Pensare curioso. Comunicare la scienza a chi ne sarà protagonista
Chi fa della ricerca il proprio mestiere, quando organizza eventi diretti alla cosiddetta divulgazione, spesso si pone la domanda: “cosa devo fare per interessare i giovani?”. La questione rimanda sia al sacrosanto piacere di avere un pubblico a cui comunicare, magari da fidelizzare, sia alla convinzione di avere qualcosa da dire, e di conseguenza, di meritare un ascolto da parte di chi costruirà il futuro. L’idea di seminare è tanto accattivante quanto appagante.
Per dare una risposta sbagliata, a mio parere, il primo passo da fare è concentrarsi sulle forme anziché sui contenuti. Il secondo è intendere le e i “giovani” come una categoria indistinta, fatta di stereotipi anziché di individualità. Altri errori si possono certo fare e si fanno, ma concentriamoci su questi due.
Forme. L’abuso di slide, video, presentazioni ammiccanti non può di per sé costituire l’essenza di una comunicazione scientifica. Quella è fatta, al contrario, dall’interesse dell’oggetto che si vuole descrivere. Come lo si racconta è certo un aspetto rilevante, ma di supporto più che di sostanza (per quanto nessuno abbia il diritto di essere incomprensibile o noioso). Perché questo oggetto sia spendibile con un pubblico giovane, deve allora essere in grado di stimolarlo, ponendo delle questioni che muovano curiosità, che suggeriscano dei problemi sui quali già si è ragionato o sia interessante ragionare.
Individualità. Ma chi sono “i giovani”? Molti di noi hanno vissuto la disorientante esperienza di sentirsi definire “giovani ricercatrici o ricercatori” quando le quaranta candeline erano state spente da tempo. Io credo che il rischio di ripercorrere questo sentiero distorto sia sempre da tenere bene presente. Se vogliamo dialogare con studentesse e studenti delle scuole secondarie e dell’università dobbiamo pensare di farlo con persone adulte o in procinto di diventarlo, ciascuna con la propria personale esperienza e prospettiva di vita, curiosa non in quanto giovane ma perché desiderosa di guardare al mondo in maniera critica e aperta. Immaginiamo di poter discutere con quanti offrono il proprio tempo per ascoltarci, guardando il pubblico negli occhi e cercando l’interazione, per quanto possibile, individuale.
Chiudo questo ragionamento con un riferimento all’esperienza personale. In una conferenza tenuta qualche giorno fa ho dialogato con un uditorio tanto attento quanto maturo, fatta anagrafica eccezione per la presenza di uno studente presumibilmente delle scuole secondarie. Quando, vincendo la timidezza inevitabile in quel contesto, il singolo esponente della quota giovanile del pubblico mi ha posto una domanda complessa e palesemente correlata a quanto avevamo discusso prima, ebbene, in quel momento ho avuto conferma che fare ricerca acquisisce ancora più senso nel momento in cui riusciamo ad aprire un canale di comunicazione capace di lasciare un segno.
Nella Fondazione Bruno Kessler l’attenzione agli stimoli da proporre a studentesse e studenti è sempre in agenda. Lo stiamo sperimentando attraverso l’iniziativa FBK “AI4Education”, partita molto di recente, dedicata all’intelligenza artificiale e rivolta ai docenti delle scuole secondarie (qui una presentazione del ciclo, per la penna di Viviana Lupi e la voce di Claudia Dolci, responsabile dell’Unità Scholars & PhD Program). Ce lo racconta il bando per il soggiorno-studio estivo “WebValley 2024 – International”, che trovate qui.