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Condizione occupazionale dei giovani laureati: il nuovo rapporto AlmaLaurea

25 Giugno 2020

Buone notizie: incoraggianti segnali di ripresa nel tasso di occupazione suggeriscono un recupero dei livelli pre-crisi. Molta incertezza è però generata dalle misure di contrasto alla pandemia di quest’anno, che causeranno, evidentemente, una nuova sostanziale contrazione

La più recente indagine AlmaLaurea (n. XXII) sulla Condizione occupazionale dei Laureati ha coinvolto 650 mila laureati di primo e secondo livello provenienti dei 76 Atenei italiani ad oggi aderenti al Consorzio. Presentata in diretta streaming dal Ministero dell’Università lo scorso 11 giugno, la relazione mostra segnali di ripresa da parte del mondo del lavoro per i neolaureati.

Per il 2019, a un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione si attesta a quota 74,1% tra i laureati di primo livello e al 71,7% tra i laureati di secondo livello, totalizzando complessivamente nell’ultimo quadriennio un aumento di 8,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 6,5 punti per i laureati di secondo livello. Ricordiamo che nel conteggio degli occupati tra i laureati di primo livello si considerano solo quelli che non hanno proseguito gli studi (35.8%).

Le esperienze lavorative contemporanee o pregresse all’università, così come alcuni tipi di competenze maturate nel corso degli studi universitari, esercitano un effetto positivo sulle possibilità occupazionali ad un anno dal termine del percorso di studi. Analogamente, chi ha svolto un periodo di studio all’estero, riconosciuto dal proprio corso di studio, ha maggiori probabilità di essere occupato rispetto a chi non ha mai svolto un soggiorno all’estero.

Altre tendenze si confermano immancabili come ogni anno: a parità d’altre condizioni, gli uomini hanno il 19,2% di probabilità in più di essere occupati rispetto alle donne; mentre, quanti risiedono o hanno studiato al Nord hanno, per quanto riguarda la residenza, +40,0% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti risiedono al Sud, e per quanto riguarda la ripartizione geografica di studio, +63,7% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti hanno studiato al Sud.

Mostrano poi una minore probabilità di occupazione (-11,7%), a un anno dal titolo, i laureati provenienti da famiglie nelle quali almeno un genitore è laureato rispetto a quanti hanno genitori con titolo di studio non universitario.

L’analisi delle caratteristiche del lavoro svolto restituisce un quadro strettamente connesso con gli interventi normativi degli anni più recenti: primo fra tutti, il Jobs Act, ma anche le leggi di Stabilità, i decreti legislativi ad esse collegati ed il Decreto Dignità. Sono in crescita le tipologie di lavoro non standard, mentre i lavori alle dipendenze a tempo indeterminato sono diminuiti rispetto al 2008 (- 16,2 punti percentuali tra i laureati di primo livello e – 5,7 punti tra quelli di secondo livello).

Buoni risultati anche sul fronte retribuzioni, che in un contesto caratterizzato da una sostanziale stabilità dei prezzi al consumo, figurano in leggero aumento rispetto all’indagine del 2014. Nel 2019 le retribuzioni mensili nette a un anno dal conseguimento del titolo la retribuzione sono, in media, pari a 1.210 euro per i laureati di primo livello e a 1.285 euro per i laureati di secondo livello. Anche qui, appaiono imperterrite differenze territoriali per l’Italia, con retribuzioni mensili che risultano nettamente superiori per gli occupati al Nord. Ma è all’estero che si concentrano le retribuzioni più elevate: a un anno dal titolo i laureati che lavorano all’estero (che rappresentano il 5,3% del complesso degli occupati, percentuale pressoché stabile rispetto alla rilevazione scorsa) percepiscono in media 1.542 euro.


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