For a Human-Centered AI

Trento, 4 novembre 1918: la Guerra è finita?

29 Marzo 2018

Una riflessione storica e politica, nella prestigiosa sede della Fondazione Corriere della Sera, a Milano il 27 marzo. L'incontro ha visto confrontarsi il governatore Ugo Rossi e il giornalista Paolo Mieli, alla presenza di un folto pubblico attento ed estremamente interessato alla Grande Guerra

[Comunicato stampa PAT]

Due ore intense ma caratterizzate da un ritmo vivace grazie al contributo di storici del calibro di Simona Colarizi (La Sapienza), Giovanni Bernardini (Fondazione Bruno Kessler – Università di Venezia), Marco Bellabarba (Università di Trento), Hannes Obermair (Università di Innsbruck) e gli interventi video di Cristoph Cornellißen, direttore dell’Istituto Storico Italo Germanico di Trento di FBK e di Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino.

Proprio dialogando con Paolo Mieli il presidente Rossi ha esordito con un ricordo personale: “Mia nonna era nata nel 1898, ho avuto la fortuna di poterle chiedere cosa ha significato essere nata austriaca per poi diventare italiana. Non mi ha mai dato una risposta, ma semplicemente mi ha raccontato cosa ha significato la fine della guerra: la speranza, l’ansia e poi il rendersi conto che in realtà non era finito niente. Ecco, credo che il nostro compito oggi sia riuscire a studiare ciò che è accaduto dopo. Abbiamo studiato tanto cosa ha significato irredentismo e il desiderio di italianità che era presente, anche se il popolo non ne era cosciente e non voleva sentir parlare di annessioni o appartenenze. La fine della guerra non è riuscita a fermare l’apoteosi di quello che la guerra stessa aveva portato col nazionalismo; mi riferisco al fatto di essere precipitati in una povertà devastante”. “Pensate cosa ha significato per chi aveva dei risparmi ritrovarsi in mano una moneta sconfitta, una economia sconfitta, non avere più la parte migliore della, società, cioè i giovani” ha osservato Ugo Rossi, proseguendo il suo excursus “Ed i pochi giovani rimasti, ormai piegati dal peso della sconfitta. Una ferita profonda che ancora oggi ci portiamo dentro. Per questo credo che l’adunata degli Alpini sia per noi una sfida: quella di riuscire finalmente dopo 100 anni ad essere in grado di ospitare questo evento senza che appaia come la riapertura di una ferita. Non è stato semplice accogliere questa sfida, ma sono sicuro che la vinceremo. L’adunata avrà come simbolo la colomba della pace e sono certo che gli alpini saranno capaci di ricordare tutti i caduti e la sofferenza del popolo trentino”.

Paolo Mieli ha ricordato che come nazione siamo nati nel 1861, 20 anni dopo l’Italia è entrata a far parte della triplice alleanza, in cui è rimasta per 34 anni. Da allora il modo di rapportarci culturalmente e politicamente con i temi di quella zona che è oggi il Trentino Alto Adige sono rimasti identici. “Si può fare un discorso su Trentino Alto Adige senza ripartire da qui?” – Ha chiesto Mieli, osservando che “Tra 50 anni ne potremo parlare apertamente. Non possiamo usare due morali storiche (per esempio per le vicende dell’ex Jugoslavia e quelle nostre)”. E’ una questione che secondo Mieli deve risolvere l’Europa unita, dato che con l’idea dell’abbattimento delle frontiere, questa cosa “Non può avere senso” ha detto, “se manteniamo una cultura nazionalista”. Quindi rivolgendosi a Rossi ha affermato: “Non lo invidio: con grande capacità politica ha a che fare con questo retroterra culturale e si deve caricare nella maniera migliore possibile del “non detto” che appartiene alla nostra cultura e alla nostra storia”.

Ugo Rossi ha allora ricordato De Gasperi, considerando la fortuna che ha la tradizione politica trentina di poter guardare come esempio a chi ha immaginato il futuro. L’Europa ha dato oggi gli strumenti e i modelli organizzativi per costruire assieme all’Alto Adige e al Tirolo l’Euroregione, per mezzo della quale è possibile sperimentare politiche comuni su aspetti che richiedono risposte a bisogni su scala più ampia provando a mettere a fattor comune le vicende storiche, lavorando proprio alla loro scrittura condivisa. “Abbiamo vissuto lo scorso anno l’apice della crisi nella questione profughi” ha ricordato Rossi, “sembrava portasse alla rinascita del confine al Brennero, con posizioni diverse. Lo stesso Tirolo e soprattutto Vienna spingevano molto perché il Brennero assumesse il significato di un presidio all’”invasione”, nei confronti dell’Europa e non solo dell’Austria. Abbiamo faticosamente gestito questa crisi con Kompatscher e Platter, andando insieme a Roma e a Vienna e provando a dire che bisogna fare di più per la gestione dei profughi ma che occorreva anche stare attenti a non aprire scenari pericolosi perché il tema del confine, della sovranità e del populismo è quanto mai attuale”.

In conclusione Rossi ha accennato alla risoluzione di temi quantomai pratici, citando ad esempio il traffico: “Un terzo del movimento merci europeo passa dal Brennero” ha ricordato, “e la qualità della vita è messa alla prova perché passa su gomma” la volontà è spostare il movimento su ferro. Quanto alla questione “Sono italiano o austriaco”? Il presidente è stato molto chiaro: “Preferisco pensare che sono un cittadino che vive sulle Alpi e che vuole guardare al futuro”.