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Ultraman. Un’intervista ad Anton Krupicka

16 Ottobre 2023

Terza puntata dell'esperienza di FBK Magazine al Festival dello Sport di Trento. È il turno dell’intervista ad Anton Krupicka, quarantenne ultrarunner statunitense che ci ha raccontato del suo rapporto con la curiosità, la natura, la competizione. In definitiva, ci ha parlato della continua ricerca che ci spinge a conoscerci sempre più a fondo.

In un Magazine di comunicazione della scienza è difficile trovare qualcuno che più di Anton Krupicka sappia raccontare il virtuoso connubio tra sport e ricerca, alla luce dei suoi tre Bachelor of Arts in filosofia, fisica e geologia, conseguiti in Colorado, dove risiede. Krupicka è un atleta da sport estremi, praticati soprattutto correndo in montagna – il suo palmares racconta di vittorie importanti, per esempio, sulla distanza delle 100 miglia – ma anche pedalando e arrampicando. Oltre a praticare sport agonistico a livello molto elevato, lui esplora. Basti pensare che dopo essere arrivato a Trento per il Festival dello Sport, con la sua compagna Hailey Moore ha fatto un giretto in bicicletta: sono andati a Roma, rientrati a Trento in treno e risaliti sui pedali per esplorare le Dolomiti, arrivando a Cortina.  “Il nostro obiettivo è davvero quello di andare semplicemente in giro”. Vista Roma così affollata, però, “Non vedevamo l’ora di ritornare sulle montagne”.

Krupicka ha intrattenuto il pubblico del Festival dello Sport, sollecitato da una serie di davvero ottime domande di Simone Battaggia, una delle quali riguardava la connessione tra il suo eclettico percorso di studi e il suo essere atleta. “La curiosità”, è stata, in sintesi, la risposta.

Certo un atleta come lui non si può stancare per cinquanta minuti di intervista, e non ha fatto difficoltà a trovare il tempo per una chiacchierata con FBK Magazine.

La prima domanda che ti volevo fare ti è già stata posta, ed era sul legame tra le tue tre lauree e il tuo essere atleta. Mi è piaciuta molto la tua risposta: “la curiosità”. Che cos’è per te la curiosità?

Io credo che la curiosità sia il punto centrale dell’essere vivi. Se dovesse arrivare un momento in cui tu, come persona, non avessi più voglia di imparare o di crescere, ebbene, a quel punto saresti morto. Io la penso così. Per questo  davvero credo sia questo il punto cruciale della nostra esistenza: continuare a essere curiosi, aperti a nuove esperienze, cercare di fare cose nuove e incontrare nuove persone.

Grazie alle tue attività, trascorri un sacco di tempo nella natura, anche quella più selvaggia. Sei preoccupato per il futuro del nostro pianeta?

La risposta è semplice: sì. Ammetto che talvolta mi sembra di non volerci pensare, per evitare di essere ansioso e triste. Allo stesso tempo, io credo nella ingegnosità degli esseri umani, e per questo sono speranzoso. Bisogna essere speranzosi, possiamo almeno puntare a continuare a fare dei progressi, questo è quanto si deve fare. Ma certo, come hai detto, passando molto tempo nel cuore della natura non puoi evitare di vedere i cambiamenti.

Il tuo trisavolo emigrò negli Stati Uniti partendo dalla Cechia. Io sono uno storico e non posso evitare di essere incuriosito da questa esperienza. Ti interessa la storia dei pionieri negli Stati Uniti? (Anton Krupicka è nato in Nebraska)

Il mio trisavolo portò la sua famiglia negli Stati Uniti perché all’epoca il governo regalava la terra a chiunque avesse intenzione di stabilirsi lì, di coltivarla e di costruire una casa. Deve avere visto in questa offerta una grande opportunità. Ora mi viene da pensare a quanto debba essere stato spaventoso e minaccioso un cambiamento simile. Ma proprio questo è quanto fa dell’America una cosa davvero unica, un Paese fatto da gente che intraprese viaggi lunghissimi per prendersi un’opportunità ed essenzialmente per vivere una grande avventura. Certo fu assai problematico, bisognava pur sempre mettere assieme gente molto diversa, ma questo è quanto io traggo dalla storia della mia famiglia.

“L’amore per il gioco” è il motto dei giocatori di basket? Tu ami le gare? O preferisci l’allenamento, il percorso che porta alla gara?

Amo entrambi. Mi piacciono molto le gare, perché è lì che hai la possibilità di cercare il tuo meglio, di dare il tuo meglio. Quando gareggi tutto è preparato attorno a te per aiutarti a dare tutto te stesso. è un’opportunità unica. Non possiamo sempre avere un sistema di supporto tale, ma la competizione te lo offre. Al di là di questo, è come se allenandosi la vita venisse portata al livello più intenso, a prescindere dalla gara. Trovo che sia un’esperienza estremamente coinvolgente e spero di poterla vivere per il resto della mia vita.

Mi sembra che tra gli ultrarunners ci sia certo competizione, ma soprattutto rispetto e complicità. Anche tu la vedi così?

Sì, la vedo così. Quando corri per cento km, o per cento miglia sulle montagne, anche se vinci la gara, sei comunque stremato, sei ridimensionato. Io penso che sforzi simili spezzino il tuo ego, anziché alimentarlo. Per questo c’è rispetto reciproco, non importa quanto tempo tu ci abbia messo per raggiungere il traguardo: si condivide l’esperienza di quanto ti sia costato arrivare fino in fondo.

Che progetti hai per il futuro?

Domanda difficile, esistenziale (grassa risata). Ci sono un sacco di avventure che voglio ancora vivere, certo correndo, ma anche arrampicando e pedalando: sono sfide personali, progetti personali. Ho ancora voglia di gareggiare, pur essendo consapevole che non lo farò più ai massimi livelli, dopo quindici anni di competizioni. Va bene così, è la naturale progressione delle cose. Ciò non toglie che io intenda spingermi a sfidare me stesso con piani meno strutturati.


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