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La storia cambia

14 Febbraio 2023

Massimo Rospocher è il nuovo direttore dell'Istituto Storico Italo-Germanico FBK. Gli abbiamo chiesto quali sono i progetti per i prossimi anni, come cambia la storia e come è cambiata la sua.

Trentino ‘di ritorno’, nel senso che il suo percorso accademico è un cerchio che si apre e si chiude (per ora) a Trento,  Massimo Rospocher è dall’inizio di questo mese il nuovo direttore dell’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler, a conclusione del mandato di Christoph Cornelissen.

Dopo essersi laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Trento, ha conseguito Master e PhD presso lo European University Institute (EUI) di Firenze e ha poi ottenuto varie fellowship presso istituzioni internazionali in Europa, USA, Canada e Australia. Tra queste: British Academy, Warwick University, Yale University, McGill University, CRRS Toronto, University of Melbourne, University of Sydney.

È rientrato a Trento con un post-doc triennale svolto all’Istituto Storico Italo-Germanico tra il 2007 e il 2010, prima di diventare ricercatore a tempo pieno all’ ISIG stesso. Ha insegnato all’Università di Leeds per quattro anni (2011-2015) ed è rientrato alla FBK nel corso del 2015. Da allora ha coordinato progetti di ricerca regionali e internazionali, tra cui il progetto PUblic REnaissance (https://hiddencities.eu/) finanziato dal consorzio HERANET.

Storico della cultura e della società dell’Europa moderna, le sue ricerche ruotano attorno a temi diversi come: la storia dell’opinione pubblica e della propaganda; lo studio del potere dei media, della comunicazione e dell’informazione; la storia delle città europee; la metodologia della ricerca storica. Ha pubblicato libri e saggi in italiano, inglese, tedesco e spagnolo, nei quali si è occupato di papi guerrieri come il ‘terribile’ Giulio II e di anonimi cantastorie, di umanisti rinascimentali come Erasmo da Rotterdam e di venditori ambulanti.

Gli abbiamo chiesto quali sono i progetti per l’Istituto, come cambia la storia e come è cambiata la sua.

– Da ricercatore di FBK-ISIG a Direttore dell’Istituto stesso, cosa ha pensato quando ha ricevuto la notizia ufficiale della nomina?

Il pensiero è andato a un paio d’anni fa, quando nell’estate del 2019 con la famiglia eravamo in procinto di spostarci a vivere in Australia. Mia moglie aveva avuto un’importante offerta di lavoro nella sua città, a Melbourne, ed eravamo ormai decisi al trasferimento down under. Abbiamo cambiato idea proprio all’ultimo minuto, su un traghetto di ritorno dalla Sardegna. Senza grandi certezze, a dire il vero. Quando si fanno scelte di vita, non si è mai certi di aver preso la decisione giusta. Direi che ne è valsa la pena.

– Qual è il suo progetto per l’Istituto nei prossimi anni? 

Negli ultimi decenni, il quadro di riferimento scientifico e storiografico, il contesto politico e istituzionale, i meccanismi di finanziamento e il mondo della ricerca in generale, così come i metodi e i linguaggi con cui viene divulgata la storia e le altre scienze, sono cambiati rapidamente. In questo contesto mutevole e talvolta spiazzante, l’ISIG non deve dimenticare le sue radici, la tradizione e la missione originaria, ma proiettarsi nel futuro adattandosi alle nuove tendenze e ai modi in cui la ricerca storica viene condotta, sostenuta e comunicata.

Dal punto di vista della ricerca, dunque, ci saranno elementi di continuità e di innovazione. Innanzitutto, ISIG non può prescindere da quella che è una delle sue ragioni fondative, cioè quella di esercitare una funzione di “stazione di posta e di cambio di cavalli”, come la definiva uno dei suoi fondatori, tra mondo scientifico italiano e germanico. Sempre nell’ottica della continuità, proseguirà il filone di studi dedicato all’impatto dei media e della comunicazione sulle società del presente e del passato, un ambito di ricerca che ha caratterizzato la direzione che mi ha preceduto e che ha posizionato ISIG nel panorama scientifico internazionale.

Esploreremo anche territori nuovi come la storia dell’ambiente, lo studio della mobilità, oppure la digital e public history. Cercheremo dunque di investire anche sui linguaggi con cui la storia viene raccontata a un pubblico ampio e non solo accademico. Un esempio che mi riguarda è la famiglia di app per smartphones Hiddencities realizzata nell’ambito del progetto europeo PURE da me coordinato e che utilizza le nuove tecnologie per cercare di offrire un’esperienza immersiva nelle città del passato, traducendo in un linguaggio comprensibile gli esiti della ricerca.

– Ci saranno iniziative ed eventi rivolti anche alla cittadinanza?

Il 2023 segna il mezzo secolo di vita di ISIG. Fondato nel 1973, ISIG è stato il primo centro di ricerca ad essere costituito all’interno di quello che era una volta l’ITC. Contiamo dunque di cogliere l’occasione del cinquantenario per una serie di eventi sia scientifici che maggiormente divulgativi.

Da un punto di vista scientifico l’evento culminate del 2023 sarà la LXIV Settimana di Studi, che si terrà a dicembre, e sarà l’occasione per celebrare il mezzo secolo di storia di ISIG con alcuni dei maggiori storici internazionali. Il tema sarà una riflessione su quali sono le principali ‘svolte’ che hanno dominato la ricerca storica a partire dal nuovo millennio: l’ambiente e il clima, i media e il digitale, il genere e le emozioni, la mobilità e la globalizzazione. Si cercherà di rispondere a un interrogativo fondamentale: questo incessante cambiamento è un indice di vitalità della storia, oppure un segnale della crisi della disciplina? Credo che sia una riflessione che non riguarda solo la storia, ma più in generale tutte le discipline umanistiche e le scienze sociali.

Nel 2023, inoltre, verrà assegnato nuovamente il premio Paolo Prodi, un premio dedicato al fondatore di ISIG e rivolto alla migliore opera letteraria di argomento storico pubblicata negli ultimi due anni. Il conferimento del premio sarà legato a un evento pubblico rivolto alla cittadinanza.

– In generale, quale può essere il ruolo degli storici nella nostra società? 

Se dovessi rispondere alla domanda su quale ruolo ha la storia nel mondo contemporaneo, sarei costretto a dire che ha perso la sua funzione pubblica e politica. Una delle ragioni che hanno reso la storia abbastanza marginale nel dibattito pubblico è che gli storici (non tutti ovviamente) hanno perso la capacità di raccontare e di comunicare, appaltando questa funzione ad altre figure. Credo che gli studiosi di storia debbano riappropriarsi di questo ruolo pubblico.

Per riconquistare una centralità nel dibattito pubblico, gli storici dovrebbero essere in grado di proiettare sul passato le domande che scaturiscano dalle urgenze del presente, senza cadere nel presentismo o nell’anacronismo attualizzante. La storia non si ripete, tuttavia, le nostre domande, inevitabilmente anacronistiche, non sopprimono il valore delle risposte che ci vengono dal passato.

– Riguardo al contesto FBK, un ragionamento sulle connessioni con gli altri Centri di ricerca

Al di là delle ovvie connessioni con i centri umanistici di FBK, ci sono temi su cui ISIG e gli storici in generale lavorano da tempo e intrecciano molte delle tematiche che sono affrontate negli altri Centri. Tra queste: il settore dell’heritage, il tema della cultura digitale e dell’innovazione tecnologica, l’informazione e le fake news, l’ambiente. La pandemia, ad esempio, ha acuito la percezione diffusa di vivere un momento di cambiamento radicale per l’umanità e in questo senso uno sguardo al passato è servito non tanto a predire il futuro, ma mettere in prospettiva un’esperienza collettiva. Lo stesso può dirsi del dibattito sulla rivoluzione digitale che stiamo attraversando, una retorica pervasiva che ricorda altri momenti storici in cui l’avvento dirompente di una nuova tecnologia ha sconvolto le società del passato.

C’è poi una dimensione più operativa, per così dire. Il mestiere di storico è sempre stato un lavoro individuale, quasi solitario. La mia impressione è che, per diverse ragioni (grandi progetti internazionali, intreccio di competenze etc. ), il modo di operare degli storici stia diventando sempre più collaborativo e in un certo senso più simile alla dinamica del laboratorio che è propria di altre discipline che caratterizzano altri Centri FBK.

– E a proposito della sua di storia, da bambino cosa sognava di fare? In quale momento del suo percorso ha deciso di occuparsi di ricerca?

Quello per la storia è un interesse maturato in età adulta, mentre la mia grande passione fin da bambino è lo sport. Dunque, mi affascinavano le professioni come il giornalista sportivo o l’allenatore. Secondo i miei professori ero invece particolarmente portato per la matematica. Insomma, tutto non è andato esattamente secondo i piani.

– Quali consigli darebbe a dei giovani che stanno decidendo di intraprendere la strada verso il mondo della ricerca?

Credo che ciascuno debba essere mosso dalle proprie curiosità, senza le quali non si accetterebbero i sacrifici che una vita spesso precaria impongono a chi vuole fare della ricerca un mestiere. Ad essere sinceri, infatti, per voler intraprendere la strada della ricerca in Italia, soprattutto per chi non proviene da un contesto privilegiato, ci vogliono davvero molta passione e abnegazione.

Per quanto mi riguarda, inoltre, consiglierei a tutti di fare delle esperienze all’estero. Al di là di problemi reali che spingono in molti a lasciare un paese come l’Italia, mi ha sempre lasciato perplesso la retorica dei cervelli in fuga; lavorare, vivere, studiare in contesti diversi da quello di origine, oltre che una forma di arricchimento, sarà sempre più la norma nella nostra società.


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