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Una boutique un po’ speciale

24 Settembre 2018

Abbiamo visitato la “Boutique des sciences” di Lione, una tra le realtà più interessanti nel panorama europeo dei “Science Shop”, strutture che portano avanti ricerche scientifiche a nome della società civile

«Un Science shop fornisce un supporto indipendente alla ricerca in risposta a una precisa necessità proveniente dalla società». La definizione è di Henk Mulder, leader del Science Shop di Groningen, in Olanda, ed esprime in modo perfetto lo spirito di queste strutture che si possono incontrare in giro per l’Europa. Possono essere indipendenti o strutturate all’interno di università ed enti di ricerca, ma la missione di base è la stessa: fare da “ponte” tra il mondo della ricerca e la società civile, dando l’opportunità ai cittadini di avanzare proposte di ricerca che si traducano in progetti realizzati da ricercatori e studenti.

In un articolo precedente avevamo raccontato l’importante realtà del Science Shop di Bonn, un’organizzazione no-profit che porta avanti molti progetti di engagement per (e con) la cittadinanza locale. Un’altra realtà giovane e interessante nel panorama dei Science shop europei – che a differenza di quello di Bonn è inserita all’interno di una università – è sicuramente quella della “Boutique des sciences” di Lione: nata nel 2013 all’Università di Lione, raccoglie idee di ricerca provenienti dalle associazioni del territorio, traducendole in progetti realizzati da studenti universitari, con la supervisione dei ricercatori dell’università.

«In cinque anni sono stati realizzati decine di progetti a nome della società civile, che spaziano dall’ambiente alle scienze sociali, passando per l’urbanistica e la salute», sottolinea Amalia Verzola, dall’anno scorso EU project officer nel team della “Boutique”. Il tutto seguendo un percorso preciso e ormai consolidato, che si ripete ogni anno. «Entro l’estate invitiamo le associazioni del territorio ad avanzare domande di ricerca. Le domande devono partire da un’esigenza particolare interna all’associazione, ma al tempo stesso devono essere di interesse generale per la società». In autunno, le proposte vengono vagliate da un comitato scientifico che include ricercatori e alcuni membri delle associazioni: le più interessanti diventano dei progetti di stage semestrali per studenti universitari, che svolgono poi i tirocini a stretto contatto con le associazioni, lavorando fisicamente nelle stesse sedi associative.

«Tutti gli attori in gioco possono sfruttare a loro vantaggio queste attività», prosegue Verzola. «Le associazioni hanno l’occasione di avere il supporto dell’Università per lavorare su un problema legato all’attività associativa, gli studenti possono misurarsi con una prima esperienza di ricerca sul “campo”, mentre i ricercatori possono toccare con mano casi di studio interessanti e spesso trascurati, provenienti dalla società civile».

I progetti riguardano soprattutto il settore delle scienze sociali, ma scorrendo la lista emerge comunque una grande varietà di temi: tra questi, un focus di educazione ambientale per adulti e bambini, uno studio sulla qualità degli orti urbani e anche un’analisi dell’impatto prodotto dall’arrivo di molti studenti sulla vita di un quartiere della città.

Il team della “Boutique” – che è coinvolta anche in diversi progetti europei sulla ricerca partecipata – è guidato da Florence Belaën, a capo del dipartimento di Scienza e società dell’università, e include anche la project officer Pauline Bryère e Catherine Ambroise-Rendu, che cura in particolare la parte di formazione per gli studenti.


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