La meraviglia e la trasformazione. In dialogo con Ilaria Capua, verso una salute circolare
Un altro incontro con un ospite di altissimo livello organizzato da FBK per la Salute
Cos’ha a che fare la meraviglia con una pandemia che da due anni tiene il mondo in scacco e ci ha costretti a rivoluzionare il nostro stile di vita, il nostro modo di vivere gli affetti, lavorare, trascorrere il tempo libero, curarci? A prima vista sembrerebbe ben poco, e il peso degli aspetti negativi parrebbe far pendere vertiginosamente la bilancia dalla sua parte.
Eppure, secondo Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence e ricercatrice di chiara fama a livello mondiale, anche in un evento devastante e foriero di morte come una pandemia ci possono essere spunti di rinascita e cambiamento, per un futuro migliore che trae insegnamento e – auspicabilmente – prende le distanze dal passato. Dopo una prima fase di attonito smarrimento nei confronti di una situazione sconosciuta che ci coglie impreparati subentra infatti la spinta a reagire, trovare soluzioni, alzare il capo.
Certo è innegabile che la pandemia da Covid-19 ha segnato uno spartiacque, un solco pandemico che pone un prima e un dopo: così come si parla di dopoguerra, anche noi parleremo di ciò che era prima e dopo la pandemia del 2020, che ha cambiato per sempre il nostro modo di percepire la realtà che ci sta attorno e il senso di invincibilità cui ci eravamo assuefatti. Questo solco figurato è uno spazio in cui riflettere e imparare, dove piantare semi per un mondo migliore che ci sarà dopo. Alcuni lo hanno fatto a livello individuale, si sono chiesti cosa conti davvero nella propria vita, hanno fatto un inventario degli affetti più importanti, delle cose che prima si davano per scontate e che ora sembrano così preziose e irrinunciabili; altri hanno dovuto invece immergersi in riflessioni scientifiche e politiche e dovranno imparare dall’esperienza vissuta affinché certi errori non vengano ripetuti e non ci colgano ancora in fallo in futuro, spinti dall’energia generatrice insita proprio nella pandemia.
Abbiamo imparato che viviamo in un mondo estremamente interconnesso, una specie di sacco amniotico in cui tutto è correlato: ciò che accade in Cina ci deve interessare perché non è affatto lontano e basta un volo intercontinentale a portare il problema dritto in casa nostra. Allo stesso modo, se gli altri “coinquilini” che abitano il nostro stesso mondo – animali e piante – soffrono, questo ci riguarda in prima persona e non può essere ignorato. Gli animali e le piante sono importanti perché mantengono in piedi gli ecosistemi, garantiscono la biodiversità che è un vero e proprio polmone di risorse, e quando muoiono a migliaia come negli incendi in Australia degli scorsi anni è anche un nostro problema perché scatenerà un effetto domino le cui conseguenze, prima o poi, raggiungeranno anche chi vive a migliaia di chilometri di distanza. Anche per questo è stato determinante il contributo della veterinaria in affiancamento al lavoro di virologi e immunologi per isolare e conoscere gradualmente il nuovo coronavirus.
Da questo concetto dipende strettamente quello di salute circolare, su cui la Capua si è espressa più volte, ovvero una visione olistica della salute che vede uomo, animali e ambiente interconnessi in modo indissolubile. Quanto ciò sia importante ce lo preannuncia la prossima minaccia che incombe nel futuro, quella dell’antibiotico resistenza, ovvero della sempre minore capacità dell’organismo umano di reagire agli antibiotici dovuta all’uso sconsiderato che di questi farmaci si fa negli allevamenti intensivi di carne e pesce, ma anche nelle coltivazioni agricole.
Purtroppo simili campanelli d’allarme, così come quelli lanciati a riguardo del cambiamento climatico, dello scioglimento dei ghiacciai e così via, non possono più essere messi a tacere, come spesso tendono a fare le teorie negazioniste, che puntano a semplificare e minimizzare tutto riducendo la complessità a poche certezze; simili approcci portano a eludere domande fondamentali che dovrebbero invece spingerci a prendere posizione e reagire. Anche con la pandemia di Covid-19 è stato così: in varie parti del mondo all’inizio molti leader politici hanno minimizzato e talvolta persino ridicolizzato gli avvertimenti degli esperti, facendosi immortalare in mezzo a folle festanti con aperitivi in mano e promuovendo slogan poi suonati tristemente ridicoli come “Milano non si ferma”. Da un lato ciò è umano e ha anche motivazioni socio-economiche alle spalle, senza dimenticare che precedenti epidemie come per esempio l’aviaria o la suina si erano poi risolte in poco tempo e senza grossi danni, ma la dolorosa esperienza degli scorsi due anni deve quantomeno insegnare a non accantonare subito il problema bensì a considerarlo con la dovuta attenzione e a non farci trovare impreparati. Che non siamo affatto invulnerabili lo abbiamo ormai ampiamente capito.
Foto di Isabella Balena