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Perché l’Antartide?

11 Gennaio 2023

Con questo articolo FBK Magazine avvia una collaborazione con la redazione di Vulcano Statale, il giornale dell’Università degli Studi di Milano. Con cadenza quindicinale ospiteremo un punto di vista degli studenti universitari sul mondo della ricerca, intesa nella sua accezione più vasta.

È il 16 dicembre 1957, coordinate 78°27′50″S 106°50′15″E, quando gli uomini della seconda Spedizione Antartica Sovietica, sotto la guida di Alexey Fyodorovich Tryoshnikov, fondano quella che il mondo avrebbe conosciuto come Vostok Station. Lì, nel cuore del plateau antartico, nei pressi del polo sud dell’inaccessibilità, la temperatura può raggiungere minimi di −89.2 °C, e mantiene una media di circa −66.0 °C durante la stagione fredda. Viene da chiedersi perché la nostra specie si sia interessata, e ancora si interessi, ad un luogo simile, perché non abbiamo preferito lasciare scritto sui planisferi Terra Australis incognita. Forse, è possibile rispondere a questa domanda continuando a considerare la base Vostok, ma facendo un salto in avanti nel tempo.

Nel 1974, un’analisi sismica della regione rivelò anomalie in una vasta area di quasi 10.000 km2, circa 4 km sotto la superficie del ghiaccio su cui poggia la base Vostok. Si scoprì che tali risultati erano dovuti alla presenza di un lago subglaciale (che a causa della presenza della base venne nominato Subglacial Lake Vostok, SLV) rimasto isolato dalla superficie terrestre per centinaia di migliaia, forse milioni, di anni. Ciò che probabilmente ha generato quello che Marco Del Freo chiama “il guizzo negli occhi di chi c’è stato (in Antartide, N.d.R.), lo sguardo che improvvisamente si mette a fuoco ben oltre le cose quotidiane” in chi, nel ‘74, si occupava di Antartide, è stata la consapevolezza che il continente bianco non è sempre stato come lo conosciamo; un tempo pullulava di vita anche nell’entroterra, non solo in prossimità delle coste come oggi. Dunque, che fine avevano fatto gli organismi che popolavano il lago prima che venisse sigillato? Si erano estinti, oppure alcuni sopravvissuti si erano adattati a vivere sepolti sotto diversi chilometri di ghiaccio?

La curiosità nei confronti di questi interrogativi si infiammò nel 1980, grazie all’attività della sonda spaziale Voyager 2, che fotografò la superficie di Europa (una delle lune di Giove), rivelando una superficie ghiacciata con un oceano liquido sottostante: se la vita poteva conservarsi per centinaia di migliaia di anni in acqua sepolta da chilometri di ghiaccio antartico, forse si sarebbe potuta trovare anche negli oceani sommersi di Europa.

Nel 2013 venne pubblicato il primo dettagliato resoconto dell’analisi delle carote di ghiaccio ricavate dal lago Vostok. Purtroppo però, i dati provenienti da questi campioni risultarono controversi, poiché estratti da un foro di trivellazione contaminato con kerosene. Fu necessario attendere l’anno successivo per ottenere la prima descrizione di un ecosistema subglaciale, e non si trattò del lago Vostok. Circa ottocento metri sotto la superficie dell’Antartide Occidentale, la presenza del lago subglaciale Whillans (SLW) consentì delle interessanti scoperte: “I nostri risultati confermano che gli ambienti acquatici sotto il ghiaccio antartico supportano la presenza di ecosistemi microbici attivi,” scrissero gli scienziati che condussero le osservazioni.

Questa volta le operazioni di trivellazione e accesso al lago subglaciale furono condotte con l’obiettivo di preservarne le caratteristiche, evitando l’introduzione di microbiota esterno e altro materiale nel SLW, e non ci fu possibilità di fraintendimento: 800 ± 1 m sotto la superficie dell’Antartide Occidentale era presente un complesso insieme di microrganismi che non ne comprendeva solo di autotrofi (che si alimentano sfruttando l’energia proveniente da fonti inorganiche, come le piante, per intenderci), ma anche di eterotrofi (che si nutrono di altri organismi).

Questo studio, oltre ad approfondire la conoscenza che abbiamo del Pianeta, amplia i nostri orizzonti di ricerca. Come sostiene il professor Priscu, uno fra gli autori della ricerca sul lago Whillans: “Ora che l’esplorazione spaziale entra nella sua sesta decade, abbiamo, per la prima volta nella storia dell’umanità, gli strumenti e le tecniche per affrontare le domande riguardo all’abitabilità di mondi oltre la Terra. Le lune ghiacciate del sistema solare esterno, mondi come Europa e Encelado, che orbitano, rispettivamente, intorno a Giove e Saturno, sono coperte da ghiaccio e nascondono oceani che contengono un volume di acqua molto superiore a quello che si trova sulla Terra. Questi oceani sono lì oggi e sono stati lì probabilmente per la maggior parte della storia del sistema solare, facendone un ambiente ideale in cui cercare vita microbica extraterrestre, e nei quali esaminare una possibile seconda, indipendente, origine della vita.”

Forse, dunque, il motivo che spinge alcuni uomini verso ambienti come l’Antartide non è solo l’indiscutibile fascino del continente, ma la possibilità che in questi luoghi si ha di entrare in contatto con scenari inaspettati, organismi sconosciuti, dinamiche non previste. Si tratta dell’opportunità di instaurare un intimo dialogo con la Realtà, che potrebbe consentire di superare l’abituale rapporto che con lei abbiamo, quello di semplici osservatori e ascoltatori. Tale superamento ci realizza profondissimamente, poiché, quando si ha l’occasione di scrutare l’infinita bellezza dei frammenti della trama della Realtà, non si può non innamorarsene.

Come scrive il professor Barbante, anch’egli autore dello studio sul SLW: “Ricordo benissimo che alla fine della mia prima missione, appena messo piede sul ponte della nave Italica con la quale sarei rientrato in Nuova Zelanda, ho immediatamente pensato a come avrei potuto fare ritorno in quel magico continente. Una passione travolgente e totalizzante, una specie di mal d’Africa o meglio mal d’Antartide di cui, ho scoperto, soffrono migliaia di ricercatori […].”

[1] Il punto del continente antartico più lontano da qualsiasi linea costiera.
[2] Al-Khalili J., McFadden J., (2015), La fisica della vita, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 219-221.
[3] Del Freo M., (2000), Orizzonte bianco, scoperte scientifiche e avventura umana nella base italiana in Antartide, Sperling & Kupfer, Milano, p. 26.
[4] Campioni di ghiaccio ricavati tramite carotaggio dai ghiacciai o dalle calotte polari.
[5] Shatarkman Y.M., Kocer Z.A., Edgar R., Veerapaneni R.S., D’Elia T., Morris P.F. e Rogers S.O., (2013), Subglacial Lake Vostok (Antarctica) accretion ice contains a diverse set of sequences from aquatic, marine and sediment-inhabiting bacteria and eukarya, PLOS One, vol. 8: 7.
[6] Christner C. B., Priscu C. J., Achberger M. A., Barbante C., et al., (2014), A microbial ecosystem beneath the West Antarctic ice sheet, Nature, vol. 512.
[7] Priscu C. J., Laybourn-Parry J., Häggblom M., (2014), Polar and alpine microbiology in a changing world, FEMS Microbiology Ecology, vol. 89.

 

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