Le nuove sfide del sistema d’istruzione italiano
L’Italia non tiene il passo dei Paesi OCSE e scommette sulle lauree professionalizzanti
L’Italia – come emerge dallo studio Ocse “Education at a Glance” – spende mediamente meno degli altri Paesi per l’istruzione: 3,9% del PIL, contro il 5% medio dei Paesi industrializzati e il 4,6% dell’Unione europea. Quali sono i risvolti immediati della politica educativa italiana?
Nel 2018, il numero di 30-34enni in possesso di laurea è il secondo più basso nell’UE (26,9%), ben al di sotto della media UE, che si attesta al 39,9%. Inoltre, i laureati italiani cercano sempre più lavoro all’estero: nel 2017 si sono trasferiti 28.000 laureati, un dato in netta crescita rispetto agli anni precedenti.
Le differenze rispetto al resto d’Europa si registrano anche in termini di competenze e livello di istruzione. In Italia, il 27,9% dei giovani 30-34enni possiede un titolo terziario. L’obiettivo nazionale previsto dalla strategia comunitaria Europa 2020 (26-27%) è stato così ampiamente raggiunto. Tuttavia, il livello rimane molto inferiore alla media europea e superiore soltanto a quello della Romania. Per le donne, la quota di 30-34enni laureate è del 34%, per gli uomini del 21,7%.
Dagli anni Duemila in poi, la Commissione Europea ha indicato gli obiettivi per lo sviluppo di un’istruzione e di una formazione di eccellenza, puntando soprattutto sulla diffusione di forme di apprendimento duale, capaci cioè di combinare l’apprendimento teorico con l’acquisizione di competenze pratiche sul posto di lavoro, evitando così lo skill mismatch diffuso in tutto il vecchio Continente.
Tali divari di competenze possono essere visti anche dal rovescio della medaglia, allorquando ci sono persone troppo formate e troppo qualificate per svolgere un certo tipo di mansione: avere troppe competenze così come non avere quelle adeguate è un doppio problema. Questo significa che da un lato si sprecano le risorse investite nell’istruzione e nella formazione e che i troppi corsi disponibili non sono collegati ad attività di placement e alle richieste del mercato; dall’altro che sono sbagliati i canali di comunicazione del mondo del lavoro così come le tecniche di recruiting. Il modo di comunicare delle aziende o delle agenzie di lavoro, nonostante l’alta digitalizzazione e il social recruiting, non garantiscono l’incontro efficace tra domanda e offerta di lavoro.
La recente proposta formulata dal Consiglio Nazionale deli Studenti Universitari volta ad abolire il divieto di doppia immatricolazione e a favorire l’introduzione di percorsi multidisciplinari, si colloca in un quadro di provvedimenti tesi a potenziare l’attuale sistema universitario italiano.
Tali proposte sono state elaborate partendo da richieste degli studenti, prendendo a modello esempi virtuosi di Università estere e cercando di immaginare un’attuazione pratica di queste politiche in Italia.
Alla luce di queste proposte, i prossimi laureati italiani potranno avere una preparazione multidisciplinare, potranno applicare gli studi tecnologici alle scienze umane oppure essere iscritti sia in Conservatorio che all’Università, coltivare l’amore per la musica e studiare ingegneria.
Inoltre, in Italia è in corso la sperimentazione di un nuovo tipo di laurea professionale a partire dal 2018/19. Quattordici corsi di laurea triennale sono stati avviati in altrettante università, equamente distribuite sul territorio, che offrono 700 posti in totale. L’obiettivo è formare professionisti altamente specializzati con competenze in ingegneria, costruzioni e ambiente, energia e trasporti, in stretta collaborazione con gli ordini professionali. Gli studi constano di due anni accademici più un anno di apprendimento basato sul lavoro. Con il loro forte orientamento professionale, le nuove lauree professionalizzanti sono un passo positivo verso la creazione di un terziario non accademico, settore dell’istruzione che mancava all’Italia.
Un’altra sfida lanciata per ammodernare il sistema dell’alta formazione è il Dottorato nazionale in AI (Intelligenza Artificiale) introdotto a partire dall’anno accademico 2021/2022. L’obiettivo è quello di creare un sistema competitivo su scala mondiale e in grado non solo di trattenere in Italia i migliori laureati, ma anche di attrarre talenti dall’estero. L’Italia deve ripartire dalla ricerca, il digitale e l’intelligenza artificiale sono settori cruciali per il futuro del Paese. Si stima che il settore porterà entro il 2030 ad una crescita del 16% del PIL mondiale e avrà un impatto sul 70% delle aziende.
In definitiva, aprendo nuovi percorsi e prospettando molteplici possibilità di formazione agli studenti sarà possibile incidere in maniera positiva sul tasso di abbandono scolastico e, di fatto, contribuire ad un incremento del tasso di istruzione terziaria. La speranza è che il Bel Paese lavori per colmare il divario venutosi a creare con gli altri Paesi avanzati nel mondo, dal momento che l’investimento in capitale umano rappresenta l’unico mezzo per ridurre o combattere la disuguaglianza sociale esistente.