La squadra, anche dove non te l’aspetti. Nantes 1983 e Milano 1973
La prestazione sportiva è il risultato di un impegno collettivo. Ce lo hanno ricordato i campioni d’Europa di basket a Nantes 1983 e il primatista mondiale degli 800 metri di atletica leggera, Marcello Fiasconaro. Tra aneddoti, risate e analisi tecniche, abbiamo capito quanto conti il lavoro di squadra per avere successo nello sport. Siamo convinti che lo stesso valga anche per il mondo della ricerca.
Siamo spinti a ricordare su base dieci, la cifra tonda per il nostro sistema di conteggio e datazione. Noi storici lo sappiamo bene, spinti come siamo a controllare sui calendari quali sono e saranno le ricorrenze da celebrare. Al Festival dello Sport di Trento ho seguito, una dopo l’altra, due (belle) interviste pensate proprio per onorare la memoria su base dieci: i quarant’anni dalla vittoria italiana agli Europei di Nantes 1983 (basket) e i cinquant’anni dal record del mondo negli 800 metri di Marcello Fiasconaro (atletica leggera), stabilito all’Arena di Milano il 27 giugno 1973.
Il filo conduttore delle due chiacchierate è stato il concetto di squadra, strano a scriversi, visto che nel primo caso a parlare era sì un intero quintetto, ma nel secondo toccava al recordman mondiale di una disciplina individuale. Qui sulle pagine di FBK Magazine abbiamo più volte ricordato quanto sia rilevante il team anche per il lavori apparentemente più solitari, per esempio scrivere un libro. In quale misura lo sport ci può rafforzare in questa convinzione? Vediamolo.
Gli ex-giocatori di basket hanno dimostrato il senso del collettivo prima di tutto con il tono complice della loro memoria, fatta di scherzi, battute, risate spontanee e spesso piuttosto grasse. Un’atmosfera da spogliatoio riportata senza artifici nella Sala Filarmonica ha fatto da sfondo alla ricostruzione di una vittoria nata da un cammino, appunto, di squadra. Un lavoro organizzato dallo staff (guidato da coach Alessandro Gamba), manipolato da un massaggiatore coi fiocchi (Alessandro Galeani) ed eseguito dal quintetto dei presenti (Caglieris, Marzorati, Meneghin, Riva, Villalta) e dai sette assenti (Bonamico, Brunamonti, Costa, Gilardi, Sacchetti, Tonut, Vecchiato).
Il segreto della vittoria, si sa, risiede spesso nel giro della sorte, in quell’Europeo simboleggiato da un fortunoso canestro di Marzorati che indirizzò nella parte buona del tabellone la nazionale italiana grazie a una vittoria sulla Spagna (poi battuta di nuovo in finale) nella fase preliminare. Ma non può essere tutto lì. Ad ascoltare le voci dei campioni presenti, è impossibile non riconoscere la capacità di tenere la barra dritta da parte di coach Gamba, abile nel trasmettere ai suoi giocatori il giusto senso della responsabilità e anche quella sfacciataggine che a volte può fare la differenza. Renato Villalta, alla domanda se sentisse la responsabilità di essere il terminale offensivo di quella squadra, ha risposto “No. Tiravo senza pensare”. Formula vincente, a patto di essere campioni.
Campione lo è di sicuro Marcello Fiasconaro, italiano del Sudafrica, figlio di un siciliano finito in Sudafrica come prigioniero di guerra (era su di un aereo abbattuto dagli inglesi nel deserto del Sahara) e di una sudafricana.
Correva i 400 e gli 800 metri e iniziò a farlo per caso, perché il suo obiettivo era giocare a rugby. I suoi risultati balzarono all’occhio di un lungimirante scopritore di talenti trasferitosi in Sudafrica, Carmelo Rado. In Italia Marcello fece breccia, divenne un idolo capace di conquistare in un battibaleno la copertina dell’Intrepido (tre volte) e di richiamare 10.000 spettatori per una gara indoor di atletica leggera. Capelli lunghi, basette, fisico perfetto e una mentalità che gli fa dire: “Il bello dell’atletica non sono i soldi, ma girare il mondo, partecipare ai cocktail party, conoscere bella gente”; ricetta perfetta per farne un idolo nei primi anni Settanta.
L’intervento di Fiasconaro a Trento non è stato però centrato sulle sue imprese individuali, quanto sui legami costruiti nei suoi anni in Italia. Anche qui gli aneddoti divertenti non sono mancati, come del resto i saluti video dei compagni di nazionale e quello in presenza dell’astista trentino Renato Dionisi. E poi, le dichiarazioni: secondo Fiasconaro le due gare più belle della vita sono due staffette 4×400, quando agli Europei di Helsinki 1972 portò in ultima frazione la squadra in semifinale dal sesto posto alla qualificazione e in finale dal quinto alla medaglia di bronzo. Il più grande rimpianto? Non avere partecipato alla staffetta nella serata del record del mondo, perché dopo gli 800 metri corsi allo spasimo non ne ebbe la forza. Ci provò, ma sdraiato sul lettino dei massaggi capì che non era cosa.
Che ci si giochi in cinque o si corra principalmente da soli, in definitiva, dalla squadra non si può proprio prescindere.