For a Human-Centered AI

Rischio e fiducia, dicotomia della ripartenza (con più “noi” e meno io”)

18 Maggio 2020

Riflessioni sull’iniquità del rischio e sul necessario sforzo collettivo che enti, privati, operatori culturali e organizzazioni del terzo settore devono mettere in campo per ripartire

Rischio e fiducia sono due dimensioni collegate che fanno parte della nostra vita. Il rischio non lo menzioniamo spesso, ma la fiducia è un elemento ricorrente nei rapporti interpersonali. Amore, amicizia e lavoro sono governati dalla fiducia. I rapporti umani sono sempre guidati nella fiducia nell’altro, ma hanno anche una dose di rischio. Al rischio pensiamo poco, ma esiste. Personalmente non sono mai riuscito ad associare il rischio a un’immagine, forse perché non ci ho mai riflettuto a lungo.

Lo scorso ottobre mi è stato chiesto durante un workshop all’Aquila di associare la parola “rischio” a delle situazioni. Non è stato immediato, ma sono riuscito ad associarlo al rischio sismico e al rischio stradale. L’emergenza globale ha reso il rischio molto più visibile, ha tolto il velo della normalità, quell’abitudine data dalla convivenza che non ci consente di vedere quali e quanti rischi si corrano quotidianamente e, soprattutto, sul ruolo della fiducia nella nostra vita. Il lockdown mi ha fatto riflettere a lungo su questa dicotomia.

Oggi visualizzo molto più facilmente il rischio e lo associo alla parola equità.

Il COVID19 ha palesato il rischio pandemico e le iniquità della nostra normalità. Ne elenco qualcuna solo a titolo esemplificativo:

  • Le donne, forse risparmiate dal virus, in realtà hanno visto aumentato il loro carico familiare in termini di compiti di cura dei figli; hanno avuto e hanno un rischio maggiore di subire violenza tra le mura domestiche e nelle strade semi deserte;
  • Migranti regolari e irregolari in termini di protezione sanitaria, diritti e lavoro;
  • Lavoratori precari con contratti a termine o lettere di incarico;
  • Anziani, vittime preferite dal virus, soli oppure ospitati nelle Residenze Sanitarie Assistenziali;
  • Poveri e lavoratori in nero;
  • Abitanti del nord e del sud in termini di rischio ma anche di supporto economico post crisi dato in particolare dall’investimento reattivo di fondazioni private, presenti al nord, rarefatte nel Mezzogiorno.

L’elenco potrebbe essere ancora lungo, ma mi limito partendo dalla considerazione che non è il virus ad essere iniquo, bensì la stessa società “normale” a cui tutti desideriamo tornare ad esserlo.

Di fronte a queste iniquità si è chiesto allo Stato di mitigare il rischio e ritrovare fiducia. Il lockdown ha rivisto il welfare state protagonista: sanità e scuola sono assurte a protagoniste della scena. Si è riscoperta la necessità di avere infrastrutture di fiducia e le opinioni, di esperti e non, si sono spinte verso l’idea di una nuova società, un mondo diverso. A quest’analisi si è contrapposta la voglia di ritrovarsi secondo le modalità relazionali del passato, cioè di incontrarsi, abbracciarsi o rivedere i sorrisi.

Alla curva epidemiologica si potrebbero affiancare altre due curve: una legata alla voglia di porre fine al distanziamento sociale e una relativa ai meccanismi di welfare state che cittadini e imprese chiedono. Il calo dei contagi (e della percezione del rischio) è coinciso con un aumento delle richieste di supporto economico, di infrastrutture di fiducia e di socialità. Quest’ultima si è manifestata nel gesto, sbagliato sebbene istintivo e comprensibile, di abbassare la mascherina nel momento dell’incontro. In questa dicotomia si inseriscono margini interessanti di intervento.

La fiducia nell’altro non è venuta meno, è invece un’esigenza mai sopita. Ciò rende possibile intervenire per costruire e attivare il potere creativo e generativo dell’agire collettivo, facendo leva sulla fiducia e sui beni relazionali. Le misure di distanziamento sociale hanno messo in crisi l’economia ed evidenziato le iniquità dei nostri territori, ma hanno posto le basi per nuove forme d’intervento.

Ho partecipato di recente a un interessante webinar promosso da Ashoka Italia su rischio e fiducia. Consiglio di seguirlo; tra i tanti aspetti toccati, è emersa la necessità di costruire infrastrutture di fiducia condivise e la presenza di uno stato che sia capace di assumersi il rischio di delegare la soluzione di alcuni problemi ai cittadini e alle organizzazioni introducendo anche il cosiddetto danno erariale “sostanziale”, vale a dire l’idea che anche non affrontare i problemi costituisce un danno per le casse dello stato. Si è citato il caso dell’amministrazione pubblica di Liverpool che per anni ha speso ingenti risorse per le politiche in favore dei giovani della working class con risultati prossimi allo zero. Nel momento in cui ha chiesto soluzioni ai cittadini è venuta fuori un’idea di corso di Loud Speaking (parlare a voce alta). Il rischio è stato assunto da un privato, ma in primo luogo dalla PA scegliendo di delegare secondo sussidiarietà. Il risultato, decisamente inaspettato, ha prodotto un valore sociale gigantesco (cit. prof. Mario Calderini).

In questa ottica mi chiedo se valga la pena di assumersi un rischio “calcolato” in questa fase e costruire quelle infrastrutture di fiducia che fanno leva sull’intelligenza collettiva. In altri termini, ha senso accelerare sulle modalità partecipative legate alla costruzione dei Piani della Performance degli enti pubblici sia nella costruzione degli obiettivi che nella valutazione dei risultati?

Il famoso giocatore di basket Kobe Bryant sosteneva: “Ho rubato ogni mia mossa da grandi giocatori: cerco di renderli orgogliosi perché ho imparato così tanto da loro. Si fa tutto in onore del gioco, una faccenda enormemente più grande di me”. Parasafrandolo, da operatore culturale territoriale sento forte l’esigenza di risorse sia relazionali che economiche per superare questa crisi, ma anche di una cassetta degli attrezzi condivisa dove trovare gli strumenti che consentano la costruzione di un capitale sociale e relazionale in grado di abbattere l’iniquità del rischio. Vorrei che un po’ tutti noi potessimo “rubare” un pezzettino dagli altri, mescolare gli ingredienti e trovare soluzioni che ci consentano di ripartire.


Autore/i