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Metaverso, educazione, socialità. Quale sarà la nostra direzione?

4 Aprile 2023

Un excursus dalla prima pagina web della storia al Metaverso: cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova realtà virtuale, in cosa potrebbe aiutare l’umanità e quali sono invece le potenziali zone d’ombra.

Anno 1992. Lo scrittore statunitense Neal Town Stephenson immaginava, nel suo romanzo di genere postcyberpunk Snow Crash, un’America iper-capitalista di fine XX secolo, dominata dalle multinazionali e sdoppiata grazie alla possibilità di accedere, tramite avatar, ad una realtà virtuale tridimensionale, il Metaverso.

Appena un anno prima, nel 1991, il ricercatore del CERN di Ginevra Tim Berners-Lee metteva online la prima pagina web della storia, basata sulla tecnologia Web 1.0 che, per quanto ancora rudimentale, aprì un’inedita possibilità di comunicazione su scala globale e di accesso (almeno apparentemente) illimitato alle informazioni.

Sembrerebbero passati secoli ma sono poco più di trent’anni: da allora molte cose sono cambiate e oggi la nuova frontiera tecnologica è rappresentata dal Web 3.0 e dal Web3, ormai divenuti l’uno sinonimo dell’altro ma nati separatamente.
Il concetto di Web 3.0 (o web semantico) è stato infatti coniato dallo stesso Berners-Lee, che immaginava una configurazione data-driven, governata da applicazioni intelligenti in grado di analizzare i dati stessi e di prendere decisioni.

A rilanciare il progetto è stato in seguito lo scienziato informatico Gavin Wood, fondatore della Web3 Foundation: la sua idea di web (elaborata nel 2014) si basa infatti sulla disponibilità di nuove tecnologie, come la tipologia di database blockchain, che rendono possibile la strutturazione di un web decentralizzato. 

Ma in che senso web decentralizzato e perché?
L’obiettivo sarebbe superare quella che è stata considerata una svolta negativa apportata dal Web 2.0 (attualmente in uso), ossia l’affermazione di pochi colossi proprietari di social network e gestori dell’e-commerce. Al centro dell’attenzione non c’è soltanto il loro strapotere economico ma anche e soprattutto l’arbitrio con cui possono controllare il traffico dati sul web, con gravi problematiche relative ai diritti di privacy (emerse ad esempio con lo scandalo di Cambridge Analytica).
Decentralizzare i dati significherebbe dunque, almeno nelle intenzioni, restituirne la gestione agli utenti e rendere il web più equo ed inclusivo.
D’altro canto l’avanzamento tecnologico del Web3 non si limita a questo, dischiudendo possibilità immersive senza precedenti, sebbene ancora da realizzare. 

Proprio per la sua immersività il Metaverso si distinguerà infatti radicalmente dalla realtà virtuale che fino ad oggi abbiamo conosciuto, superando la modalità 2D degli attuali web e social network e garantendo agli utenti un’esperienza di tipo interattivo.
Tale realizzazione rappresenterà quindi l’ultimo passo dopo la Mixed reality (che connette realtà virtuale e realtà aumentata) e la Extended reality (punto di incontro tra realtà virtuale, aumentata e mista): lo stesso termine “metaverso” significa letteralmente “oltre l’universo”, esprimendo chiaramente l’idea di un progresso estremo.
Altra caratteristica peculiare sarà la sua permanenza: il metaverso esisterà infatti indipendentemente dalla nostra presenza in esso, registrando le conseguenze delle nostre azioni.

Dalle occasioni di lavoro e commercio a quelle di socialità e formazione, il metaverso sembrerebbe dunque inaugurare scenari inediti e degni di interesse: non è del resto un caso che a fine 2021 Mark Zuckerberg, proprietario dei social Facebook, Instagram e Whatsapp, abbia deciso di cambiare il nome della propria azienda in “Meta”.
Ancor prima, il 16 febbraio 2017, lo stesso Zuckerberg pubblicò un manifesto sulla necessità di costruire una comunità globale, come rimedio alla dissoluzione delle comunità umane avvenuta nel corso dei decenni. 

Ricostituire dunque il tessuto sociale grazie alle risorse online, portare a termine l’abbattimento delle barriere geografiche, ricompattare il mondo: è evidente che lo sviluppo di una realtà pienamente immersiva potrebbe accelerare e perfezionare un tale progetto, senz’altro dotato di buone intenzioni. 

Altro campo in cui il metaverso potrebbe apportare migliorie significative, è quello dell’istruzione: già nel giugno 2022, in una scuola di Bari, 150 alunni tra gli 8 e i 14 anni sono stati coinvolti in una sperimentazione, guidata dalla startup Augmented.City, legata all’applicazione delle tecnologie di realtà aumentata e mista allo studio della storia.
La ceo di Augmented.City, Katherina Ufnarovskaia, si è dichiarata pienamente soddisfatta dei risultati, dal momento che tutti i bambini coinvolti si sono dimostrati in grado di utilizzare gli strumenti messi a disposizione e hanno avuto la possibilità di immergersi in contenuti tridimensionali, riproduzioni di personaggi celebri, palazzi e quartieri storici. 

A dare un’accelerata significativa ai progetti di sviluppo dell’apprendimento virtuale è stata anche l’esperienza, forzata, di Didattica a Distanza (DAD), impostasi durante i mesi di pandemia da Covid19, con risultati spesso insoddisfacenti.
Nonostante ormai da anni esistessero atenei virtuali, atti a rispondere alle esigenze di chi, per motivi di lavoro ma non solo, non era in grado di frequentare fisicamente l’università e di adeguarsi ai suoi orari spesso discontinui, la gran parte degli ambienti universitari e scolastici non si è dimostrata nel momento del bisogno al passo con i tempi e con la digitalizzazione. Anzi, non appena l’emergenza si è detta conclusa, l’abbandono dell’insegnamento online è stato pressoché immediato e collettivo: sospinti dal desiderio di ritornare ad una del resto auspicabile modalità di insegnamento in presenza, arricchita dall’interazione più attiva tra comunità studentesca e corpo docenti, ci si è però spesso dimenticati di quanto appreso, senza nemmeno considerare la possibilità di un suo sviluppo e utilizzo ausiliare.

D’altra parte c’è anche chi immagina ora di poter sopperire alle evidenti mancanze della DAD grazie allo stesso metaverso: di qui il neologismo Metaversity, che vuole indicare un ambiente universitario virtuale ma immersivo, tridimensionale, nel quale siano ricostruiti spazi comuni in cui, attraverso i propri avatar, sia reso possibile un incontro “reale”, nonché forme di didattica e ricerca inedite. Uno studente di medicina potrebbe, ad esempio, apprendere tecniche chirurgiche e metodologie diagnostiche senza rischi; uno studente di storia potrebbe entrare direttamente a contatto con eventi e luoghi storici ricostruiti ad hoc, un apprendista archeologo visitare e fare esperienza presso scavi archeologici localizzati in territori pericolosi.

Oltre all’estrema interattività, il metaverso potrebbe inoltre perfezionare l’internazionalizzazione dei corsi universitari (oltre che estenderla ai livelli scolastici inferiori) senza che vi sia necessità di spostarsi fisicamente dalla propria città o Paese.

Ma, di fronte a tanti vantaggi, una qualche forma di onestà intellettuale imporrebbe anche un’analisi dei potenziali aspetti dannosi: in primo luogo, prendendo in considerazione l’utilizzo del metaverso ai fini di un apprendimento di qualità sempre maggiore, bisognerebbe tuttavia tenere conto del fatto che, in quanto prodotto umano, anche una realtà virtuale di livello così avanzato non sarebbe esente da difetti ed errori. 

Per quanto ad esempio il metaverso potrebbe notevolmente agevolare lo studio della storia, non va dimenticato che quest’ultima ha la sua radice nel mondo reale, nelle fonti scritte e testimonianze materiali di vario genere (oggettistica, arte, architettura etc); e che dunque l’uso di strumenti digitali andrà sempre accompagnato alla capacità di analisi critica delle fonti. A ciò si aggiunge l’importanza della tutela delle stesse: la digitalizzazione è oggi uno strumento fondamentale ma non può in alcun modo implicare che si trascurino o addirittura eliminino, come alcuni vorrebbero, le fonti autentiche.

D’altro canto, su di un piano sociale, non è pensabile che il metaverso possa sopperire ai nostri problemi, in un’epoca in cui i rapporti umani, il confronto autentico con gli altri, la creazione di legami ci risultano sempre più difficili: per quanto il promesso abbattimento di barriere e confini nel virtuale sia propositivo, sono proprio le barriere reali ad alimentare un clima di conflitto crescente. Spostarsi da casa, visitare altri Paesi, conoscere nuove lingue, culture, sapori e tradizioni rappresenta un’esperienza preziosa e insostituibile: uscire dalla propria comfort zone, aprirsi al diverso come non è possibile fare in una virtualità per sua natura asettica. 

E per quanto l’apertura di occasioni di socialità e corsi di studio internazionali tramite metaverso potrebbe davvero garantire una maggior inclusività, è necessario vigilare attentamente affinché ciò non generi un’ennesima questione di classe; affinché cioè tali strumenti siano in futuro davvero accessibili a tutti e non prerogativa di una più o meno ristretta élite privilegiata.

 


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