Scuola: integrazione o inclusione?
“Se non imparo nel modo in cui tu insegni, insegnami nel modo in cui io imparo!”
Come si fa a garantire il successo formativo degli allievi con Bisogni Educativi Speciali?
Il docente 3.0 ci direbbe che è tanto facile quanto arduo per due ordini di motivi:
- È necessario osservare l’allievo, sia in maniera libera che strutturata, per essere in grado di “cucire” un intervento didattico su misura, adatto al suo stile di apprendimento.
- È importante conoscere le metodologie didattico-pedagogiche da approntare di fronte ad ogni singolo problema.
Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) vivono condizioni di disabilità fisica, psichica e/o sensoriale, disturbi specifici di apprendimento, disturbi evolutivi, difficoltà o svantaggi legati a condizioni ambientali, culturali, linguistiche o socioeconomiche.
Tali difficoltà possono essere globali e pervasive, specifiche, settoriali, gravi, severe, permanenti o transitorie. La scuola ha il dovere di garantire la piena partecipazione alla vita scolastica a tutti gli allievi, oltre che di fornire un ambiente entro cui gli alunni possano essere valorizzati e forniti di uguali possibilità a scuola, in ottemperanza alle indicazioni fornite dal MIUR.
L’integrazione interviene prima sul soggetto con disabilità e poi sul contesto, con l’obiettivo di creare le stesse opportunità degli altri alunni; si focalizza sul singolo soggetto, cui si imputano deficit o limiti di vario genere e a cui si offre un aiuto di carattere didattico e strumentale per il superamento o il mitigamento degli stessi e per essere integrato nel sistema.
L’inclusione è un processo che guarda a tutti gli alunni e a tutte le loro potenzialità; offre strategie educative funzionali ai diversi bisogni, rendendo ciascun allievo protagonista del processo di apprendimento, qualunque siano le sue capacità, le sue potenzialità e i suoi limiti. In altre parole, trasforma la risposta specialistica in ordinaria per garantire la partecipazione attiva degli allievi. Ed è di una scuola inclusiva che abbiamo bisogno!
La ricerca in ambito didattico ci ha fornito svariati strumenti e strategie che, a titolo di esempio, permettono ad un allievo ipovedente di vedere al di là di ogni apparenza, ad un ragazzo sordo di essere in grado di ascoltare la voce di tutti e ad uno studente con sindrome di Asperger di vincere le olimpiadi di matematica. Non pensiamo a “la giornata contro la Dislessia” o “la giornata dell’ADHD”, perché noi docenti che ci occupiamo di questi disagi, lo facciamo tutto l’anno per sviluppare l’intelligenza emotiva dell’allievo e per realizzare l’armonia tra mente e corpo.
C’è una ricetta per ogni disturbo, una metodologia per ogni difficoltà, una strategia educativa per ogni distrazione, un software per ogni problema, una misura dispensativa per ogni disagio. Il punto è sempre lo stesso: la teoria va acquisita e applicata in classe dal docente/facilitatore che, da buon “maestro d’orchestra”, avrà il compito di scoprire i talenti ed armonizzare ogni singolo strumento del proprio gruppo.
Laddove individuerà un allievo con accentuata difficoltà o, al contrario, un discente super dotato, l’insegnante metterà in campo una didattica personalizzata, calibrata sugli specifici bisogni dello studente. Questa è la caratteristica di un docente inclusivo.
Jean Piaget, psicologo costruttivista particolarmente elogiato nell’ambito della psicologia evolutiva e pedagogia moderna, asserisce che il docente non è un oratore, bensì un mentore che invita i ragazzi a prendere iniziative e a costruire un proprio pensiero.
Ho ritrovato molto della scuola attiva nel progetto Riconnessioni, impegnato nella creazione di una scuola inclusiva, innovativa e creativa, che sia snodo centrale della trasformazione sociale costruendo una solida comunità con tutti i soggetti coinvolti: docenti, studenti, genitori.