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La lingua del divulgatore: come farsi capire senza ambiguità

9 Maggio 2023

Una figura chiave è oggi quella del divulgatore, che ha il compito di farsi ponte tra due mondi ma anche tra due linguaggi: uno comune ma poco rigoroso nella definizione delle parole e uno tecnicamente preciso ma spesso incomprensibile. Il passaggio dall’uno all’altro non può ignorare le logiche sottintese dai vari lessici specifici.

«A quanto pare nella comunità medica negativo significa buono, cosa che non ha assolutamente senso. Nel mondo reale sarebbe il caos».
Così si giustifica Michael Scott nella serie The Office, dopo aver frainteso l’esito negativo dell’analisi oncologica di un suo dipendente.

Si tratta di un’ambiguità semantica tutt’altro che nuova alle nostre orecchie, soprattutto dopo anni di pandemia in cui di esiti dei tamponi si parlava quasi quotidianamente: in quel periodo i giochi di parole sull’«essere positivi» si sprecavano, ma si pensi allo scioglilingua di Trump che nel 2020 disse di essere «risultato positivamente verso il negativo», ossia di non avere il Covid.

Com’è possibile una tale confusione?
Il punto è che quello scientifico, quantomeno lessicalmente, è nei fatti un linguaggio a parte, distinto da quello comune: non solo le varie lingue umane raggruppano diversamente le parole (ad esempio nell’inglese parlato fly indica tutto l’ordine dei Ditteri come il tafano e la lucciola, mentre in italiano mosca individua un solo insetto), ma ad esse si aggiunge la tassonomia scientifica come ulteriore linguaggio (tanto in italiano quanto in inglese parliamo di anguilla elettrica, ma biologicamente non fa parte dell’ordine degli Anguilliformi).

Non c’è un linguaggio migliore in assoluto, ognuno è più rispondente ad uno specifico obiettivo: le nomenclature scientifiche sono disambiguanti (di norma per ogni parola c’è un solo significato e viceversa) , ma al prezzo di una certa verbosità tecnicistica e opaca, comprensibile solo agli specialisti (o al massimo a chi riconosce i suffissi greci e latini come -foro o -cita); il linguaggio comune è meno rigoroso e dà maggiormente adito alla sinonimia, ma è più semplice ed accessibile. Lo notava nel 2001 il divulgatore N. deGrasse Tyson, descrivendo però il linguaggio dell’astrofisica come più vicino a quello quotidiano.

È dunque spesso necessaria una “traduzione”, pena il rischio di incomprensioni.
La figura in primo luogo responsabile di questa traduzione, in quanto ponte fra i due mondi, è quella del divulgatore: come raggiungere la massima chiarezza possibile senza sacrificare altrettanta precisione, o viceversa?

Un suggerimento viene ancora una volta dalla parola negativo, nella locuzione record negativo che tecnicamente indica il valore minimo raggiunto in una serie, ad esempio il record negativo delle nascite in Italia nel 2022.
Spesso invece si commette lo stesso errore di Michael Scott, interpretando negativo come “brutto” e non “minimo”: ecco allora che si parla di record negativo di inflazione, di goal subiti o di malati di diabete, riferendosi però ad un massimo storico. Analogamente non ha senso definire record negativo il tasso di disoccupazione più alto dal 1992 (a meno che non si intenda il minimo di persone occupate).

In poche parole, il linguaggio – nella sua organizzazione lessicale e nella sua sintassi – sottintende una logica: se questi presupposti ragionativi non sono immediatamente afferrabili non si può pensare di tacerli, o il linguaggio che li implica diventerà veicolo di confusione.

È di nuovo l’inflazione a prestarsi come esempio: essa misura l’aumento dei prezzi in un lasso di tempo, vale a dire la velocità di tale aumento. Se l’inflazione sale, vuol dire che la crescita dei prezzi sta persino accelerando; se l’inflazione è costante, non significa che i prezzi siano stabili, bensì che aumentano a una velocità fissa.
E se l’inflazione diminuisce? È molto comune essere portati a credere che allora i prezzi stiano calando, ma non è così: la velocità con cui aumentano è sempre più contenuta, ma aumentano – stanno semplicemente decelerando.

I prezzi diminuirebbero se non solo la loro accelerazione fosse negativa, ma anche la loro velocità; altrimenti detto, non basta che l’inflazione diminuisca (disinflazione), ma deve divenire negativa (deflazione). È un problema analogo a vari andamenti soggetti ad accelerazione, pensiamo agli anni scorsi con i grafici dei casi di Covid consultati quotidianamente: stanno decelerando? Stanno scendendo?

In questi casi il linguaggio è potenzialmente ambiguo, perché gli stessi verbi (“calare”, “aumentare”…) possono riferirsi alla curva ma anche alla sua velocità o persino alla sua accelerazione, implicando ogni volta una cosa diversa: prima di impiegare questo vocabolario specifico sarebbe dunque opportuna una fase preliminare di spiegazione della logica stessa che vi è dietro, ma come fare?

Se si  dominano questi argomenti è semplice riconoscere il rapporto fra l’andamento di una funzione, della sua derivata prima, di quella seconda e così via, ma per chi non è familiare si tratta di una questione tutt’altro che trasparente.
Un modo più efficace potrebbe essere visualizzare in modo semplificato e rettilineo la differenza fra i diversi ordini di discorso: se guido un’auto mi sto muovendo in avanti ad una certa velocità, che può persino aumentare se pigio sull’acceleratore; se non accelero però non significa che io stia fermo, semplicemente mi muovo a velocità costante; e se schiaccio il pedale del freno, ossia decelero? Non mi muovo certamente in retromarcia, continuo ad andare avanti ma ad una velocità sempre più ridotta.

Senza cadere nel circolo vizioso di termini che servono a spiegare un concetto ma che presuppongono una comprensione del concetto stesso, la soluzione è forse quella di un’osmosi controllata fra il linguaggio comune e quello scientifico: quando un termine occorre in entrambi, andrebbe trattato quasi come una coppia di parole omonimiche, definendo di volta in volta il significato che gli si sta dando, come in una legenda.

 


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