Ventimiglia tra accoglienza ufficiale e percorsi informali
La posta in gioco nella dialettica tra sorveglianza e resistenza
Ventimiglia è un fazzoletto di terra che ha davanti a sé il mare e alle spalle la montagna. Pochi chilometri più a Ovest il suolo, in virtù dell’invenzione umana dei confini e degli Stati-nazione, diventa francese. A Ventimiglia però si parla ancora italiano, con un accento misto tra ligure e calabrese, grazie ai massicci insediamenti dal Sud alla fine del millennio scorso. Poco meno di 25 mila abitanti che d’estate accolgono decine di migliaia di turisti nazionali e internazionali, attratti dalle spiagge e dal clima della provincia di Imperia.
Sono forse i turisti a riflettere ancor di più le contraddizioni del territorio. Il 26 luglio, appena giunto a Ventimiglia con il progetto STAMP, rimasi colpito da un gruppo di turisti in attesa dell’apertura del passaggio a livello dei binari ferroviari che tagliano Via della Tenda. La strada corre parallela al gretto semi-prosciugato del fiume Roia, coperto in parte dalla sopraelevata dell’autostrada. Da Via della Tenda, un muretto ad altezza vita separa la carreggiata dal corso del fiume. L’attesa del passaggio a livello andava allungandosi, ma i turisti con i loro materassini gonfiabili, i costumi e le maschere da immersione, attendevano immobili: chi ammirava le basse palazzine, proprie di una edilizia anni Sessanta, chi qualche sassolino sul selciato, qualcuno lo smartphone, ma nessuno guardava oltre il muretto, dove, una decina di metri più in basso, su un cartone aperto, tre ragazzi neri consumavano un pasto. Questa immagine parrebbe la principale candidata a restituire la brutalità del confine simbolico in opera a Ventimiglia come altrove: quello stesso confine che distingue un’umanità indesiderata da invisibilizzare e criminalizzare là dove esprime il desiderio di attraversare i confini da un’umanità a cui è invece garantito il “diritto allo svago”, al consumo e, soprattutto, al movimento. Mai come in quella scena la metafora di Bauman dei “turisti e dei vagabondi della globalizzazione” prende forma in maniera così esplicita.
L’intervento istituzionale a Ventimiglia sembra mirare a stabilire, su una scala più ampia, quell’elusione di sguardo messo in atto dal gruppo di turisti: governare le masse degli “indesiderati” affinché vengano resi invisibili agli occhi della popolazione. Tale disegno politico però si scontra con la resistenza costante di questi ultimi intenti a creare propri percorsi di autodeterminazione. La tensione tra resistenza e repressione si avverte là dove si pone lo sguardo sui tentativi istituzionali di concentrare i “transitanti” di Ventimiglia all’interno del campo “parco Roia” della Croce Rossa: dei circa 700 migranti che mediamente stanziano sul territorio nel tentativo di attraversare il confine, infatti, più di 500 sono ospitati all’interno del campo della Croce Rossa, inaugurato il 16 luglio del 2016. Altri 200 migranti stanziano invece in accampamenti “informali” sul gretto del fiume, negli spazi tra i piloni della sopraelevata autostradale, nelle tende o all’addiaccio. Tra le due soluzioni di dimora non vi è soltanto una differenza di “comodità”, come saremmo portati a credere con sguardo superficial; il campo della Croce Rossa rappresenta un esempio dell’ambiguo intreccio tra cura e controllo dell’approccio umanitario in essere. Il campo è infatti fortemente evitato dai migranti a causa della sua totale coincidenza con le caratteristiche del “modello campo”: è lontano dal centro di Ventimiglia, invisibile agli occhi della popolazione e dei turisti; è posto sotto presidio costante di militari e forze di sorveglianza di diversi reparti armati di difesa; non è consentito l’accesso agli esterni; infine, ed è questo un elemento piuttosto temuto dai migranti in transito, da alcuni mesi l’accesso all’accoglienza del centro è subordinata al rilievo foto dattiloscopico. Tali elementi ci inducono a spostare l’attenzione dai problemi di gestione del campo, come la promiscuità tra uomini, donne e minori, le condizioni igieniche e il rispetto della privacy, verso un esame più attento del concetto di “campo” in quanto dispositivo di potere. Questa è la ragione per cui le pressioni istituzionali affinché le persone si spostino nel campo della Croce Rossa corrispondono a una ideologia che fa del decoro e dell’ordine pubblico una modalità di governo della popolazione. In questo senso vanno lette le azioni del giovane sindaco del PD, Enrico Ioculano, in grande difficoltà nella gestione di un fenomeno di tale portata: egli utilizza ogni tipo di strumento al fine di disincentivare la presenza pervasiva dei migranti sul fiume Roia, spingendoli ad accettare la sorveglianza del campo della Croce Rossa. Oltre ai vari sgomberi degli accampamenti informali, la scorsa estate si è assistito alla chiusura delle fontane di acqua potabile presenti sulle sponde del fiume e la negazione dell’installazione di bagni chimici, mettendo dunque a rischio la sopravvivenza delle persone presenti sul fiume e, più in generale, l’igiene pubblica.
I migranti, le grandi organizzazioni internazionali e le istituzioni non sono i soli attori nella complessa arena locale: varie associazioni di cittadini pressano sulle istituzioni e attivano reti di solidarietà con i migranti così come diversi partiti politici (negli ultimi mesi è comparso anche un presidio di Casapound) supportano e alimentano diverse rivendicazioni. In maniera rilevante vanno però messe in luce le azioni della chiesa cattolica locale (la chiesa delle Gianchette), che offre ospitalità a donne e minori di 14 anni, delle Organizzazioni Non Governative e dei movimenti sociali presenti sul territorio. La complessa arena attraversata dalle tensioni che abbiamo descritto si arricchisce infatti dell’azione di Weworld, Intersos e Medici Senza Frontiere, i quali offrono assistenza medica e legale ai migranti in transito. Infine, un ruolo importante sul territorio è giocato dai movimenti sociali, il cui impatto risulta negletto o distorto dai resoconti di giornalisti e analisti mainstream, per cattiva fede o poca conoscenza. Nel Giugno del 2015 nacque l’assemblea No Border di Ventimiglia in supporto ad un gruppo di migranti che resistevano a uno sgombero. Nel corso del suo anno e mezzo circa di attività, il presidio permanente No Border di Ventimiglia ha costruito assemblee pubbliche con migranti e italiani e ha promosso eventi di sensibilizzazione sulle violenze istituzionali, sugli effetti della militarizzazione dei territori, sulle cause globali delle attuali migrazioni. Allo scioglimento dell’assemblea No Border, il vuoto viene colmato dal “progetto 20k”, costituito da una rete di attivisti, con un background leggermente diverso rispetto ai No Border, anch’essi impegnati nel supporto ai transitanti, nell’informazione e nel monitoraggio delle pratiche istituzionali.
L’arena di Ventimiglia si compone dunque di queste diverse forze in tensione tra loro e frammentate in decine di diverse posizioni, opinioni e iniziative. La piccola città mostra inoltre con forza il carattere di dispositivo che il confine assume. Il termine “dispositivo” va qui, a mio avviso, applicato nell’accezione originaria di Foucault e nella lettura successiva di Gilles Deleuze.
Come è noto, Foucault definisce il dispositivo innanzitutto come la rete che si stabilisce tra discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche che costituiscono la formazione che in un dato momento storico nascono come risposta strategica a una determinata urgenza. L’obiettivo del filosofo francese era quello di individuare la natura del legame che può stabilirsi tra elementi eterogenei e le strategie dei rapporti di forza che sostengono determinati saperi e sono da essi sostenute. Alla base del progetto Foucaultiano, tuttavia, resta l’attenzione per i processi di soggettivazione, definiti come la maniera con cui l’uomo occidentale sia arrivato a definire se stesso come soggetto e secondo quali caratteristiche. Allo scopo di evitare qualunque slancio essenzialista, Foucault sottolinea l’esistenza di diversi dispositivi, sempre attraversati da tensioni, sebbene la loro caratteristica principale consista in una certa coerenza interna. Ciò che quindi attraversa Ventimiglia può essere visto alla luce di un insieme di elementi eterogenei che si rincorrono e giustificano a vicenda: l’azione istituzionale di spingere verso il campo della Croce Rossa sembra rispondere direttamente a quell’elusione dello sguardo al passaggio a livello di Via della Tenda. Per entrambe, i migranti, ma forse i poveri in generale, sono soggetti fastidiosi da nascondere perché simbolicamente estranei ad una purezza sociale delineati sulla linea del colore e della classe sociale. Allo stesso tempo, però, il lato umanitario dell’occidente, con cui il lato repressivo vive in un rapporto di tensione, impone una qualche forma di accoglienza. Quest’ultima, sussunta nella forma del campo, risponde ad uno schema di cura e sorveglianza che si alimenta e si giustifica della stessa ideologia per cui la povertà è un problema da risolvere nascondendone e neutralizzandone gli effetti, piuttosto che attaccandone le cause. A un livello più alto ancora, il meccanismo della sorveglianza consente un blocco delle persone in transito che risponde a varie esigenze, anche in termini di bisogno di manodopera, degli altri Stati europei, trova le sue condizioni di possibilità nei rapporti di forza tra i Paesi e, in ultima analisi, continua a giustificarsi attraverso quella divisione simbolica che vede nell’altro un fastidio e un pericolo (la presunta e mai dimostrata infiltrazione di terroristi nelle reti dei migranti). Questa nozione di pericolo, contrapposto alla “purezza” del decoro, permette di chiudere i rubinetti di acqua potabile sulle sponde del fiume o di non installare bagni chimici come forme di disincentivazione allo stanziamento informale.
L’analisi della rete che connette i diversi elementi di una formazione nata per fronteggiare un’emergenza – cioè quello che Foucault definisce “dispositivo” – necessita di una integrazione che esca fuori dalle secche di un discorso che rappresenti il Leviatano un essere invincibile. Alla fine degli anni Ottanta, Gilles Deleuze propone una rilettura del dispositivo foucaultiano mettendone in luce l’aspetto che riguarda la dialettica tra la soggettivazione, il potere che agisce sulla carne viva, e il nuovo, in un infinito esercizio di libertà possibile. Esso nasce dalla dialettica tra l’incorporazione del fuori (costituito dall’intreccio tra sapere e potere) e diverse forme di soggettivazione che lasciano aperte possibilità di resistenza.
Ventimiglia mostra anche questo: soggetti migranti che assecondano l’invisibilità per poter passare le frontiere o che rifiutano l’accoglienza/reclusione e, in ultima analisi, lo statuto di vittima loro assegnato ai fini del controllo sociale; migranti che intrecciano attivisti, producendo nuovi soggetti politici, nuove forme di organizzazione; migranti che si muovono tra i turisti, rompendo, più o meno coscientemente, il muro di invisibilità costruito intorno a loro; cittadini che infrangono le ordinanze che impongono il divieto di distribuire cibo ai migranti; migranti che, nel commissariato di frontiera, rifiutano di mostrarsi come corpi docili e si oppongono, con un atto di resistenza, al loro trasferimento immotivato nell’hotspot di Taranto.
La RUBRICA “Il governo europeo della migrazione” è a cura di OSVALDO COSTANTINI, associate researcher presso il Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler, impegnato nelle linee di ricerca sugli stili di vita e i conflitti. Nell’ambito di questo interesse si muove a cavallo tra le pubblicazioni scientifiche e gli interventi pubblici sulla stampa, soprattutto in relazione a quegli aspetti delle #migrazioni maggiormente legati agli immaginari, ai desideri, e alle connesse frustrazioni e disillusioni che muovono le azioni di questi nuovi “dannati della terra”.
GLI ARTICOLI PRECEDENTI:
Frontiere terrene, mondi extraterreni
Le Alpi Marittime
Emisfero Hotspot
Il governo europeo della migrazione