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Il mutamento lessicale: approcci interlinguistici

7 Febbraio 2023

Se da qualche anno abbiamo cominciato a parlare di fitness e non di ginnastica, di meeting e non più di riunioni, è perché la lingua cambia continuamente, e l’adozione di prestiti è un fatto del tutto normale. Tuttavia, alcune parole sembrano resistere al mutamento più di altre: alcune ricerche cercano di capire il perché.

Studi sulle lingue del mondo spiegano che nessuna si è mai sviluppata in totale autonomia rispetto ad altre, né esistono parlanti che siano in grado di dominare solo una delle loro varietà. Al contrario, l’uomo è un animale poliglotta per natura: il nostro cervello appare predisposto, a livello biologico, all’acquisizione e all’utilizzo di più idiomi (e a più di una delle loro varietà). I casi di monolinguismo, come per l’islandese tra le lingue moderne, sono rari e motivati da ragioni storiche o ideologiche. 

Questa compresenza di più lingue nella testa di uno stesso parlante, poniamo un madrelingua italiano, può portare all’introduzione di una tessera lessicale proveniente da un altro idioma, come l’inglese. Il parlante bilingue italiano-inglese ha a disposizione entrambe le parole con i loro significati, e pertanto può utilizzare quella inglese all’interno del sistema dell’italiano: per esempio, dicendo a un amico di “andare a fare fitness”. E all’amico, che non conosce l’inglese, quello che appare come un sostituto della vecchia ginnastica può piacere, tanto da iniziare ad utilizzarlo con il medesimo significato con altri amici. Questo è il meccanismo – tuttora, per la verità, non del tutto chiaro nel suo svolgimento – secondo cui si adottano e si diffondono prestiti da altre lingue, che, beninteso, possono riguardare anche termini che non trovano un corrispondente italiano (come nel caso di computer).

Un fatto interessante che si osserva in molte lingue è che non tutti i vocaboli sono ugualmente suscettibili di mutamento. In passato si è notato che quelli che appartengono ad alcune aree semantiche mostrano di conservarsi significativamente rispetto a quelli che appartengono ad altre: ad esempio, nelle lingue dei nativi americani, i prestiti di parole che indicano esseri viventi superano quelli che riguardano gli oggetti – anche per quelli importati dagli europei – così come i prestiti per gli zoonimi superano quelli relativi alle piante.

Più di recente, l’attenzione si è concentrata su ciò che accade all’interno delle singole aree semantiche. Anche in questo caso, mentre alcune parole mutano variabilmente, attraverso nuove creazioni che possono anche servirsi di prestiti, altre non vengono sostituite per lungo tempo, talvolta per millenni.
Si prendano, ad esempio, i termini per la parentela in inglese: si noterà che le parole che corrispondono ai legami di sangue più stretti provengano dall’antico inglese (mother, father, sister, brother, daughter, son), mentre per gli altri casi si tratta di prestiti dal francese (aunt, uncle, cousin, niece, nephew, grand + parents/children). Ben sei vocaboli per il lessico della parentela si conservano dall’antico inglese, nonostante l’alto tasso di prestiti dal francese, penetrati nella lingua inglese a partire dalla conquista normanna dell’isola avvenuta nell’XI secolo. 

Proprio confrontando l’inglese con altre due parlate caratterizzate da un alto tasso di prestiti come maltese e domari, lingua indoaria parlata dai dom del Medio Oriente e imparentata con la romaní, Yaron Matras nota molte somiglianze nel comportamento dei termini per la parentela, arrivando a formulare il concetto di “proximity” constraint. Un criterio di “prossimità” opererebbe all’interno delle aree di significato, selezionando e conservando nel tempo i vocaboli che riguardano l’ambiente nelle immediate vicinanze dell’uomo: nel caso del lessico di parentela, conservando saldamente quelli che indicano i legami di sangue (fratelli, matrimonio, figli) rispetto ai più esterni. Un simile quadro pare profilarsi per la romaní, glottonimo di conio e uso accademico per la lingua di rom e sinti, caratterizzata da uno straordinario patrimonio in cui si stratificano antico indiano, armeno, iranico, greco e altre lingue a seconda del ramo di riferimento (ad esempio, il repertorio di un sinto lombardo include elementi soprattutto tedeschi, ma anche slavofoni e altri tratti da dialetti italoromanzi).

Il viaggio secolare di rom e sinti dall’India all’Europa è stato ricostruito storicamente grazie all’analisi linguistica dei dialetti romaní. Dove indicato con precisione, l’anno corrisponde a quello della prima documentazione che attesta l’entrata di gruppi rom o sinti nel paese in questione (dati da Soravia, Giulio. 2009. Manuale di lingua romani. Bologna: Bonomo e Beníšék, Michael. 2020. The historical origins of Romani. In: Matras, Yaron and Tenser, Aron, The Palgrave Handbook of Romani Language and Linguistics, pp.13-40. Cham: Palgrave Macmillan).

In particolare, Andrea Scala in The Palgrave Handbook of Romani Language and Linguistics rileva per cinque dialetti romaní parlati in Italia la presenza del criterio di “prossimità” per i termini della parentela e nota come in altre aree semantiche un requisito forte per la loro conservazione sia quello culturale: parole che ricoprono una funzione identitaria, di marker culturale, resistono fortemente all’innovazione, così come quelle che ricorrono più frequentemente nel discorso o che sono alla base delle nostre categorizzazioni. Tali considerazioni assumono una rilevanza ancora maggiore se consideriamo che un comportamento simile nei confronti della resistenza al mutamento si osserva nei vari dialetti romaní, oggi sistemi diversi, separati tra loro ormai da alcuni secoli, e al tempo stesso legati da un cammino e un’origine comune. Si tratta di una pista ancora poco esplorata, ma che può essere battuta anche grazie all’ausilio di alcuni database oggi accessibili nel web, per esempio nei siti dedicati dalle Università di Manchester e di Graz


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