi ripago il nuovo ospedale. L’ideale sarebbe costruire circa 600 ospedali“.

Nell’area dei medici e degli informatici, Report prosegue il viaggio dell’inchiesta nello spazio dove le ricerche e le start-up sperimentano sul campo idee e progetti. A Salerno, nel Palazzo dell’Innovazione, c’è Healthware guidata da Roberto Ascione: “Le start-up quindi porterebbero questo quoziente d’innovazione; chiaramente i servizi sanitari, questo in tutto il mondo, stanno e possono sempre di più attingere a queste innovazioni per ripensare dei processi e quindi sperimentare con loro”. Scambiandosi esperienze e informazioni per accelerare le idee, Antonella Arminante di Pagine mediche racconta: “Pagine mediche è una piattaforma di digital health che connette medici, pazienti e servizi e a partire dai dati offre un’esperienza di salute personalizzata agli utenti”. “Tra le start-up che abbiamo qui, o che sono passate di qui” – prosegue Ascione – “abbiamo per esempio Amicomed, che aiuta la gestione della pressione arteriosa e che adesso è basata a San Francisco”. La start-up italiana – racconta Buono – per decollare è andata negli Stati Uniti. AmicoMed è un dispositivo con misuratore di pressione che produce dei dati e li trasmette a un’applicazione. “Non elabora il singolo dato” – spiega Giangiacomo Rocco di Torrepadula, cofondatore e AD di AmicoMed – “ma mette anche il dato in relazione ai dati precedenti, li divide per fascia oraria e capisce e identifica il trend”. Il medico può vedere così l’evoluzione: non più singoli fotogrammi di qualche misurazione ma il film intero del paziente. “A questo punto si capiscono le anomalie e diventa tutto molto più chiaro nell’interpretazione” – conclude Rocco di Torrepadula. Un sistema basato sulla rete digitale degli ospedali sarebbe un ambiente favorevole anche per le start-up. Creerebbe un mercato nazionale, che guarderebbe direttamente il mondo senza necessariamente passare per San Francisco.

“Le applicazioni scientifiche nel mondo dei big data e dell’Artificial intelligence” – conferma Mariano Corso del Politecnico di Milano – “permetterebbero di creare un volano per la ricerca. Così si fa anche politica industriale e attrattività del territorio”.
“Ma perché non lo mettiamo in pratica subito questo piano?” – chiede il conduttore di Report dallo studio. “Blindiamo con una legge la protezione dei dati, che riguardano un paziente, poi alla fine decide lui se metterli a disposizione o no della rete digitale. Ma costruiamoli questi ospedali 4.0. Abbiamo dei piccoli esempi in Italia, li abbiamo a Trento, Milano, Vimercate, anche a Roma, solo che non dialogano tra loro. Bisogna costruire, abbiamo sentito, 600 nuovi ospedali intelligenti e i soldi ci sono perché risparmi il 30% degli sprechi e te li ripaghi in tre anni, perché poi hai anche l’abbattimento delle spese improduttive, quella delle liste di attesa, quelle derivate dalle assenze inutili sul posto di lavoro. E ti ritrovi 15 miliardi di
euro, un bel gruzzolo, che puoi reinvestire, le stime sono del politecnico di Milano. Puoi dare impulso all’edilizia, puoi dare impulso alla ricerca, all’università, puoi dare impulso a quelle start-up che si occupano di informatizzazione, o ai centri di formazione, perché abbiamo bisogno di infermieri informatizzati. Questo significa rivoluzionare la sanità, ma anche la qualità della salute. Certo i nostri anziani oggi non sanno molto di web, non sanno neanche collegarsi e ci sono magari anche zone che non sono coperte. Ma quelli di domani si troveranno sicuramente a loro agio. Ma bisogna cominciare a pensarci oggi. Governo e governatori delle regioni: parlatevi. Se non capite quali potenzialità abbiamo, quali ricchezze ci sono nel nostro Paese, significa che più che un politico, abbiamo bisogno di uno psicanalista. C’è un medico che lavora per la Nasa, ed è ridotto quasi all’incomunicabilità digitale. Cosa c’è di più importante che occuparsi dello sviluppo di un Paese, di prendersi cura della salute pubblica, per chi ama veramente la politica?” – conclude Ranucci.

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La puntata è disponibile sul sito di RayPlay a questo link (le parte sul Trentino inizia verso il 30′ minuto): http://bit.ly/reportsanita40

SANITÀ 4.0
di Michele Buono
collaborazione Andrea De Marco – Simona Peluso – Sara Piazza
immagini Tommaso Javidi – Alessandro Spinnato
montaggio Veronica Attanasio


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