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L’ascensore che non c’è

2 Maggio 2018

La scuola ha come obiettivo la conservazione dei rapporti sociali vigenti oppure l'inclusione e l'accesso alla conoscenza per far palestra di piena cittadinanza?

La scuola, con tutti i suoi difetti, costituisce uno degli ultimi momenti di aggregazione sociale: l’obbligo di frequenza fino ai 16 anni non permette ancora alle famiglie di esercitare la scelta di non far studiare i propri figli.  Mandare un figlio a scuola è un costo per la famiglia, ma è un investimento che si fa, talvolta a costo di grandi sacrifici, per dare ai propri figli maggiori opportunità di quelle che hanno avuto i genitori: avere un titolo di studio è necessario per accedere a lavori qualificati e ben retribuiti, e di conseguenza ad un migliore posizionamento sociale. Purtroppo nella maggioranza dei casi questo non succede e la scuola viene messa sotto accusa, un apparato modellato per rispondere alle esigenze della società agricole e industriale che non esistono più, scrive Norberto Bottani nel 2013.

Ma questo ascensore sociale ha davvero mai funzionato? O piuttosto la scuola ha come obiettivo la conservazione dei rapporti sociali vigenti, limitandosi ad essere strumento di assimilazione di norme per la gestione della popolazione?

Nel libro La Maestra e la Camorrista, Federico Fubini, ci racconta un’altra versione della storia: partendo da un lavoro di ricerca fatto dalla Banca d’Italia che dimostra come in sei secoli, la distribuzione del reddito a Firenze non sia cambiata, e arrivano alla conclusione che “quando l’ascensore sociale si congela in una glaciazione semipermanente – le persone smettono di crederci”.  E le persone smettono di credere agli altri, perdono la fiducia, perché il gioco è sempre a somma zero: ogni avanzamento è sempre a spese di un altro. Fubini racconta di come abbia intervistato decine di adolescenti del sud e del nord dell’Italia chiedendo quanto fossero disposti a “fidarsi degli altri” e arriva alla conclusione che il  “successo nutre la fiducia e la capacità di fidarsi nutre il successo” e che  “La sfiducia in ciò che ti circonda si trasforma in un veleno sottile che contribuisce a paralizzare l’ascensore sociale dal basso verso l’alto in Italia.” E poi prosegue il suo racconto su come abbia tentato di intaccare questa sfiducia facendo conoscere ai ragazzi della scuola di Mondragone a Caserta, persone che partite da situazioni di difficoltà hanno avuto risultati eccellenti.

La scuola come ultima barriera al degrado l’ho conosciuta al convegno organizzato dall’Associazione Europea dei Genitori (European Parents Association) che aveva come tema quello dell’inclusione: li ho avuto l’occasione di incontrare Eugenia Carfora la dirigente scolastico dell’Ist. Morano di Caivano, un paese a 10 km da Napoli. Lei ha raccontato dei suoi fallimenti e dei suoi successi nel riuscire a dare una scuola pulita e attrezzata ai suoi allievi e di come ogni giorno sia in trincea, anche lottando con le mamme che arrivano alle minacce fisiche: la sua storia è raccontata in questo video. C’era anche Sara Ferraioli di Maestri di Strada, che ha spiegato come il loro lavoro sta nella creazione di relazioni, con i ragazzi, con gli insegnanti e con i “genitori sociali”, volontari che ricoprono il ruolo di genitori pur senza esserlo.

L’inclusione passa anche per l’accesso alle tecnologie digitali, a patto che se ne faccia un uso non superficiale, ma che stimoli il pensiero critico e la passione per la scoperta e l’apprendimento. Nella discussione sul digital divide con genitori di tutta Europa sembra che i problemi siano comuni: poche infrastrutture e scarso uso in classe, e se qualcuno ritiene che lo stato non dovrebbe promuovere l’utilizzo degli smartphone in classe, altri lo considerano ormai l’equivalente della penna e del quaderno.

La crescita inclusiva necessita che il progresso della scienza e della tecnologia siano indirizzate da uno scopo, per evitare il rischio di ampliare le ingiustizie, la frammentazione sociale e l’esaurimento delle risorse: tale scopo è il benessere individuale e collettivo. L’agenda OCSE  indica come obiettivo dell’educazione quello di fornire conoscenze, abilità, attitudine e valori per rendere le persone in grado di contribuire e di fruire un futuro inclusivo e sostenibile. Per raggiungere questo scopo sono state individuate tre nuove “competenze trasformative” definite come creazione di nuovo valore, riconciliazione di tensioni e dilemmi, assunzione di responsabilità.   Tradurre le “competenze trasformative” in curriculum richiede la partecipazione dell’intero ecosistema educativo: studenti, insegnanti, dirigenti, genitori, decisori, ricercatori, sindacati, attori sociali e commerciali sono coinvolti in un processo di co-creazione per definire le linee guida dei nuovi sistemi educativi.

Nuovi sistemi educativi che permettano di affrontare l’incertezza e l’imprevedibilità del futuro, ma dove la speranza e la fiducia negli altri sembra ancora più indispensabile.


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