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Identità e performance nella società del web

5 Settembre 2019

I giovani, gli adolescenti, i nativi digitali, i millennials sembrano preferire la connessione alla relazione, mettendosi al riparo dai rischi che ne derivano

Diciamo di spendere ore sull’email, ma anche noi veniamo spesi, consumati.
Online troviamo facilmente ‘compagnia’, ma siamo consumati dalla pressione della rappresentazione.
Abbiamo a disposizione una connessione continua eppure è raro che qualcuno ci dedichi tutta la sua attenzione e viceversa.
Possiamo avere un pubblico immediato, ma appiattiamo ciò che diciamo in nuove forme di abbreviazione.
Ci piace che il web ci “conosca”, ma questo è possibile solo a scapito della nostra privacy, grazie alla scia di bricioline elettroniche che lasciamo e che sono facili da seguire e da sfruttare, sia politicamente che commercialmente.
Facciamo tante nuove conoscenze, che però rischiamo di vivere come provvisorie, in attesa che ne arrivano di migliori.
Possiamo lavorare da casa, ma il lavoro s’insinua nella nostra vita privata finché alla fine fatichiamo a discernere i confini.
Ci piace poterci contattare quasi all’istante, ma dobbiamo obbligarci a nascondere i telefonini per avere un attimo di pace.

Turkle S. (2012), Insieme ma soli.
Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Torino: Codice edizioni, pag. 116.


– Questo articolo è una introduzione alla pubblicazione della sociologa Barbara Morsello
intitolata “Distopie digitali. Osservazioni su giovani, rischi e identità nella società del web” –

Come riportato nell’articolo scientifico, dagli anni Settanta assistiamo a un progressivo svuotamento delle identità collettive in favore di un culto della personalità. Ognuno di noi costruisce una traiettoria del sé capace di assicurare un progetto per il futuro sulla base di una conoscenza più o meno stabile in modo da ridurre i rischi derivanti dalle proprie scelte di vita. Rischio che non è nient’altro che un concetto culturalmente costruito e definito, per cui non solo ogni società, ma pure ogni gruppo sociale avrà le sue idee e le sue retoriche sul rischio. Il processo di graduale erosione delle istituzioni, insieme alla frammentazione dei riferimenti di senso così come degli attori collettivi, comporta una difficoltà strutturale nell’articolazione dell’identità per i giovani, obbligati a mettersi costantemente alla prova e sempre più spesso impigliati nella fragile trama delle emozioni e sotto la pressione esercitata dalla paura del futuro.

Lo studio mette in evidenza che un giovane su 20 oggi dichiara di non avere figure di riferimento, prevalentemente non perché ritiene di cavarsela da solo (30%) bensì perché ne avverte il bisogno, ma non riesce ad identificarle (60%). Le uniche figure di riferimento riconosciute sono quelle informali, la madre (33%), un caro amico (26%) il partner (14%) mentre restano drammaticamente basse le figure istituzionali come quelle dei professori, educatori e le figure religiose che rasentano l’1%.

Emerge che la frammentazione del sé e il passaggio dal concetto di personalità a quello di personaggio dominano nella costruzione della propria presentazione nei diversi ambienti quotidiani e ritrova nell’online un maggiore spazio di movimento. L’impressione che gli utenti hanno è quella di poter gestire un sé molto più aperto e multiplo. I giovani sono quindi impegnati a costruire percorsi di vita sempre flessibili e in accordo coi mutamenti sociali e le esigenze del mercato, in un periodo di forte accelerazione e di conseguente alienazione dei percorsi di vita. In questo contesto l’idea del progresso tecno-scientifico da promessa di felicità universale diviene la miccia di un cambiamento inarrestabile. Il terrore di restare indietro e perdere il treno del progresso genera le comunità dell’ansia. Nonostante i giovani si definiscano abbastanza felici (58,6%), essi soffrono di una carenza di prospettive e di mancanza di punti di riferimento che può produrre ansia, depressione e incidere negativamente sul loro benessere emotivo.

La ricercatrice indica identità, intimità e immaginazione come elementi indispensabili per la formazione e l’elaborazione di un’architettura individuale in relazione alla società e ai mondi culturali. Aggiunge inoltre che l’Eros, secondo Platone, ha un influsso su tutte le componenti dell’anima: desiderio, coraggio e ragione. In questa cornice, l’azione politica, intesa come un desiderio comune per una diversa forma di vita, per un mondo più giusto, è profondamente correlata con l’eros. Ne deriva che la riduzione dell’eros a mero desiderio individuale, da soddisfare, impedisce la realizzazione di azioni collettive basate su coraggio e ragione. La metamorfosi dell’eros, intesa come forza propulsiva verso l’alterità, comporta di conseguenza un annichilimento dell’azione collettiva.

In parallelo, coi suoi nuovi luoghi della socialità, internet appare più autentico e genuino dei contesti offline, dominati dalla paura degli altri, dalla difesa e dalle aspettative di ruolo. Le tecnologie digitali, con particolare riferimento ai social network, vengono utilizzate dai più giovani come una rete di protezione dalle ansie generalizzate. La paura dell’altro viene canalizzata attraverso il dispositivo, consentendo schemi d’improvvisazione sicuri e modelli attraverso i quali ristabilire la prevedibilità del mondo sociale. Questo avviene perché, quando si è sempre più reticenti a esporsi, il ruolo della mediazione digitale consente di aumentare la possibilità di correre “rischi ben calcolati”. Si assiste, infatti, anche a una trasformazione dell’intimità e delle relazioni interpersonali. Alcune analisi sociologiche legano l’erosione dei legami stabili e duraturi all’emergere delle tecnologie della scelta volte a capitalizzare i contatti e annientare l’altro che appare e scompare dietro la tastiera. In questo modo, a un azzeramento della distanza corrisponde una iperconnessione senza compromessi, che diventa veicolo di eccitazione senza narrazione. Al riparo dai rischi, la rete è interpretata come una infinita trama di opportunità, il luogo dove tutto è possibile. Al contempo, accade che la crescente libertà di scelta, che corrisponde a un aumento della responsabilità, comporta una razionalizzazione del desiderio. Si agisce cioè non più sulla base di una pulsione, bensì compiendo una scelta ragionata secondo i criteri ritenuti validi all’interno del paradigma della performance.

Internet, con le relazioni che si organizzano nelle sue praterie digitali, perde dunque la consistenza dello spazio fisico dell’agire collettivo e comunicativo. La logica del Like e dei Follower sembra essere la trasposizione digitale di una tradizionale ricerca del consenso narcisistico in cui l’identità si alimenta di gratificazioni delocalizzate. Mettere in scena se stessi non è mai stato più facile ma, al contempo, curare la propria immagine e la propria idea del sé, diventa un lavoro a tempo pieno. D’altronde assistiamo a un massiccio ritorno delle emozioni come tema fondante non solo per l’identità, ma anche per l’agire collettivo. Basti pensare al tipo di comunicazione dei nuovi media e in particolare dei social network, scomposta in pochi caratteri, immediata, caratterizzata dall’uso massiccio di immagini, di filmati brevi, le cosiddette stories. La pervasività, degli spazi del digitale nelle relazioni umane finisce per favorire il profilarsi del consumatore privo di empatia che mira esclusivamente al soddisfacimento di desideri personali provvisori, a scapito di una formazione di un cittadino responsabile nei confronti della comunità di cui fa parte: è così che la moltiplicazione delle opinioni polarizzate ha paradossalmente eroso lo spazio dell’opinione pubblica comportando una progressiva depoliticizzazione della società. Tuttavia, il rinnovato protagonismo dei giovani di tutto il mondo, che esortano i decisori ad attuare con lungimiranza una grande transizione ecologica, pone le premesse di una consapevolezza inedita capace di rigenerare gradualmente tanto la partecipazione culturale quanto quella politica.


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