Intelligenza artificiale, transizioni e competenze abilitanti
Siamo dentro una rivoluzione tecnologica che rappresenta anche un cambio di paradigma più ampio: una transizione in corso dal presente verso i futuri possibili. Come cambia la collaborazione uomo-macchina? Come possono giovarsene le organizzazioni?
La digitalizzazione non è questione strettamente tecnologica, ma strategica, implicando una trasformazione radicale del modo di fare impresa, dei modelli di business, delle competenze, dei modi di concepire ed erogare i servizi, dei modi di lavorare. Per indirizzare le strategie occorre una profonda comprensione di come persone e tecnologie possono lavorare bene insieme. Per abilitare non solo nuove competenze ma anche una mentalità adeguata e aperta al nuovo, a tutti i livelli dell’organizzazione. Artificial Intelligence (AI), machine learning e deep learning sono le parole del momento. Il 56% delle grandi imprese italiane ha avviato progetti di AI (contro un 70% in Francia e Germania). Ogni compito ripetitivo basato su pattern, anche se sembra creativo, potrebbe essere svolto dall’AI.
L’intelligenza artificiale può esser inteso come un paradigma delle molteplici transizioni possibili tra presente e futuri. Da questo punto di vista l’AI di recente acquisizione apre a una stagione di applicazioni tecnologiche e di conquiste cognitive che solo pochi anni fa sarebbero state ai limiti dell’immaginabile. Siamo nel cuore di una esplorazione di un mondo nuovo caratterizzato da incertezza e complessità e di cui non si posseggono tutte le mappe; mappe che dobbiamo quindi disegnare ex novo. Per farlo, però, sarà necessario ripensare a come pensiamo il mondo in cui viviamo. In questo, l’AI può presentarsi come un’opportunità che ci aiuta a capire di più il mondo e che, quindi, può aiutarci a cambiarlo in meglio.
Perché l’intelligenza artificiale non può essere compresa come sola questione tecnologica? Nata con l’obiettivo di studiare i fondamenti teorici alla base della conoscenza e del ragionamento umano e al tempo stesso per costruire sistemi computerizzati in grado di risolvere problemi ed effettuare ragionamenti tipici dell’essere umano, l’intelligenza artificiale delle origini era oggetto di simulazioni in ambiti ristretti e veniva organizzata per domini verticali separati fra loro. Fra questi ultimi, per stare ai più rilevanti, voglio ricordare: la rappresentazione della conoscenza e del ragionamento basata su deduzione automatica; la pianificazione automatica; i modelli cognitivi di elaborazione del linguaggio naturale; la visione artificiale; il riconoscimento del parlato.
La transizione a una fase più compiuta dell’AI si realizza quando i suoi fondamenti teorici ed i suoi domini vengono applicati a problemi del mondo reale e secondo un approccio metodologico di forte integrazione. E’ esattamente in questa transizione che l’intelligenza artificiale prende la strada dell’interazione con le persone e con l’ambiente circostante e scala quell’inedito livello di complessità rappresentato dalla sfida del riconoscimento reciproco e della collaborazione. Da quel momento, la missione dell’intelligenza artificiale non è più “solo” quella – tecnica – di replicare funzioni tipiche dell’intelligenza umana ma diventerà quella – “antropotecnica” – di interagire con l’uomo tenendo anche conto delle caratteristiche, cognitive ed emotive, di quest’ultimo. La forte interazione uomo-macchina, arricchita da sensori sempre più efficaci e da potere computazionale quasi illimitato, realizza però la sua apoteosi nelle tecniche di apprendimento automatico basato su diversi strati gerarchici di rappresentazione. L’AI rivela così la cifra della sua irriducibilità alla sola tecnologia aprendo a nuovi orizzonti evolutivi per la specie umana.
Le tappe dell’evoluzione dell’AI sono segnate dalla variabile della sua relazione con l’uomo e con l’ambiente. Oggi questa variabile è sottoposta a forze non sempre convergenti che vanno quindi ben comprese e governate. Infatti, se le “leggi” dell’AI moderna ci dicono che i modelli probabilistici su cui essa si basa funzionano molto meglio di quelli adottati precedentemente, esse ci dicono anche che questi modelli – funzionanti alla stregua delle reti neurali profonde – sono “opachi”, difficilissimi da comprendere, e possono generare molta incertezza. Gli esempi recenti di questa incertezza sono innumerevoli e talvolta tragici. Essi rappresentano un monito sulla delicatezza della transizione in corso. Urge dunque dotarsi di nuove competenze adattive in grado di trasformare l’AI in un’effettiva occasione per soluzioni cognitive e operative più efficaci ed efficienti. Queste nuove competenze adattive hanno nella concretezza della relazione uomo-AI la loro fonte. Una fonte che va presidiata con principi ispirati alla dignità dell’uomo, all’accettazione consapevole della dimensione della complessità e con sistemi di sapere interdisciplinare.
Rispetto a questo scenario, FBK lavora per un’AI che assicuri un impatto economico e sociale misurabile soprattutto sul terreno dei benefici alle persone. Una AI consapevole dei bisogni degli esseri umani e della loro dignità (“human aware”), che impari, dunque, non solo dai dati e dalle procedure ma anche dalla relazione inclusiva con le persone nelle loro molteplici espressioni sociali e culturali. Partendo dalle linee programmatiche del Piano strategico 2018 – 2027, il cui orizzonte temporale si allinea col Programma Quadro Horizon Europe, FBK sta “disegnando” un’AI che renda le città e i territori più vivibili e sicuri; che aiuti a vivere sani stili di vita e a prevenire le malattie oltre che curarle; che consenta a macchine e persone di lavorare insieme in contesti più produttivi e sicuri ma anche più piacevoli e vivibili; che tuteli e valorizzi le risorse naturali ottimizzando la gestione dell’energia. Questa visione si concretizza sia attraverso l’integrazione di conoscenze e discipline diverse tra loro, sia attraverso una forte interazione fra ricerca, impresa, istituzioni politiche e realtà associative; tutti soggetti, questi, chiamati a co-progettare e realizzare soluzioni sperimentali e innovative in living lab aperti e certificabili. Alla funzione delle risorse umane il compito di accompagnare il cambiamento investendo su competenze adattive e su condizioni di contesto abilitanti rispetto alle quali il valore del capitale umano trova nell’AI un fattore moltiplicatore decisivo.
FBK si è distinta quale agente del cambiamento territoriale nel passaggio da un’economia rurale e di montagna a un’economia industriale, prima, e del terziario, poi; e, più di recente, all’economia circolare della conoscenza. In tutto questo il driver dell’AI e l’integrazione fra i saperi tecnico-scientifico e delle scienze umane e sociali possono fare, indubbiamente, la differenza in una logica di continuo adattamento alla domanda di benessere e di futuro.
L’articolo è stato redatto da Giancarlo Sciascia a partire dalla pubblicazione su Data Manager di “Fondazione Bruno Kessler, l’AI human aware“, di Alessandro Dalla Torre.