
“AI & History”
Un ciclo di seminari per riflettere su come l’intelligenza artificiale stia rivoluzionando il modo di fare Storia.
Come tutte le storie che si rispettino, anche la Storia è fatta di colpi di scena che ne cambiano inesorabilmente il corso. Storici e storiche le chiamano cesure, perché segnano un’irrimediabile rottura tra il prima e il dopo. È buona prassi storica valutare soltanto col senno di poi l’effettivo impatto di una cesura, se non fosse che, in alcuni casi, sono gli stessi storici a essere travolti, assieme a tutta la società di cui fanno parte, da risvolti che, prima ancora della Storia, condizionano la quotidianità del presente. Perché sì, la rivoluzione digitale in corso e l’infrenabile diffusione dell’intelligenza artificiale – che ormai è a portata di smartphone – stanno rivoluzionando anche quella che, almeno a prima vista, può sembrare una delle discipline scientifiche più fossilizzate.
I tempi per tracciare un bilancio storiografico sull’impatto di questa rivoluzione digitale non sono dunque, almeno per ora, maturi. Ciononostante, basta un breve sguardo alle rivoluzioni mediatiche che hanno segnato il corso della Storia per suggerire (anche agli storici) che è meglio non farsi cogliere impreparati. L’invito è anzi quello di partecipare attivamente allo sviluppo e all’utilizzo di un’intelligenza artificiale che, immancabilmente, sta cambiando anche il modo di fare Storia.
Il ciclo internazionale di seminari “AI & History”, che ha preso avvio il 3 febbraio e che ci accompagnerà con altri quattro incontri nei prossimi mesi, intende riflettere proprio sui nuovi orizzonti di lavoro che l’intelligenza artificiale propone alla storiografia del XXI secolo. L’obbiettivo è quello di presentare strumenti di lavoro basati sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, esperienze e prospettive di ricerca, ma anche riflessioni e problematizzazioni teoriche a livello storiografico.
Una questione principale, sulla quale rifletterà Marnie Hughes-Warrington (University of South Australia) nel prossimo incontro, che si terrà online il 17 marzo, è di garantire parametri sicuri e affidabili nelle ricostruzioni storiografiche da parte dell’intelligenza artificiale. Sul problema dell’oggettività storica dell’intelligenza artificiale, si soffermerà invece Jo Guldi (Emory University), che chiuderà il ciclo in giugno. Sia problemi teorici che riflessioni pratiche saranno invece al centro del seminario del 12 maggio di Federico Mazzini (Università di Padova) che parlerà delle sfide legate alla creazione di un possibile assistente Chatbot per la ricerca storica. Altro incontro dedicato alla dimensione pratica sarà quello di Drew Thomas (University College Dublin) che il 29 aprile presenterà il suo progetto di ricerca basato sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’analisi di fonti visive.
Una prima anticipazione rispetto alla portata di questa rivoluzione digitale, è già emersa dal primo incontro del ciclo in cui Andy Stauder, direttore amministrativo di READ-COOP SCE, ha presentato il software di trascrizione Transkribus. Si tratta di un’applicazione che sta sconvolgendo la prassi forse più radicata e irrinunciabile del lavoro dello storico: la ricerca, lo studio e l’analisi del materiale archivistico inedito. Munite di infinita pazienza, generazioni e generazioni di storici e storiche hanno scavato i loro cunicoli attraverso montagne di carte rilegate e coperte dalla polvere di secoli, in archivi a volte dimenticati o inaccessibili. Hanno risvoltato faldoni, sciolto fascicoli, sfogliato pagine e pagine di manoscritti, copiando a matita testi scritti nelle più improbabili e indecifrabili (paleo)grafie.
La promessa, ma anche la scommessa, di Transkribus sta proprio nel sovvertire questo processo di raccolta dati grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Basta caricare le immagini del manoscritto sulla piattaforma, selezionare un modello di trascrizione adatto e il gioco è fatto: l’intelligenza artificiale riconosce i vari riquadri di testo, le righe e, ovviamente, le singole parole e lettere restituendo una trascrizione spesso quasi perfetta. Nel giro di pochi anni l’algoritmo è riuscito a raggiungere un tasso di errore prossimo allo zero nella lettura delle ostiche grafie gotiche, che sono state l’incubo di intere generazioni di giovani ricercatori e ricercatrici. Non a caso è proprio dall’Austria e dal mondo germanofono che Transkribus è riuscito a trovare una diffusione ormai globale, divenendo il software di riferimento per numerosi progetti a carico di importanti istituzioni culturali.
Per gli addetti ai lavori quella di Transkribus non è certo una novità. La creazione e disponibilità di software di trascrizione è tutt’altro che un’invenzione o una prerogativa di READ-COOP SCE. La popolarità di Transkribus sta probabilmente però in una di quelle caratteristiche che, come la Storia ci insegna, alimentano le grandi rivoluzioni mediatiche: prima di tutto un’interfaccia semplice da utilizzare; poi la capacità di raggiungere un’ampia platea, non necessariamente esperta; e, infine, la flessibilità necessaria per adattarsi a innumerevoli contesti diversi, ovvero all’irripetibile unicità di qualsiasi manoscritto. In poche parole, per utilizzare Transkribus con successo, non serve essere informatici, basta essere storici.
Il programma del ciclo ‘AI and History’ si trova qui: https://isig.fbk.eu/it/ai-and-history/. Tutti gli appuntamenti sono aperti al pubblico, sia in presenza sia online.