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Sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale nell’emergenza idrica.

28 Marzo 2023

Abbiamo intervistato il direttore di FBK-IRVAPP Mirco Tonin riguardo alla drammatica crisi idrica che sta affrontando il nostro Paese e gli abbiamo chiesto quale sia il ruolo della valutazione delle politiche pubbliche in tal senso.

L’allarme siccità è ormai innegabile nella maggioranza del territorio italiano e concretamente percepibile: trascorrono interi mesi senza il verificarsi di alcun fenomeno piovoso e perfino nelle regioni montane – come il Trentino Alto Adige – si registrano temperature al di sopra delle medie stagionali e un preoccupante calo della disponibilità di acqua, dovuto sia alla scarsità di precipitazioni che allo scioglimento e alla riduzione dei ghiacciai esistenti.

Ci attende un’estate torrida e alcuni esperti paventano un inevitabile razionamento delle scorte idriche.

Abbiamo chiesto al Professor Mirco Tonin, direttore di FBK-IRVAPP e professore di Politica Economica presso la Libera Università di Bolzano, quali sono le possibili strategie da mettere in campo per fronteggiare questa emergenza:

Partiamo dalle definizioni di base: tutti ormai conoscono il significato di “sostenibilità ambientale”, ma cosa si intende, invece, con “sostenibilità sociale”?

Al centro dell’agenda per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite c’è, oltre alla protezione dell’ambiente, anche la promozione del benessere umano. Per questo è importante garantire che ogni strategia di intervento garantisca sia la sostenibilità ambientale che quella sociale. L’acqua è un bene essenziale ed è necessario che sia disponibile a tutti in quantità adeguate ad una vita dignitosa, senza pesare eccessivamente sui redditi delle fasce più deboli della popolazione.

Paradossalmente, la bolletta dell’acqua è quella che pesa nettamente di meno sui bilanci delle famiglie, in particolare in seguito ai forti aumenti subiti da energia elettrica e gas. Eppure, l’acqua è un bene che non si può creare, a differenza per esempio dell’energia elettrica. Ritiene quindi che un aumento del costo della fornitura di acqua potrebbe incentivare le persone a consumarne meno, dato che le nostre bollette si basano sui consumi effettivi?

In questo periodo di forte stress dei bilanci familiari, mi sembrerebbe inopportuno pensare ad aumenti delle bollette dell’acqua. Potrebbe però avere senso la rimodulazione del peso tra la quota fissa, intesa per la copertura dei costi fissi dell’erogazione, e la quota variabile, la componente che riflette il consumo effettivo. Nel comune di Trento, ad esempio, la quota fissa per le utenze civili ammonta, includendo sia acquedotto che fognature, a circa 90 euro all’anno. Un maggior peso dato alla parte variabile della bolletta rappresenterebbe un ulteriore incentivo ad un uso attento dell’acqua, senza necessariamente comportare degli aumenti.

Quali sono le azioni che potrebbero mettere in campo i governi, sia a livello locale che nazionale, per sensibilizzare i cittadini ad un uso più oculato dell’acqua?

Penso che sia molto importante mantenere la coerenza del messaggio. È difficile chiedere ai cittadini di fare sforzi per risparmiare acqua, se poi si legge che le perdite della rete sono enormi. Far vedere che ci si sta adoperando attivamente per migliorare l’infrastruttura può motivare i cittadini a fare la propria parte. Stessa cosa vale per l’utilizzo dell’acqua per usi non domestici, ad esempio in agricoltura o nel settore turistico. Le campagne di sensibilizzazione possono funzionare solo all’interno di un contesto in cui lo sforzo per il risparmio idrico viene assunto da tutti, a 360°.

Bisogna però dire che le campagne di sensibilizzazione ad un uso più responsabile delle risorse idriche non sono nuove, eppure molte persone non sembrano ancora essere consapevoli della situazione. Permane spesso una “visione casalinga”, basata sull’euristica della disponibilità, che porta a pensare che, finché vedremo l’acqua scorrere copiosa dai nostri rubinetti, il problema di fatto non sussista. Quanto crede dunque che incida la volontà dei singoli e la disponibilità a cambiare le proprie abitudini personali – ad esempio chiudendo il rubinetto mentre ci laviamo i denti o recuperando l’acqua del lavaggio di frutta e verdura per innaffiare i fiori – sull’effettiva possibilità di risparmio idrico?

Sì, spesso la disponibilità di acqua viene data per scontata. Sennonché, quando scarseggia, le conseguenze possono essere devastanti. I tempi di adattamento non sono brevi e quindi è necessario prendere delle contromisure prima che il problema diventi critico. Per questo, oltre ai necessari cambiamenti nei comportamenti individuali, serve un indirizzo politico che sia in grado di farsi carico delle questioni prima che diventino all’ordine del giorno a causa della loro drammaticità. Purtroppo, le opere di prevenzione non sempre danno un grande ritorno elettorale. Chiedere, come cittadini, che la politica si occupi di prevenzione, premiando i politici che lo fanno, è altrettanto importante che agire come consumatori sulle abitudini quotidiane.

Oltre alle campagne di sensibilizzazione, ci sono delle strategie pratiche che si potrebbero adottare (es.: fornire riduttori di getto per i rubinetti gratuitamente)?

Sì, ad esempio in uno studio che ho condotto insieme ad alcuni colleghi in Inghilterra, notiamo come una consulenza personalizzata è efficace nel ridurre il consumo famigliare per vari mesi, ma poi la tendenza è di tornare alla situazione precedente. Al contrario, la fornitura di tecnologie semplici e poco costose come i riduttori di getto per rubinetti o i sacchetti per ridurre la capienza dello sciacquone diminuiscono il consumo in maniera permanente, con grossi benefici economici e ambientali. 

In che modo ritiene che l’attuazione di determinate politiche per il risparmio idrico possa creare disuguaglianza sociale e quale ruolo gioca, in tal senso, la valutazione di tali politiche?

Politiche eccessivamente aggressive sul fronte delle tariffe sarebbero ovviamente pericolose da questo punto di vista, ma anche l’esempio precedente sulla distribuzione di semplici apparecchi rischia di non raggiungere tutti, lasciando magari indietro proprio le fasce di popolazione più svantaggiate che potrebbero avere maggiori difficoltà ad accedere alle informazioni o che sono meno attente ai temi della sostenibilità in quanto devono fronteggiare difficoltà più urgenti. Per questo motivo è molto utile affiancare  all’implementazione di questi interventi una attività di valutazione, che aiuta a capire cosa funziona meglio nel proprio contesto sociale, permettendo di aggiustare la mira se necessario e di disegnare politiche future più efficaci.

 

 


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