For a Human-Centered AI

Un conclave veloce o un mondo impaziente?

9 Maggio 2025

Camilla Tenaglia riflette sul conclave e sui tempi della Chiesa, tra esigenze mediatiche, memoria storica e urgenze del presente.

In questi due giorni ho sentito parlare tanto di silenzio e di attesa, di un tempo fuori dal tempo. Secondo molte e molti il conclave ci starebbe insegnando la pazienza. A me non pare sia così. Certo, abbiamo aspettato il conclave 16 giorni: un’attesa che deriva da una norma introdotta da Pio XI per evitare che alcuni cardinali non riuscissero ad arrivare in tempo a Roma. Era il 1922 e la traversata atlantica richiedeva più tempo di quanto non richiede ora. In effetti, quella volta qualche cardinale era arrivato in ritardo e non era riuscito a prendere il proprio posto nella Cappella Sistina. Il conclave però è stato breve: le votazioni sono state solo quattro, il Papa è stato scelto il secondo giorno, come in tutte le votazioni tenute nel XXI secolo. Non credo sia una coincidenza.

Gli eventi collegati alla morte del pontefice e alla sua successione sono eventi mediatici e sono organizzati come tali. C’è quindi grande attenzione ai media e alla narrazione che questi potrebbero fare, come è emerso in maniera evidente dall’immagine iconica di Donald Trump e Volodymyr Zelensky in San Pietro. È un’immagine costruita e trasmessa dai servizi di comunicazione del Vaticano. Serve a dire di un possibile accordo sull’Ucraina, ma serve anche a rimarcare la centralità di Roma, che ancora nel 2025 pretende di espletare un ruolo di mediazione nel sistema internazionale. La Basilica di San Pietro viene descritta come il luogo in cui si fanno gli accordi internazionali e la Chiesa è visibile sullo sfondo, non solo perché sappiamo della presenza in quel luogo della salma di Francesco: nella fotografia scelta da Vatican News si intravede un sacerdote spostare delle sedie. La chiesa è la casa di tutti, anche i potenti possono trovarci un luogo sicuro.

I tempi dei media sono fondamentali all’interno dei conclavi, da molto tempo. Il primo Papa eletto in diretta mondiale, Pio XII nel 1939, lo sapeva benissimo. Eugenio Pacelli era cardinale Segretario di Stato durante il pontificato precedente e camerlengo dopo la morte di Pio XI. Proprio in quell’occasione decise di creare l’Ufficio stampa vaticano, che cominciò a operare il 20 febbraio, ed era sostanzialmente un ufficio per giornalisti perché avessero notizie affidabili. Per garantire tutti i collegamenti radio necessari per le dirette in molte lingue, nella reclusione del conclave, insieme ad altri laici (un muratore, un falegname, due barbieri, due medici, due farmacisti…), era stato incluso anche un addetto di Radio Vaticana per collegare il microfono che doveva raccogliere l’Habemus Papam e la linea di comunicazione con la stazione radio. La stessa incoronazione di Pio XII il 12 marzo fu organizzata in modo da predisporre il rito dal punto di vista scenografico: le fotografie dovevano essere le migliori possibili.

Nel 1939 il Cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani disse: «Se avessero votato gli angeli avrebbero fatto Elia Dalla Costa, se avessero votato i demoni avrebbero fatto me. Hanno invece votato gli uomini». Era il 2 marzo, alcuni giorni dopo Hitler avrebbe invaso il territorio dei Sudeti. Una nuova guerra mondiale appariva sempre più vicina e tra le mura vaticane si scelse di puntare tutto su un diplomatico, uno che per altro aveva molti rapporti con la Germania. Eugenio Pacelli era stato nunzio a Monaco e Berlino e aveva gestito il concordato in qualità di Cardinale di Stato. Si era arrivati solo al terzo scrutinio. Al conclave votavano gli uomini, per motivi umani, politici, economici, geopolitici e quegli uomini sapevano che la risposta serviva subito.

I cardinali sono arrivati a un consenso alla quarta votazione. Forse la società contemporanea non ha più grande capacità di attenzione e non è pronta ad aspettare giorni per avere un Papa. Forse il mondo di oggi, dilaniato da guerre che continuano a moltiplicarsi, aveva bisogno di una risposta veloce. La Chiesa cattolica, che negli ultimi anni appariva molto spaccata al proprio interno, ha scelto rapidamente. Speriamo non sia solo un segno del tempo presente e delle esigenze mediatiche, ma anche di quell’unità che il nuovo Papa ha auspicato già nel suo primo discorso. 

Il collegio cardinalizio ha eletto Robert Francis Prevost, nato a Chicago ma con una carriera da missionario e vescovo in Perù. Ha parlato in italiano e ha parlato in spagnolo. Sembra un braccio teso verso l’altro lato dell’Atlantico, ma senza dimenticare il sud del mondo tanto caro a Francesco, che lo aveva nominato a capo del dicastero per i vescovi. Prevost si è dato il nome di Leone XIV. Il richiamo parrebbe essere a Leone XIII, Gioacchino Pecci, pontefice dal 1878 al 1903. Il primo Papa a comparire in video, soprattutto il papa della dottrina sociale della Chiesa. Con la sua enciclica Rerum Novarum del 1891 aveva messo al centro dell’azione ecclesiastica la questione sociale, facendo fiorire l’attività associazionistica cattolica. Sicuramente nel 2025 ce ne sono molte di rerum novarum, vedremo come il nuovo Leone vorrà affrontarle.

 


Autore/i