Il laboratorio
Le considerazioni di uno storico sull'importanza del lavoro di gruppo e del confronto nella stesura di manuali.
C’è un aspetto nella ricerca umanistica che può talvolta essere dimenticato o trascurato: anche gli storici hanno il proprio laboratorio. Filtro quanto mi accingo a scrivere attraverso la lente dell’esperienza individuale, raccontandovi il momento professionale che sto vivendo in queste settimane: quello di un ricercatore in visita oltreatlantico per lavorare all’interno di un gruppo di ricerca. Premessa fatta, andiamo avanti.
Prendiamo l’esempio dei manuali, quelli sui quali – in qualche modo – chiunque abbia dedicato energie allo studio ha dovuto passare del tempo. Quando da studente sui manuali mi fermavo a leggere e sottolineare (in matita, non sia mai!), pochissimo o quasi nullo pensiero spendevo a immaginare l’impegno di chi quei manuali li aveva scritti. Mi accontentavo dei contenuti, talvolta annoiandomi. Ora che è passato del tempo e mi sono posizionato dall’altra parte, quella di chi scrive, il punto di vista è cambiato.
Come si prepara un libro di questo tipo, o meglio, come io ritengo si debba preparare? Serve il lavoro di gruppo, serve il laboratorio. Ecco un possibile percorso: si parte dall’idea. Già questo primo passo può non essere tuo, ma suggerito da qualcuno che leggendo un saggio o un libro che hai scritto ti chiede: ma perché non provi a proporre uno sguardo più generale? Tu magari rispondi di sì, ci pensi e prepari un indice ragionato, lo discuti con colleghi e colleghe di cui ti fidi e cominci a studiare e, in parallelo, a scrivere. Un testo comincia a prendere forma, ma lo sguardo generale ti chiede di occuparti – spesso in estrema sintesi – di temi sui quali non ti sei mai impegnato in prima persona. Allora ti rivolgi a chi lo ha fatto e continui a imparare. Chiudi dei paragrafi e li mandi in lettura, raccogli i suggerimenti e ci lavori. E così avanti fino a quando, e quella è una difficile responsabilità personale, devi dirtelo: è arrivato il momento di scrivere la parola fine. Presa questa ardua decisione, ti fermi e chiedi nuove letture, aspettando suggerimenti sui contenuti e sullo stile. Mano a mano che arrivano rielabori e metti i punti fermi, aggiornando i riferimenti e la bibliografia. Arriva il momento di consegnare all’editore, e di nuovo aspetti, pronto a reagire a quanto ti viene chiesto di fare sulle bozze, e a correggere le sviste che sempre ci sono. Prima di vedere stampato il tuo ‘prodotto della ricerca’ scrivi i ringraziamenti, sforzandoti sinceramente di non dimenticare nessuno, consapevole che spesso pochi li leggeranno.
Ecco, se siete arrivati fin qui ho una richiesta per voi: li potete leggere, i ringraziamenti del prossimo libro che vi passerà sott’occhio? Sono importanti, perché (almeno per noi storici) sono uno dei pochi modi adatti a far emergere quanto sia stato fondamentale il laboratorio per il nostro lavoro.
Claudio Ferlan