Archivi e ricerca: la conclusione del progetto Grenzakten 2.0
Lo studio archivistico e il concetto in evoluzione di confine al centro del progetto Grenzakten 2.0, grazie al quale è ora accessibile la grande raccolta documentaria sui confini dell’Europa moderna conservata nei due Archivi di Stato di Innsbruck e Trento.
Si è recentemente concluso il progetto Grenzakten 2.0 durante il quale un gruppo di ricerca di Isig ha esaminato documenti di varia natura sugli atti dei confini (Grenzakten) datati tra il XVI secolo e il 1854. Lo scopo principale del progetto è stato quello di esaminare e redigere un inventario online dei documenti relativi al confine veneto-imperiale oggi suddivisi tra Italia e Austria. Ancora prima della firma del trattato di pace di Saint Germain en Laye del settembre del 1919 questa documentazione fu smembrata seguendo il principio di pertinenza archivistica, anziché quello di provenienza, poi fissato come criterio per la suddivisione dei fondi archivistici e per le consegne dei materiali agli stati successori dell’ex monarchia asburgica, tra cui figurava l’Italia. Questa azione ha dato vita a un’anomalia rappresentata dal frazionamento di una raccolta coerente in due gruppi separati di atti, come accadde del resto anche durante i grandi trasferimenti di documenti di epoca napoleonica.
Abbiamo chiesto alla storica Katia Occhi di FBK-ISIG, curatrice del progetto, di parlarci delle fasi e degli aspetti peculiari dello stesso.
Cosa significa lavorare sugli archivi?
Grazie alle suggestioni offerte dagli studi ispirati dal cosiddetto archival turn, negli ultimi anni storici, antropologi e archivisti hanno cominciato a studiare la storia culturale degli archivi. Non si analizza più l’archivio in modo tradizionale, come fonte o dato materiale grezzo, ma come un oggetto culturale costruito: esso è diventato un monumento (nel senso etimologico del termine) di ciò che si fa ricordare e una testimonianza del potere dello Stato in quanto produttore di fatti e di classificazioni.
Questo ha spostato l’attenzione dalle proprietà e dalle caratteristiche del documento al percorso che porta la documentazione a diventare archivio. In questa prospettiva a storici e storiche spetta decifrare non solo quello che il documento dice, ma l’intenzione che ha presieduto alla sua produzione e alla sua conservazione, il perché esso ha trovato quella collocazione in quel dato luogo e quando ciò sia avvenuto.
Queste suggestioni hanno in parte ispirato anche le ricerche da me (Katia Occhi, ndr) condotte recentemente sulla fisionomia dell’archivio del principato ecclesiastico di Trento, soppresso nel 1803, e a indagare la specificità dei materiali oggi conservati a Trento, profondamente segnati dalle dispersioni avvenute al principio dell’Ottocento, quando la parte più antica dell’archivio vescovile fu prelevata dal personale in servizio presso il Gubernialarchiv di Innsbruck, per essere concentrata nell’archivio centrale del Tirolo, mentre un’importante porzione fu trasferita a Vienna e una a Monaco di Baviera.
Studiare come le società del passato hanno gestito i loro archivi permette di fare luce su quali conseguenze hanno avuto queste scelte sul nostro sapere storico. Le profonde lacerazioni che hanno travagliato la storia trentina e tirolese nell’Otto-Novecento si sono puntualmente riflesse sul patrimonio documentario e questo non sempre ha consentito una piena comprensione del passato di un territorio la cui fisionomia politica, economica e sociale è stata profondamente connotata dall’integrazione tra mondo latino e tedesco e tra montagna e pianura. Oggi è evidente che le aree di intersezione come il Trentino e l’Alto Adige vanno esaminate in tutti gli archivi che ne possono dare conto e questo è particolarmente importante per questa realtà, i cui archivi sono stati a lungo conservati e riordinati oltralpe, come abbiamo potuto appurare con queste ricerche.
Di cosa si è occupato, in particolare, il progetto Grenzakten 2.0?
Il progetto, co-finanziato da Caritro e condotto con due bandi archivi, ha preso in esame le sezioni “IV. Tirol gegen Venedig” e “V. Tirol gegen Trient” (mazzi 43-56), una raccolta suddivisa oggi tra l’Archivio di Stato di Trento, dove giunse alla fine della Prima guerra mondiale, e la seconda che è conservata al Tiroler Landesarchiv di Innsbruck. La ricerca ha mostrato che essa raccoglie documenti riconducibili per la maggior parte alle attività diplomatiche delle commissioni che operavano per dirimere le controversie confinarie tra la monarchia asburgica nell’area del Tirolo e la Baviera, Salisburgo, Venezia, Trento e i Grigioni. Nella prima fase di lavoro sono stati schedati gli atti pertinenti al Trentino compresi tra 1452-1912 ed è stato elaborato un inventario che ora è disponibile online
La seconda tranche del progetto ha permesso di schedare la documentazione relativa ai confini custodita al Tiroler Landesarchiv di Innsbruck, riguardante le aree verso la Val Pusteria, il Cadore, la Marmolada e le valli di Non e di Sole, al confine con il Principato ecclesiastico di Trento.
Si tratta di materiali di epoca settecentesca: carteggi, memoriali, proclami, proteste, relazioni dei rettori veneti e degli ambasciatori imperiali a Venezia riguardanti le controversie tra gli stati. Sono materiali ricchi di informazioni che evidenziano da un lato problemi di ordine militare, ma rinviano anche al concorrenziale sfruttamento di risorse alla base dell’economia di montagna.
Quale importanza rivestiva, a livello storico, il confine?
Come detto, la documentazione è molto eterogenea, da un lato essa fotografa la situazione di un confine che è una zona di passaggio, che correva lungo aree strategiche, da sempre zone di frontiera: politica, ecclesiastica, culturale. Barriera e confine sì, ma al contempo luoghi permeabili e porosi, dove per secoli si sono combinate lingue e tradizioni diverse. Gli intrecci di interessi, le modalità di confronto, le ostilità che scaturivano da stare sulla frontiera comportavano vantaggi e rischi, mutevoli a seconda delle circostanze e delle convenienze.
Dietro i conflitti confinari negoziati dai rappresentanti diplomatici internazionali si celava una serie di dinamiche economiche. La realtà documentabile per questi villaggi posti ai confini tra due potenze internazionali come la Repubblica di Venezia e l’Impero mostra che non si trattava di una società chiusa, ma di una realtà inserita in un circuito di scambi e di reciprocità, in cui la montagna di antico regime era legata all’economia di pianura, in particolare di quella veneta, la cui capitale era una delle più grandi città europee agli inizi del XVI secolo.
Quindi non sempre vivere lungo il confine evidenziava dispute e contrapposizioni, in alcuni casi ci troviamo di fronte alla condivisione delle risorse tra villaggi posti al di qua e al di là della linea confinaria. Nel caso dei pascoli ai piedi delle Pale di San Martino in Primiero, per esempio, si può osservare che oltre alle comunità locali vi erano parrocchie del distretto di Feltre che possedevano ampi pascoli nella valle, che affittavano a famiglie forestiere di nobili feltrini o trevisani, da cui ricavavano rendite in denaro e in formaggio.
Per le popolazioni di montagna era strategico poter disporre delle risorse dei boschi e dei pascoli che permettevano di far fronte alla scarsità delle rendite dei pochi terreni agricoli. Inserire nei mercati urbani risorse come il legname e, in alcuni casi, i minerali permetteva di far fronte alle carenze dell’economia di sussistenza e disporre della liquidità per acquistare derrate alimentari e beni diversi. Pertanto garantirsi il possesso di questo patrimonio era cruciale.
Come è cambiato il concetto di confine nel tempo?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo far parlare i documenti. La documentazione che abbiamo schedato durante il progetto fu raccolta nella seconda metà del Diciottesimo secolo per le attività diplomatiche dei commissari austriaci ai confini e, una volta cessata la loro utilità, furono concentrati dal Gubernium di Innsbruck in un’unica raccolta, dove agli inizi del Novecento fu riorganizzata con la denominazione di Ältere Grenzakten.
Le attività delle commissioni rientravano nelle politiche di riordino amministrativo, giudiziario e fiscale della monarchia asburgica iniziate negli anni Quaranta del Settecento e proseguite in seguito. Essi portarono a una generale riconfigurazione delle giurisdizioni amministrative e alla regolamentazione delle linee confinarie. Nel corso del secondo Settecento furono stipulate numerose convenzioni tra la Repubblica di Venezia e la monarchia asburgica, di cui furono incaricati commissari straordinari per i confini, che si estendevano dall’Istria al Mantovano. Fu perseguita una precisa definizione basata sull’antico possesso e su consuetudini incontrastate. Si giunse quindi alla stipula di trattati bilaterali che regolavano minuziosamente ogni possibile contenzioso definendo i termini delle rispettive sovranità con una precisa linea che seguisse i confini naturali, linee ideali che procedevano lungo le creste dei monti o il corso dei fiumi (ove possibile). Queste linee di demarcazione finiranno per costituire il fronte austro-italiano fino alla Grande Guerra.
L’apparato della diplomazia internazionale si alternava in una serie di colloqui ufficiali e di trattative private, in una commistione di incontri di carattere confidenziale e di rigido cerimoniale.
Il processo di definizione dei confini era frutto di negoziazioni a vari livelli e di atti concreti e coinvolgeva una pluralità di soggetti e di interessi. Per comprovare i titoli di possesso dei villaggi su boschi, pascoli, malghe i villaggi dovevano presentare i titoli giuridici. Quando non vi erano i documenti si ricorreva alla memoria degli abitanti più anziani, cui era assegnato il compito di trasmettere quei saperi che garantivano alla collettività il godimento dei beni comuni (pascoli e boschi). Costoro erano chiamati a deporre sulla collocazione dei cippi confinari, in genere pietre con incise delle croci, oppure se il confine correva nell’alveo di un fiume oppure nei pressi di un masso. Quando la memoria non andava così indietro nel tempo si procedeva in questo modo: «nelle cose antique eccedenti la memoria degli huomini, è bastevole che i testimonii dicono d’haver udito per fama qualli essere li confini veri di qualche locho …».
Qual è stato, dunque, il risultato finale del progetto e come possono essere impiegati i dati raccolti?
Grazie agli strumenti digitali e alla schedatura informatizzata è stato possibile sanare virtualmente la frattura della sezione “IV. Tirol gegen Venedig” degli “Ältere Grenzakten”. Ora il pubblico dispone di uno strumento di accesso alla grande raccolta documentaria sui confini dell’Europa moderna conservata nei due Archivi di Stato di Innsbruck e Trento. Esso costituisce un rilevante tassello per la ricostruzione della storia delle relazioni internazionali tra la repubblica di Venezia e la monarchia asburgica. Questo materiale, quasi ignoto fino a poco tempo fa, viene messo a disposizione del pubblico e degli specialisti grazie ai due nuovi inventari online dai quali si può iniziare un percorso di approfondimento per tesi di laurea e di dottorato tanto in Italia quando in Austria, in particolare per chi si interessa della storia dei territori di confine con l’Alt Tirol.
Immagine di copertina: Archivio di Stato di Trento, Atti dei confini, Serie II, Primiero, Fiemme, Fassa, b. 36, 1842-1911, progetto per le gallerie delle miniere di Vallalta, Mis e Sagron.