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Nel percorso di chi vive, si ammala e muore, qual è il compito del medico?

17 Febbraio 2020

Il convegno “Fine vita e dignità della persona. Dibattito sulla recente sentenza della Corte costituzionale n.242/2019” si è tenuto lo scorso 24 gennaio alla Fondazione Bruno Kessler di Trento.

Nella Sagrada Famila di Barcellona, la cattedrale che l’architetto spagnolo Antonio Gaudì lasciò incompiuta, all’interno delle due guglie, della Natività e della Passione, c’è una lunga scala a chiocciola che si restringe in modo drammatico man mano che sale verso l’alto, togliendo progressivamente il respiro a colui che l’affronta; chi ha percorsa una delle due scale ha spesso descritto questa esperienza come l’angoscioso transito attraverso una sorta di canale del parto in cui si è sentito imprigionato, ignaro di ciò che avrebbe trovato alla fine.  Ma l’ultimo strettissimo passaggio gli ha parato davanti un’apertura su un minuscolo spazio, dominato dalla imponente scultura di un angelo, con le ali aperte verso il cielo. E lì si è provato un grande senso di liberazione”. Con queste parole di Antonella Graiff, coordinatrice del programma “FBK per la Salute” ha aperto il convegno “Fine vita e dignità della persona. Dibattito sulla recente sentenza della Corte costituzionale n.242/2019” che si è tenuto lo scorso 24 gennaio alla Fondazione Bruno Kessler di Trento.

Avvocati, medici, operatori sanitari ed esperti del tema si sono confrontati in un partecipato dibattito sui contenuti della sentenza della Corte per comprendere quali possono essere le ricadute sul piano deontologico per la professione del medico, e quali le responsabilità delle strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale.

Nel pomeriggio di confronto, organizzato dall’Ordine dei Medici chirurghi e odontoiatri di Trento e dal programma “FBK per la Salute” della Fondazione Bruno Kessler, e patrocinato dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari, ogni relatore ha portato un contributo al “saper fare” il medico, nella sua difficile posizione di intermediario tra società e scienza, variabili in continuo cambiamento. Al centro del dibattito l’articolo 17 del Codice di deontologia che recita “Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte”.  Ma alla luce della sentenza della Corte costituzionale n.242 del 25 settembre 2019, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 580 del Codice penale, i medici si chiedono: come dobbiamo comportarci per rispettare la sentenza senza porci in conflitto con il codice di comportamento?

“Il malato” – ha spiegato Luciano Eusebi, professore di diritto penale alla Cattolica di Milano – “sulla base della Legge 219 del 2017 può già rinunciare anche a terapie salvavita. Naturalmente tutto dipenderà da come il malato è stato seguito: se non è stato abbandonato o colpevolizzato in quanto rappresenta un costo, il malato probabilmente non farà scelte di rinuncia a terapie ancora proporzionate. Ma certo non si possono protrarre terapie in maniera coattiva. La Corte costituzionale decide che possa esserci un ambito molto limitato di aiuto al suicido che non sia penalmente sanzionato, anche se resta non conforme all’art. 17 del codice deontologico. È una non sanzionabilità penale”.

In quale situazione? “Nel caso esclusivo in cui” – risponde Eusebi – “il malato abbia terapie salvavita in atto a cui può rinunciare, nel caso in cui la malattia sia irreversibile e le sofferenze siano giudicate non sopportabili”.

Viene richiesto anche un controllo da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale? “Sì, ma senza alcun obbligo né per il medico né della struttura pubblica per assicurare l’aiuto al suicidio. Nello stesso tempo” – conclude Eusebi – “un eventuale iter di aiuto al suicido necessita del parere del comitato etico territorialmente competente. Ma soprattutto richiede che siano state non solo messe a disposizione del malato, ma anche effettivamente attuate le cure palliative, perché non si può parlare di una sofferenza insopportabile se non è stato attuato questo elemento di solidarietà, che nel nostro Paese dobbiamo davvero riuscire a rendere disponibile per tutti”.

La sentenza, nei mesi scorsi, ha avviato numerose riflessioni e scosso le coscienze, specialmente nel mondo medico italiano. Sono notevoli le difficoltà di interpretazione dal punto di vista deontologico, ed anche il Servizio Sanitario Nazionale è stato costretto ad assumere modalità organizzative coerenti. L’avvocato Gianfranco Iadecola, già magistrato della Corte Suprema di Cassazione, chiarisce qual è il punto più critico: “Dopo aver enunciato, in sostanza, la conformità alla Costituzione della tutela degli interessi del malato a vedersi aiutato nell’attuazione del proprio proposito di darsi immediata morte, ricorrendo determinati requisiti, la sentenza sancisce però il non obbligo del medico di prestarsi a questa collaborazione, potendo il medico invocare la propria libertà di coscienza”.

E dunque, dove trova il medico le risposte per onorare il proprio giuramento e non si limiti la sua libertà di coscienza? “Quando parliamo di libertà di coscienza” – risponde Iadecola – “parliamo di una libertà di scelta, che trova il suo fondamento nella deontologia medica. Quindi la Corte costituzionale dà un grande rilievo, quasi lo recupera, questo valore della libertà di coscienza, che è di tipo deontologico, all’interno dei valori costituzionali. Questo ha fatto registrare un “sollievo” della classe medica che si vedeva chiamata, in forza della ordinanza, a dare una collaborazione ad una procedura, senza essere stata mai precedentemente interpellata o che si fossero tenuti in conto i valori della propria deontologia”.

Nel dibattito alla Fondazione Kessler si è parlato anche di responsabilità delle strutture sanitarie pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale. Le organizzazioni sanitarie infatti si fanno carico quotidianamente di scelte terapeutiche spesso difficili, non solo nel fine della vita, ma in tutti quei contesti sanitari e socio-assistenziali in cui la complessità clinica deve essere bilanciata con i valori della persona, con la sua fragilità e con l’appropriatezza delle cure. L’Azienda provinciale per i servizi Sanitaria di Trento (APSS) ha attivato, presso l’Unità operativa di medicina legale, la nuova funzione di bioetica e deontologia che fornisce supporto attivo ai professionisti e alla direzione aziendale in tutte quelle scelte cliniche difficili che pongono problemi di coscienza e di responsabilità pubblica. “In questo tempo di complessità, in cui la tecnica e le tecnologie hanno fatto passi da gigante” – spiega Fabio Cembrani, direttore dell’Unità Operativa di Medicina Legale dell’APSS – “c’è bisogno di interrogarsi su quali sono i limiti umani dell’atto medico e dell’agire medico. I medici hanno bisogno di un supporto, di un aiuto, di una relazione, di un sostegno attivo per agire scelte che non siano solo difensive. La sentenza dunque apre scenari nuovi, difficili, su cui si incontrano diverse visioni ideologiche. Certo, non dà obblighi a carico del medico, ma dà obblighi a carico della struttura sanitaria di natura sia procedurale, che di controllo e di verifica dei requisiti che la Corte ha ritenuto legittimare l’aiuto al suicidio medico”.

Presente al dibattito anche Pierantonio Muzzetto, coordinatore della Consulta deontologica della Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri – FNOMCeO che ha ricordato come già all’indomani della pubblicazione dell’ordinanza della Corte costituzionale n.207 del 2018 sulla punibilità dell’aiuto al fine vita (procedimento penale a carico di Marco Cappato per il suicidio assistito di Fabiano Antoniani – detto “DJ Fabo”), la Consulta ha iniziato un percorso di riflessione e di approfondimento, che ha avuto come costante riferimento il codice deontologico, sul profondo mutamento di paradigma della cura generato proprio dalla Corte.

Oggi più che mai il medico è chiamato ad esprimere il suo pensiero e a prendere posizione nell’esclusivo interesse delle persone. Specie di quelle più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento vuole proteggere evitando interferenze esterne in una scelta estrema e irreparabile. “Il tema affrontato nel convegno è di grande attualità” – ha concluso Marco Ioppi, presidente dell’Ordine dei Medici di Trento – “e il dibattito che è emerso conferma che vi sia grande necessità di approfondire, di riflettere e di tanta preparazione. Se noi medici applicassimo veramente il codice deontologico e sapessimo essere medici che vanno ad accollarsi i bisogni del paziente, affidandoci alla nostra ragione d’essere, alla solidarietà, forse avremmo anche pazienti che chiederebbero meno di morire, perché quel grido di dolore che il paziente lancia, quella decisione di farla finita, a volte viene presa perché attorno c’è tanta solitudine, freddezza e una situazione che noi medici non riusciamo a colmare. Riprendiamoci il nostro ruolo e rimaniamo vicini ai pazienti, specialmente in questo momento molto delicato e impariamo anche a parlare di “morire”, di “assistenza al morire” e non tanto di suicidio assistito, ma di “fine vita assistito”. Cercheremo di continuare questo cammino insieme per aumentare la sensibilità”.


L’evento è stato video registrato e si può rivedere sul canale YouTube della FBK:



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