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Il rifiuto alla vaccinazione Anti-Covid degli esercenti le professioni sanitarie

10 Maggio 2021

Un webinar di FBK per la Salute su una pagina tanto attuale quanto delicata della pandemia da Covid-19

Un tema particolarmente controverso della campagna vaccinale iniziata ormai da alcuni mesi, che permette di vedere una fioca luce in fondo al tunnel della pandemia da covid-19 con cui ci confrontiamo da oltre un anno, è stata l’introduzione necessaria dell’obbligo vaccinale per esercenti professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario introdotta lo scorso aprile 2021. Necessaria perché un rifiuto da parte di chi studia e pratica la scienza e lavora a strettissimo contatto con pazienti deboli e compromessi, le principali vittime del virus, ha risvolti deontologici e professionali di non trascurabile entità, a partire dall’apparente sospensione del giuramento di Ippocrate precedentemente accettato e sottoscritto da chi ha voluto fare della medicina la propria professione.

Ma come si inquadra questa inedita introduzione di un trattamento sanitario obbligatorio nella cornice giuridica e storica del nostro Paese? Ce lo ha illustrato con fermezza e competenza il Professor Pasquale Giuseppe Macrì, direttore del servizio di Medicina Legale di Arezzo e dell’Area Funzionale Dipartimentale Medicina Legale e gestione della responsabilità sanitaria dell’Azienda Usl Toscana Sud Est, quindi un’autorità indiscussa nel campo della medicina legale.

Siamo partiti dall’analisi della legge 24/2017 Gelli-Bianco, che ha segnato uno spartiacque per la responsabilità medica, e lo abbiamo fatto perché anche questa è una legge nata in un contesto emergenziale, non grave come quello attuale ma rifacentesi a quando la crisi economica-finanziaria diede il via a quella politica e venne nominato il governo tecnico Monti, il cui ministro Balduzzi incise notevolmente sull’ esito normativo sanitario, finora molto raro. La prima norma sanitaria di rilevanza nazionale risale infatti al 1978, preceduta nel 1934 da un testo unico reso decreto. Con le successive normative del 2012 e infine del 2017, il diritto sanitario assume un corpus repubblicano fortemente ispirato ai valori costituzionali e nato non per esigenze delle professioni ma per esigenze condivise circa la certezza di cura, assicurazione, nuovi criteri per accertare la verità in caso di errore medico.

La legge 24 fonda quindi un nuovo diritto per il cittadino partendo da una costellazione di principi costituzionali volti alla tutela dell’individuo (diritto alla sicurezza delle cure, ad esprimere il consenso e non sentirsi vittima di violenza in caso di non rispetto delle proprie volontà da parte di medici e strutture, ecc.).

L’avvento inatteso e spiazzante dell’emergenza pandemica chiede però una nuova lettura del contesto: i diritti inalienabili dei singoli di scegliere e rifiutare vanno ora conciliati con gli interessi e i diritti della collettività. In altre parole, e nel caso di interesse specifico del webinar, come tutelare raggiungimento dell’immunità di gregge – che il professor Macrì preferisce chiamare “immunità di popolo” – e diritto a non vaccinarsi?

Il relatore ha voluto parlarne analizzando parola per parola la Costituzione, a partire dall’articolo 32, comma I, che recita:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

Parafrasando: nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, a meno che non sia stabilito di legge. Tuttavia, la legge può prevedere solo obblighi che non siano irrispettosi della dignità della persona, pertanto la giurisdizione ha una limitata libertà di azione. Sembra un vicolo senza uscita. Ma procediamo con l’esame dell’articolo 13:

 

“La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.”

Insomma, sembra di essere davvero arrivati a un punto morto, persi nei gineprai legislativi che paiono da un lato garantire ai singoli libertà e autodeterminazione ma devono fare i conti, dall’altro, con la doverosità di certi comportamenti finalizzati alla solidarietà e tutela collettiva. E qui ci viene in soccorso, ancora una volta, la Costituzione Italiana, a cui tanti si sono di recente appellati, invocandola e denunciandone un presunto calpestamento da parte di chi si è trovato a prendere, nei mesi scorsi, decisioni tanto scomode quanto giuste, se non inevitabili (ricordiamo che siamo di fronte anche ad uno stato emergenziale normativo, non solo sanitario ed economico).

L’articolo 2 cita:

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Ecco quindi delinearsi il concetto di “bilanciamento”, ovvero un patto fra la società e i singoli che tuteli e bilanci gli interessi di tutti, degli individui ma anche della comunità in cui essi vivono. Una sorta di do ut des, potremmo dire. Un esempio calzante ce lo forniscono sempre i vaccini, ma quelli indicati come obbligatori per i bambini: i genitori possono decidere di non vaccinare i propri figli (garanzia della libertà personale e scelta decisionale) ma devono di contro pagare una piccola ammenda e rinunciare a determinati servizi che la legge ha deciso di riservare a chi ha conseguito le vaccinazioni consigliate.

Similmente, nell’inedito contesto storico estremamente delicato e precario in cui ci troviamo, dove dalla situazione sanitaria dipendono strettamente la salute dell’economia, del turismo, dell’educazione e del tessuto sociale, ecco che si delinea la totale legittimità di richiedere l’obbligo vaccinale agli esercenti le professioni sanitarie. Inizialmente si era ventilata l’ipotesi di introdurre un obbligo vaccinale collettivo, quindi esteso anche alla cittadinanza, poi accantonato perché nessun Paese europeo intendeva prevederlo e confidando che, vista l’attualità del rischio, non sarebbe servito ricorrere a strumenti vincolanti, optando quindi per riservare l’obbligo solo ad alcune categorie essenziali, che avevano già il privilegio di poter ricevere il vaccino prima degli altri.

Riassumendo, alla luce di quanto esposto sopra: c’era davvero bisogno di questo obbligo? Dal punto di vista legislativo sì, perché la costituzione ci dice che serve una legge per perseguire il bilanciamento: allo scarso rischio dei nuovi vaccini si somma la situazione di particolare necessità in cui versa il sistema sanitario, che ha bisogno di medici in perfetta salute e, soprattutto, che non si rendano involontariamente portatori di contagio, per garantire non solo le cure ai pazienti covid ma anche la ripresa e il proseguimento dell’attività diagnostica di tutte le altre malattie. Oltre, naturalmente, alla deontologia medica.

Dal punto di vista sostanziale, invece, questo obbligo non sarebbe servito – o meglio, non sarebbe dovuto servire – perché, di fatto, i medici già accettano il rischio di esporsi al contagio e di esporre di conseguenza i loro famigliari e pazienti, quindi accettare il rischio incommensurabilmente inferiore di incorrere in reazioni avverse da vaccino sembrerebbe scontato. Eppure.

Un parallelismo molto semplice ma efficace è questo: nessun normale cittadino è obbligato a spegnere un incendio, se non per senso civico, ma i pompieri lo sono, anche a fronte di grossi rischi personali, per via del loro ruolo sociale e professionale. Lo stesso vale per chi lavora in prima linea per estinguere le fiamme distruttive del virus che ha infettato il mondo intero.

Da qui, la necessità di introdurre un obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie che non è, di fatto, un obbligo coercitivo quanto un patto sociale: chi lo rifiuta non viene, ovviamente, vaccinato a forza, ma dovrà accettare di essere spostato su ruoli diversi, che non prevedano uno stretto e diretto contatto con i malati (prerequisito di idoneità alla mansione), oppure, ove non possibile, la temporanea sospensione dall’impiego (e dallo stipendio) fino al 31/12/2021 (data fino a cui il decreto è attualmente in vigore).

Di seguito gli step previsti dalla procedura:

1. Accertamento dello stato vaccinale di coloro chiamati alla vaccinazione in quanto operanti all’interno di strutture sanitarie entro 10 gg dall’ entrata in vigore del decreto;

2. Le singole regioni segnalano gli operatori inadempienti;

3. Viene attivato un counselling vaccinale da parte delle aziende sanitarie locali per aiutare coloro che si trovano in uno stato di “esitazione vaccinale”, ovvero che nutrono dubbi, riserve e paure nei confronti dei nuovi vaccini ma che non sono contrari a priori.

Diversamente dalle infondate recriminazioni e accuse dei no vax, che interessano fortunatamente una percentuale molto minore di popolazione, l’esitazione vaccinale è comprensibile per via della novità dei nuovi farmaci, della complessità della situazione e della marea indicibile di fake news che girano sul tema, ma lo è principalmente nella popolazione di “non addetti ai lavori”, mentre risulta meno comprensibile fra le schiere di chi si è votato alla scienza, che troverà comunque nelle aziende sanitarie preposte supporto e confronto su questa delicata questione.


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