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Violenza di genere: dati, cultura, contrasto

29 Novembre 2023

L’intervista di FBK Magazine al direttore di FBK-IRVAPP sullo scottante tema della violenza di genere inquadrato dalla prospettiva delle politiche pubbliche.

In occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne abbiamo intervistato Mirco Tonin, direttore di IRVAPP, scandagliando il tema dalla prospettiva delle politiche pubbliche: capire come misurare il fenomeno e contrastarlo in modo efficace sono i primi passi per lo sviluppo di policy evidence-based che contribuiscano ad arginare un crimine violento che, a differenza di molti altri, con l’avanzare degli anni sta diminuendo solo lentamente. 

1) Si parla spesso di come le radici della violenza di genere siano da rintracciarsi su un generale piano culturale. Andando più nello specifico nelle varie stratificazioni della società, quali sono i fattori che aumentano la probabilità, all’interno di un gruppo sociale – o segmento socioeconomico – che si verifichi violenza di genere?

Un modo per rendersi conto di come la cultura influenzi l’entità del fenomeno è osservare le comunità migranti in Europa: nonostante si ritrovino all’interno di uno stesso contesto legale, normativo e istituzionale, c’è una forte eterogeneità nella prevalenza della violenza di genere tra le diverse comunità; e la gravità del fenomeno è legata sistematicamente al divario fra generi presente nel paese d’origine delle comunità. Il retaggio culturale, quindi, sopravvive alla reinstallazione delle famiglie in un nuovo contesto. L’importanza delle differenze culturali emerge anche da studi che guardano a diversità regionali in uno stesso Paese dovute a eventi accaduti nel lontano passato: per esempio, in Spagna sono stati fatti degli studi che dimostrano come le tipologie di famiglia, determinate sulla base di diverse normative sull’eredità promulgate in epoca medioevale, influenzino ancora oggi la violenza sulle donne.

Accanto ai fattori culturali, ci sono i fattori socio-economici. La partecipazione delle donne al mondo del lavoro ha un effetto sulla diminuzione della violenza: una donna che lavora ha una maggior autonomia, è quindi meno ricattabile e ciò porta a una riduzione delle probabilità di violenza domestica. D’altro canto, ci sono anche evidenze che sottolineano che per alcuni uomini è tuttora problematico il fatto che le partner abbiano più successo di loro sul piano lavorativo. Per esempio, in Svezia è stato dimostrato che le donne che vincono le elezioni per una carica pubblica hanno una probabilità significativamente più alta di divorziare rispetto a quelle che le perdono.

La violenza di genere presenta tuttavia anche fattori slegati da sovrastrutture culturali, in cui entrano in gioco elementi di natura più psicologica: negli Stati Uniti è stato condotto un interessante studio, ampiamente citato, sull’aumento di casi di violenza di genere dopo la sconfitta della squadra di football locale, specie se arrivata in modo inaspettato rispetto ai pronostici. 

2) Quali sono le policy per le quali abbiamo evidenza che contrastino la violenza di genere? E quali sono quelle per prevenirla?

Ci sono una serie di studi dall’Inghilterra basati sull’accesso alle chiamate geolocalizzate arrivate alla polizia, che rende possibile determinare se gli atti di violenza ri-avvengono nella stessa casa. Questi studi hanno dimostrato la notevole efficacia, sia nel breve che nel lungo termine, dell’arresto immediato. Se nel breve termine è scontato, perché si mette in atto l’incapacitazione del violento, il fatto che l’effetto persista nel medio e lungo termine dimostra la forza deterrente del provvedimento.

Al contrario, altre misure protettive come per esempio le residenze protette, non sembrano essere particolarmente efficaci nel prevenire la recidiva della violenza. Ciò pone un punto interrogativo su queste misure meno incisive.
Un’altra misura che si è dimostrata efficace, infatti, è stata una misura forte come il divieto del ritiro della denuncia: se una donna decide di denunciare, il provvedimento va avanti fino a indagine conclusa, disinnescando di conseguenza le eventuali minacce per ritirare la denuncia. Della stessa efficacia sembra essere anche l’istituzione di corti specializzate contro la violenza domestica, come avviene negli Stati Uniti.

Infine, è utile avere la presenza di donne tra gli ufficiali di polizia quando viene sporta denuncia di maltrattamento, probabilmente perché la vittima si sente più a suo agio e  ascoltata. 

3) Soffermandoci sulle politiche educative, parliamo di educazione del maschio e mascolinità: ancora oggi si fatica a decostruire un certo modello di maschio, e una serie di attributi tradizionalmente associati a questo genere. Quale può essere il ruolo delle politiche pubbliche per problematizzare questo modello e proporre un’alternativa? E come si può aumentare, in famiglia, sensibilità e consapevolezza sul tema? 

Più che di politiche intese come specifici provvedimenti, mi piacerebbe parlare di operatori culturali. Per esempio, la televisione è un grande operatore culturale e c’è evidenza che le storie raccontate nelle sitcom, nelle telenovele e anche nei fatti di cronaca del telegiornale hanno connotazioni di genere che finiscono per influenzare il comportamento delle persone. 

Tuttavia, il fatto che si stia iniziando a parlare in maniera sistematica di femminicidi fa sì che l’argomento entri anche in famiglia e i genitori ne possano parlare con i propri figli. In questo senso possono aiutare anche i programmi di educazione all’affettività e alla sessualità che recentemente vengono messi in atto dalle scuole. Il fatto che mass media e scuole dedichino spazio a questi temi può comportare un cambiamento trasformando quello che era “un affare privato” in un problema sempre più esplicitamente “sociale” .

 4) È possibile isolare le variabili psicologiche da quelle socioeconomiche e culturali, nel determinare le cause della violenza di genere? Ipotizziamo, per esempio, due gruppi sociali molto simili, come possono essere gli abitanti di due banlieue parigine. Qualora si osservasse nel gruppo A un numero di casistiche di violenza di genere significativamente più alto che nel gruppo B, si potrebbe parlare di una differenza determinata da variabili psicologiche?

È molto difficile farlo, perché c’è sempre da tener conto che due gruppi possono apparire molto simili sulla base di quel che ci è dato osservare, ma vi possono essere fattori socio-economici (anche più strettamente culturali) non direttamente osservabili. Tuttavia, citavamo precedentemente lo studio sull’aumento della violenza nel caso di partite perse inaspettatamente dalla squadra locale: in questo caso si può parlare di fattori psicologici che determinano il reato, come la rabbia che insorge a seguito dell’insoddisfazione provata. 

Accanto ai problemi più “epistemologici”, abbiamo poi dei problemi pratici: molti casi d’abuso (in modo variabile a seconda della cultura e di altri fattori) non vengono denunciati. Questo è un problema anche per le analisi longitudinali: in passato si denunciava meno, ed è anche per questo motivo che il fenomeno può sembrarci in crescita. Per tale ragione, nelle indagini molto spesso si usano i femminicidi come indicatori, perché sono i più osservabili, ma la violenza di genere è un fenomeno più articolato, ancora in parte sotterraneo


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