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La sociologia delle onde gravitazionali

14 Febbraio 2019

A che velocità si muovono le “increspature sociali” prodotte da una grande scoperta scientifica? Un libro descrive il caso esemplare delle onde gravitazionali

Le increspature dello spazio-tempo fanno lunghi viaggi: prodotte da spettacolari fenomeni astrofisici come la violenta fusione tra due buchi neri o due stelle di neutroni, giungono fino a noi praticamente indisturbate, dopo aver percorso milioni o miliardi di anni-luce. Da poco più di tre anni siamo capaci di osservarle anche qui, sulla Terra, grazie a strumenti dotati di straordinaria tecnologia, a coronamento di uno sforzo sperimentale durato cinquant’anni.

La scoperta delle onde gravitazionali – cui è dedicato il terzo incontro del ciclo “Costruire il futuro” con Giovanni Andrea Prodi – è stata davvero una delle più grandi imprese scientifiche mai realizzate. Che ci offre lo spunto per per riflettere su un aspetto spesso trascurato ma in realtà essenziale nella scienza moderna: a che velocità si muovono le “increspature sociali” che portano all’accettazione di una scoperta scientifica da parte, in primis, degli stessi ricercatori che la realizzano, e poi dal resto della comunità scientifica e dal pubblico?

Se lo è chiesto Harry Collins, sociologo britannico e direttore del Centre for the Study of Knowledge, Expertise and Science dell’Università di Cardiff, che ha seguito da vicino per oltre quarant’anni la “caccia” alle inafferrabili increspature dello spazio-tempo, vivendo a stretto contatto con i ricercatori coinvolti negli esperimenti e dedicando alla “sociologia delle onde gravitazionali” svariati articoli scientifici e quattro libri.

L’ultimo di questi, Gravity’s kiss (pubblicato da pochi mesi anche in Italia da Cortina Editore con il titolo Un bacio tra le stelle) analizza con precisione quasi chirurgica l’intero percorso scientifico e sociale che ha portato, all’indomani dell’osservazione del primo segnale di onda gravitazionale (rilevato il 14 settembre 2015 dall’esperimento americano LIGO), all’annuncio ufficiale della scoperta, l’11 febbraio 2016. Da un osservatorio privilegiato: Collins è infatti a tutti gli effetti un membro della collaborazione LIGO-Virgo (composta da oltre mille ricercatori) che ha realizzato la scoperta, tanto da avere accesso al circuito interno di mail della collaborazione. E sono proprie le mail scambiate tra gli scienziati, raccolte e pubblicate da Collins in forma anonima, il piatto forte del libro: un autentico diario che racconta cinque mesi ad altissima tensione, dove i dettagli scientifici si mescolano (passando spesso anche in secondo piano) con le emozioni contrastanti manifestate dai ricercatori alle prese con l’adrenalina di una possibile scoperta storica. Il tutto in un contesto molto complesso, che deriva anche dalla storia molto particolare di questo settore di ricerca: già in passato, fin dagli anni sessanta con il pioniere Joseph “Joe” Weber, non sono mancati annunci di osservazioni di onde gravitazionali, ma nessuno di questi finora aveva ottenuto il riconoscimento della comunità scientifica.

Fin da subito la gran parte dei ricercatori della collaborazione ha compreso che il segnale osservato nel settembre 2015, estremamente forte e pulito – rappresentativo con scarsissime probabilità di equivoco di un’onda gravitazionale prodotta nel processo di fusione tra due buchi neri – era reale. Nonostante questo, il timore che potesse trattarsi di un ennesimo falso allarme non ha abbandonato la comunità: poteva essere un’“iniezione cieca”, ossia un segnale iniettato artificialmente per testare il processo sperimentale (come già avvenuto in due occasioni precedenti). E qualcuno poneva dei dubbi sul fatto che a produrre le onde fossero stati buchi neri, ipotizzando una fonte diversa. Inoltre, non pochi ricercatori della collaborazione consideravano rischioso annunciare la scoperta sulla base di una singola osservazione, per quanto abbastanza inequivocabile (memori di casi precedenti come quello del famoso monopolo magnetico di Blas Cabrera, sempre nell’ambito della fisica). In questo caso il problema si è risolto da sé con l’osservazione, alla fine del 2015, di un secondo segnale (tenuto però nascosto al momento dell’annuncio della scoperta, a febbraio).

Ben presto, una volta analizzati più a fondo i dati dal punto di vista statistico e certificata la solidità della scoperta, l’attenzione della comunità si è rivolta a come comunicare al meglio la scoperta alla comunità scientifica, evitando il rischio di contestazioni. Ed ecco quindi emergere la maniacale attenzione rivolta al testo del paper che ha descritto la scoperta (poi pubblicato sulla rivista “Physical Review Letters”), di cui si sono misurate le singole parole in un processo che a volte ha sfiorato il surreale.

Il risultato, però, è stato raggiunto: salvo alcuni fisici borderline dalla dubbia reputazione, la comunità scientifica mainstream ha accettato la scoperta senza alcuna contestazione. E anche il pubblico generico ha accolto la notizia con un calore e un interesse decisamente rari per una scoperta scientifica. Le “increspature sociali” della scoperta, insomma, sono arrivate ai vari destinatari (ricercatori interni, comunità scientifica e pubblico generico) quasi istantaneamente, senza ostacoli. Secondo Collins, un caso tutt’altro che scontato nella scienza, e ancor di più nel contesto della controversa storia della ricerca delle onde gravitazionali.

Un altro aspetto su cui il sociologo si è soffermato riguarda l’importante tema della segretezza: nei cinque mesi che hanno preceduto l’annuncio del febbraio 2016, i ricercatori della collaborazione hanno mantenuto un riserbo totale sulla notizia della possibile scoperta, non solo nei confronti della stampa (solleticata dall’uscita di numerosi rumors) ma anche di colleghi astrofisici che avrebbero potuto in qualche modo sfruttare i dati relativi alla scoperta, ad esempio pubblicando articoli scientifici di analisi dei dati parallelamente (o addirittura in anticipo) rispetto agli autori della scoperta. Ponendo un serio problema di carattere etico: fino a che punto è lecito spingersi pur di preservare la segretezza di una scoperta scientifica prima che venga annunciata? È giusto arrivare addirittura a mentire, negando che ci sia alcunché (come alcuni scienziati hanno dovuto fare, anche con dei colleghi)? Non sarebbe meglio ammettere che ci sia qualcosa, specificando al contempo che solo al termine dell’analisi dei dati si potrà finalmente parlare di scoperta? Il rischio, in quest’ultimo caso, sarebbe quello di una “brutta figura”, nel caso l’analisi non confermi la scoperta. Un rischio che molti scienziati preferiscono non correre, ma che secondo l’autore non comporterebbe nulla di cui vergognarsi (la storia della scienza è piena di mancate scoperte).

Un problema che comunque, almeno in questo settore, non si pone più: dopo la prima storica rivelazione del settembre 2015 sono stati infatti osservati altri dieci segnali di onde gravitazionali (diventati ormai la normalità), e non c’è più alcun bisogno di segretezza. Al contrario, oggi i dati degli esperimenti vengono resi pubblici in tempo reale, a disposizione di chiunque. Un bell’esempio di open science.


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