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DNA Doe Project: la genealogia genetica e la ricerca delle identità

22 Febbraio 2023

La genealogia genetica ha acquisito nel corso degli anni un ruolo a tutti gli effetti cruciale nell’ambito investigativo e forense per la risoluzione di omicidi, per l’identificazione di assassini e per scagionare innocenti. Ma questo particolare filone della genetica può servire un ulteriore nobile scopo: quello di dare pace e giustizia ai molti “John e Jane Doe” rimasti senza storia e senza identità.

Così come nelle serie tv poliziesche, anche nella vita reale i test genetici permettono di risolvere casi di omicidio complicati: negli Stati Uniti sono stati risolti numerosi cold case grazie a queste nuove tecniche di analisi, tra cui l’identificazione del noto Golden State Killer, il cui DNA è stato collegato a 13 omicidi e a molteplici crimini sessuali commessi tra gli anni Settanta e Ottanta. Anche in Italia abbiamo un esempio in tal senso: per trovare una compatibilità con la traccia di DNA ignota rinvenuta sugli slip di Yara Gambirasio, sono stati raccolti campioni biologici a tappeto dagli abitanti e frequentatori della zona circostante al ritrovamento del corpo, ricostruendo di fatto la genealogia dell’assassino e arrivando ad incastrare Massimo Bossetti.

Ma la genealogia genetica può avere anche un’ulteriore funzione: l’identificazione di cadaveri senza riconoscimento, coloro che gli statunitensi indicano convenzionalmente con i nomi fittizi di John e Jane Doe. Nel 2017 in California nasce infatti il DNA Doe Project (DDP), un’organizzazione non-profit che si è prefissata l’obiettivo di identificare corpi senza nome e restituire un po’ di pace alle famiglie delle vittime. Al progetto nato dall’idea di Margaret Press e della genealogista forense Colleen Fitzpatrick collaborano oltre 60 esperti volontari, che alla fine del 2021 hanno potuto annoverare più di 65 casi risolti con successo.

DDP si serve di GEDmatch, una piattaforma che riceve dati da società che vendono test di DNA e tutta una serie di strumenti utili per ricostruire il proprio albero genealogico, come Ancestry, 23&Me e MyHeritage. In particolare, GEDmatch si interessa dei test DNA autosomici, che permettono di verificare le relazioni familiari di ciascun individuo e forniscono una stima circa le sue origini etniche. Vengono per questo tracciati molti più segmenti di DNA rispetto ad una normale rilevazione, in modo tale da scoprire quanti gradi di parentela vi siano tra due o più individui di una stessa discendenza.

GEDmatch vanta un grande database grazie al quale chi aggiunge il proprio profilo genetico può trovare parenti più o meno lontani che sono già riusciti a ricostruire le proprie origini grazie al sito.

E tutto ciò è di fondamentale importanza per i volontari di DDP: una volta ottenuto, il campione di DNA del soggetto sconosciuto su cui si sta portando avanti la ricerca viene inserito su GEDmatch e i risultati vengono sottoposti al vaglio dei ricercatori. L’obiettivo è quello di reperire un riscontro con il DNA del deceduto, ossia dei segmenti in comune. Generalmente, affinché una corrispondenza possa venire considerata valida sono necessari almeno sette centimorgan (unità di misura specifica del settore) di materiale genetico in comune, ma, per avere maggiori possibilità di successo, gli esperti di DDP non lavorano con meno di venti centimorgan condivisi. Tali riscontri riguardano, nella maggior parte dei casi, cugini molto lontani, i cui antenati coincidono con quelli dello sconosciuto a partire dall’Ottocento o addirittura prima, rendendo difficile ottenere documenti attendibili per la ricostruzione dell’albero genealogico.

Nelle migliori delle condizioni, i ricercatori trovano già registrato nel sito GEDmatch l’albero genealogico di un parente del cadavere: a quel punto si può iniziare ad investigare sul materiale disponibile. Spesso, però, pur trovandosi davanti ad un consanguineo del corpo senza identità, non si ha la possibilità di vedere la sua ascendenza: in queste situazioni è compito dei genealogisti genetici indagare sulla famiglia dell’ipotetico congiunto. Le armi a disposizione di DDP sono molteplici e non sono difficilmente reperibili: ricerca online, social network, articoli di giornale, documenti anagrafici e necrologi.

Un esempio pratico di quanto si possa scoprire grazie a questo tipo di ricerca è il primo caso risolto da Press e Fitzpatrick nel 2018. Nel 2002, il settantaseienne Joseph Newton Chandler III si suicida nel suo appartamento a Cleveland. Durante le indagini emerge che il nome con cui era noto alle autorità e il suo certificato di nascita appartenevano in realtà ad un bambino deceduto in un incidente d’auto nel 1945. A sedici anni di distanza dall’accaduto, le ricercatrici sono riuscite ad ottenere un campione di DNA dell’uomo e inserendo i risultati nel database di GEDmatch è stato possibile ottenere un riscontro con Alpha e Silas Nichols. Dei quattro figli avuti dalla coppia originaria dell’Indiana, tre sono ormai deceduti, mentre non sembrano esserci certificati di morte per il quarto: Robert Ivan Nichols. Uno dei figli di quest’ultimo ha riconosciuto suo padre nella foto dell’uomo morto a Cleveland ed è stato così possibile ricostruirne la storia. Robert Ivan era un veterano della Seconda Guerra Mondiale, rimasto profondamente segnato dall’esperienza dei combattimenti. Una volta tornato in patria si è sposato e ha avuto tre figli, abbandonandoli però nel 1964 senza lasciare spiegazioni.

È solo uno dei molti casi in cui, grazie a questo tipo di tecniche innovative, è stato possibile dare risposte alle famiglie dei John e Jane Doe, permettendo di apporre la parola fine al loro travaglio e impedire che le loro storie vengano perse per sempre. Certo, il lavoro di ricerca non è sempre privo di intoppi: il campione di DNA potrebbe essere irreperibile, gravemente danneggiato o insufficiente per effettuare riscontri. Oltre a ciò, alcune popolazioni sono scarsamente rappresentate nei database di materiale genetico, come accade per gli afroamericani, gli asiatici e i nativi americani. Infine, le storie delle famiglie di cui si ricostruisce l’ascendenza non sono sempre lineari e ci si può, quindi, imbattere in ostacoli che allungano i tempi dell’indagine e ne aumentano il coefficiente di difficoltà.

Tuttavia, per quanto potenzialmente ricco di insidie e agli albori, questo ramo della ricerca è sicuramente uno strumento prezioso non soltanto per la ricerca scientifica e forense, ma anche per un aspetto del tutto umano: far sì che nessuna identità e nessuna storia cadano nell’oblio.


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