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Ultimi dati su scienza e istruzione in Italia, con un focus su women in stem

22 Febbraio 2024

Terzo e ultimo appuntamento con le evidenze raccolte nell'annuario Scienza, società e tecnologia 2023: in questo articolo andiamo alla scoperta di alcune statistiche su istruzione e ricerca scientifica in Italia, con particolare attenzione ai trend relativi agli iscritti ai vari istituti di scuola secondaria di secondo grado, alla percentuale di laureati per area disciplinare e alle giovani / donne attive negli ambiti relativi a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica

Scuole secondarie di secondo grado
Per quanto riguarda le scuole superiori, non si notano cambiamenti particolarmente significativi negli indirizzi né del liceo, né dell’istituto tecnico, delle scelte di tredicenni e quattordicenni: qui sotto è presentata la tabella con i dati in percentuale 2012/2013 a confronto con i dati 2022/2023.

Per quanto riguarda la scelta dell’indirizzo di liceo, non notiamo dei cambiamenti molto significativi (non fosse che per l’accresciuto bacino d’utenza dei frequentanti il liceo delle scienze umane). Ciò che invece salta all’occhio è che in generale il liceo è diventata una scelta sempre più ambita (56,6% nel 2022 contro il 47,4% del 2012), mentre rimane stabile la percentuale di chi opta per l’istituto tecnico. Cala vistosamente il numero di coloro che frequentano gli istituti professionali (dal 21,6% di 11 anni fa al 12,7% dell’anno scorso, quasi la metà degli iscritti in proporzione). Questa statistica è probabilmente legata a quella che vede un incremento notevole del numero di laureati: è infatti noto che tendono a proseguire negli studi universitari molto di più i liceali (67% degli iscritti all’Università, dati MIUR 2020/2021) rispetto a chi completa la sua formazione in una scuola professionale (8% degli iscritti) o in un istituto tecnico (25% degli iscritti).

Laureati e laureate in Italia: numeri assoluti e percentuale per area disciplinare

Rispetto al 2012, anno in cui nella fascia d’età fra i 15 e i 64 anni i laureati italiani erano solo il 13,9%, nel 2021 si è cresciuti a 17,8%, confermando un trend in crescita da diversi anni. Nonostante ciò, l’Italia rimane al penultimo posto in UE per numero di laureati, sotto di circa 12 punti percentuali dalla media UE (29,5%); per la fascia 25-34 anni, si parla di una media di poco superiore alle 3 persone su 10 (28%), a fronte di una mediana, fra i paesi OCSE, che supera il 50%.
Fra le varie ragioni da menzionare, relativamente a questa penuria di laureati nel Belpaese, c’è sicuramente il fatto che in Italia essere laureati non corrisponde a un significativo vantaggio economico: in media, nei paesi OCSE, un laureato guadagna il 100% rispetto a un non-laureato; in Italia, questo vantaggio è del 76%.
Unitamente ai salari piuttosto bassi rispetto a quelli offerti da altri grandi Paesi, ciò contribuisce a non rendere la laurea un’opzione particolarmente appetibile per i giovani del nostro Paese (o almeno, non nella stessa misura che in Paesi come Olanda, Irlanda e Francia, dove possedere la laurea in questa certa fascia d’età è più la norma che l’eccezione).

Per quanto riguarda l’area disciplinare di laureati e addottorati, il nostro Paese è abbastanza in linea con l’UE per numero di laureati in materie STEM. Il 7,4% dei laureati italiani lo è nei settori di “Scienze naturali, matematica e informatica”, contro una media UE del 6,2%; risulta leggermente inferiore la media di studenti laureati in “Ingegneria, industria e costruzioni”, che si attesta al 13,8%, a fronte del 14,8% europeo. Lo stesso discorso vale per le lauree nel settore “Salute e welfare (12,3% italiano contro 13,5% UE). Ampiamente sopra la media UE sono i titoli di studio in scienze umane e artistiche (15,8% contro 9,3%), in scienze dell’educazione (12,6% contro 9,7%) e quelli in scienze sociali, giornalismo e informazione (13,9% contro 9,2%), a discapito dei laureati in scienze economiche, amministrative e giuridiche (17,2% in Italia a fronte del 25,2% UE).

Relativamente in linea le statistiche per gli altri settori (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, Agraria e Veterinaria, Servizi).

Women in STEM

Per quanto riguarda il tema delle “Women in STEM”, qui sotto sono riportati i dati Almalaurea 2012 (grafico a.) e 2020 (grafico b.). Come si può vedere, le aree disciplinari sono state aggregate e categorizzate in maniera leggermente diversa nei due anni di riferimento: creare un grafico di comparazione risulta quindi un po’ scomodo. Tuttavia, le similitudini sono tali che è possibile fare un confronto.

Vediamo che il numero delle laureate sul totale rimane vicino alle 6 su 10 in entrambi i casi, con una leggera flessione (58,3% nel 2020) rispetto al 2012 (60%). Rimane sostanzialmente invariato il numero dell’area più rappresentativa, quella dell’insegnamento e dell’educazione, mentre decresce leggermente la proporzione di donne  negli ambiti linguistico (da 87% a 83,8%), psicologico (da 85% a 81,8%), economico (da 53% a 48,9%) e politico-sociale (da 65% a 62,6%).
È invece significativo il calo nei settori letterario-umanistico (dal 70% a 61,5%), giuridico (dal 62% al 55,3%) e delle scienze motorie (dal 41% al 33,4%).

Per quanto riguarda le discipline STEM, risulta lievemente difficoltoso il confronto fra i due grafici, poiché in quello del 2012 manca una categoria specifica per l’ambito ICT, che probabilmente viene aggregato, a seconda dello specifico indirizzo, sotto le due categorie “scientifico” e “ingegneria”. Invece per il 2020 esistono addirittura due categorie distinte per “informatica e tecnologia ICT” e “ingegneria dell’informazione”, la quale è aggregata a “ingegneria industriale”. Tuttavia, anche questa differente sistemazione può essere il segno di un cambiamento dei tempi: le facoltà tecnico-scientifiche stanno acquisendo una sempre maggior specializzazione, che si riflette nella necessità di distinguerle in più macrocategorie. Segno sicuramente di un cambiamento dei tempi è il crescere, in generale, della presenza femminile in ambito STEM. Molto probabilmente, l’accendersi del dibattito pubblico sul tema della sotto-rappresentazione femminile in ambito STEM e le politiche di istituzioni pubbliche e private per incentivare la partecipazione delle donne hanno plasmato un nuovo clima accademico, all’interno del quale il luogo comune “Le donne non sono fatte per le materie scientifiche” ha un peso culturale minore rispetto al passato. La crescita nel settore disciplinare “scientifico” è quasi esponenziale: dal 35% del 2012 al 58,1% del 2020. Risulta difficile comparare le generiche “ingegneria” e “architettura” del 2012 (rispettivamente 24% e 53%) con le differenti biforcazioni di “ingegneria industriale e dell’informazione” (25,9%), “ingegneria civile e architettura” (44,3%) e “informatica e tecnologie ICT” (14,3%).
Certo è che, sebbene si possa notare un piccolo miglioramento, esso non è certo paragonabile a quello della categoria “scientifico”. Siccome è nelle università che rientrano in questa categoria che si approfondiscono le basi di materie tecniche dalla curvatura più “applicativa”, come l’ingegneria e l’informatica (il settore più sottorappresentato, in cui solo il 14,9% delle lauree è conseguito da una donna), si può dire con ragionevole certezza che le ragioni di questi gap siano culturali: è più socialmente accettata e promossa la figura della “donna-scienziato di base” che della “donna-ingegnere”, nonostante le competenze STEM debbano essere – sebbene in settori diversi – possedute più o meno in egual misura.

Confronto fra i dati relativi al 2012 e quelli del 2020.

La strada per la parità è sicuramente ancora lunga; tuttavia, non si può negare che qualche piccolo grande passo sia stato fatto.


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