Limitare il reclutamento nei cartelli è la via principale per ridurre la violenza in Messico
Pubblicato uno studio su "Science" a cui ha partecipato il ricercatore FBK Gian Maria Campedelli
Il ricercatore FBK Gian Maria Campedelli è co-autore dello studio pubblicato su Science “Reducing cartel recruitment is the only way to lower violence in Mexico”. Gli abbiamo fatto alcune domande per comprendere quali sono i metodi risultati più efficaci per ridurre la violenza e il numero degli omicidi in Messico e se alcuni aspetti di questa ricerca possono essere applicati anche in Italia.
Quali sono stati gli obiettivi dello studio?
Il lavoro ha avuto due obiettivi principali. Il primo ha riguardato la stima della dimensione della popolazione affiliata ai cartelli messicani. Fatta eccezione per alcuni recenti dati forniti da istituzioni attive nella lotta al traffico internazionale di droga come la DEA americana, non esisteva infatti una stima empirica del numero di membri di tali organizzazioni criminali. Il secondo obiettivo ha riguardato la simulazione di scenari di policy per fornire indicazioni riguardo ai possibili trend in termini di violenza e variazione della popolazione degli affiliati ai cartelli nei prossimi cinque anni.
Che cosa è emerso riguardo al numero di individui affiliati ai cartelli?
Stimiamo che al 2022 i cartelli messicani contassero fra le 160.000 e le 185.000 unità, numero in netto aumento rispetto alle 115.000 unità stimate per il 2012. Abbiamo calcolato che dal 2012 al 2022, un totale di 285.000 individui abbiano agito come affiliati dei cartelli e che il 37% sia attualmente deceduto (17%) o in carcere (20%). Il numero va valutato anche in termini relativi: in particolare, i risultati ci indicano che i cartelli messicani sono il quinto “datore di lavoro” del Paese, superando giganti quali Bimbo, una multinazionale dell’alimentazione, e Pemex, l’azienda petrolifera controllata dal governo messicano.
E relativamente agli interventi più efficaci per ridurre la violenza e il numero degli omicidi, cosa avete stimato?
I nostri risultati mostrano che se l’attuale trend in termini di affiliati e violenza dovesse continuare senza l’applicazione di alcuna policy, prevediamo un aumento degli omicidi del 40% e del numero di membri del 26% nei prossimi cinque anni. La prima policy che testiamo riguarda l’aumento della capacità reattiva delle forze dell’ordine: raddoppiare il numero di arresti, porterebbe ad un aumento degli omicidi dell’8%, mentre il numero di affiliati aumenterebbe del 6%, dimostrando l’inefficacia di un approccio puramente repressivo e punitivo.
Se, invece, le istituzioni messicane si concentrassero sul reclutamento riducendolo della metà, stimiamo che il numero di omicidi settimanale fra affiliati dei cartelli e la dimensione della popolazione affiliata ai cartelli diminuirebbero rispettivamente del 25 e dell’11%. Tali risultati sottolineano l’importanza di investire in una strategia preventiva che offra ai giovani messicani strade alternative rispetto a quelle legate alla criminalità organizzata.
Oltre a questi due scenari di policy principali, abbiamo simulato gli effetti di altri due approcci alternativi: la diminuzione del conflitto fra cartelli (narcopeace) e l’aumento di probabilità di frammentazione degli stessi. In nessuno dei due casi i benefici si avvicinano a quelli derivanti dalla prevenzione del reclutamento. Ridurre il conflitto del 20% riduce il numero di omicidi fra membri dei cartelli dell’8.7%, mentre aumentare la frammentazione dei cartelli del 20% ridurrebbe gli omicidi del 5.4%.
Che metodo avete seguito per arrivare a questi risultati?
Lo studio utilizza dati aperti su omicidi, persone scomparse e arresti in Messico assieme all’integrazione di dati di rete su alleanze e conflitti fra cartelli e si fonda sull’applicazione di un approccio matematico basato su sistemi di equazioni differenziali e sistemi complessi. In questo modo si è dimostrata anche l’importanza e l’utilità di integrare l’utilizzo di approcci matematico-computazionale nello studio dei fenomeni sociali, inclusi quelli di natura criminale, un tema che mi sta particolarmente a cuore.
Lo studio ha una rilevanza solo per la realtà messicana o ha un impatto ulteriore?
La rilevanza dei risultati si estende oltre il contesto nazionale messicano: i cartelli della droga rappresentano entità criminali transnazionali con legami fortissimi all’interno del continente americano, con un’enfasi particolare rispetto alle relazioni con gli Stati Uniti, e in Europa. Il loro impatto criminale ed economico ha dunque una valenza intercontinentale, come dimostrato da ampia letteratura sul tema.
I metodi della ricerca possono essere applicati anche all’Italia?
Per l’Italia, in modo particolare, lo studio ha una duplice valenza: stimolare ulteriormente l’utilizzo di dati aperti per mappare le attività e la presenza mafiosa e favorire l’analisi di scenari di policy tramite metodi computazionali di simulazione per fornire indicazioni data-driven rispetto a possibili impatti nel breve e medio-termine. Il contributo della ricerca empirica, che in Italia esiste ed è di buon livello, è tuttavia largamente ignorato dalle istituzioni pubbliche mentre potrebbe essere di grande aiuto per politiche evidence-based degli organi preposti alla lotta alle mafie e alla criminalità transnazionale.
Riguardo al tuo percorso, quali sono state finora la tua formazione e le tue attività di ricerca e perché hai deciso di lavorare alla FBK?
Io ho un profilo piuttosto ibrido. Ho un background di studio principalmente legato alle scienze sociali: triennale in Scienze Politiche, magistrale in Public Policy e un dottorato in Criminologia. Durante i tre anni del percorso dottorale ho svolto però un periodo di ricerca presso la School of Computer Science della Carnegie Mellon University a Pittsburgh, Stati Uniti. In generale, durante il PhD ho cercato di integrare lo studio di fenomeni criminali con l’utilizzo e lo sviluppo di metodi statistici e computazionali, collaborando con colleghi dai profili più disparati. È un tipo di percorso che negli Stati Uniti è sicuramente minoritario ma comunque non così eccezionale. In Italia e in Europa, invece, questo dialogo fra discipline si sta sviluppando solo negli ultimi anni. L’Università di Trento e la Fondazione Bruno Kessler, in particolare, sono fra i poli principali e più avanguardistici in questo senso nel nostro Paese. Anche da esterno ho sempre guardato con ammirazione alla diversità di prospettive e sensibilità che emergono da diverse unità di FBK, fra cui ovviamente MobS in cui lavoro attualmente. La ricchezza intellettuale che può emergere da un ambiente così ha inciso molto sulla mia scelta di lavorare qui.
Di quali temi di ricerca ti occuperai in futuro?
Qui alla FBK lavorerò sul progetto Pre-crisis, che si occuperà di sviluppare piattaforme per migliorare la sicurezza urbana attraverso l’integrazione, fra gli altri, di dati sull’ambiente, la struttura urbana, la mobilità e i reati all’interno di diverse città, fra cui Trento. In parallelo, con alcuni colleghi dell’Unità stiamo lavorando sull’idea di combinare intuizioni e idee provenienti dalla social learning theory per formalizzare e sviluppare sistemi intelligenti di macchine che possano imparare fra loro, tramite meccanismi di interazione. Oltre a questi due progetti, continuerò il mio lavoro su altri filoni di ricerca già aperti prima di arrivare qui: l’impatto dell’esposizione alla violenza della criminalità organizzata sulla fiducia nelle istituzioni, approcci di machine learning per predire comuni infiltrati dalla mafia, polizia americana e disparità razziali e, ovviamente, proseguirò il mio lavoro sul tema della riduzione della violenza causata dai cartelli in Messico. Escludo però questa sia una lista esaustiva e, soprattutto, definitiva.