Il velo nel mondo islamico (e non)
Negli ultimi anni, in particolare dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 11/09/2001, è stata posta una crescente attenzione sul mondo islamico, fino ad allora genericamente associato a dune sabbiose ed appuntiti minareti e poi sempre più riconosciuto all’interno del mondo occidentale come insospettabile ed esotico inquilino della porta accanto
Si è diventati più consapevoli – sebbene spesso non in modo appropriato – di una cultura i cui tratti principali sono stati identificati con il divieto di consumo di carne di maiale, la prassi del digiuno nel mese del Ramadan, il fondamentalismo religioso spesso estremo e irrazionale, la concezione della donna all’interno della famiglia e della società. Ci si è chiesti fino a che punto l’Islam moderno fosse compatibile con l’idea di democrazia occidentale, istituendo quindi un parallelismo fra religione e politica. In particolar modo, sono diventati oggetto di interesse e curiosità le teste velate delle donne islamiche, i cui veli dalle molteplici fogge e colori sono diventati in un certo senso il simbolo della religione musulmana ma anche della sottomissione e del controllo sulla donna che vive in questo tipo di contesto.
Tuttavia, questa visione appare riduttiva e parziale, dato che il velo (hijab, “tenda” in arabo) ha una storia molto più articolata e origini che risalgono a prima dell’Islam, nonché testimonianze di utilizzo anche nel mondo occidentale stesso.
BREVE STORIA DEL VELO FEMMINILE
Basta pensare ad un affresco quattrocentesco, alle raffigurazioni della Vergine Maria o leggere le novelle medioevali sull’amor cortese per accorgerci che l’usanza di velare il corpo non è prerogativa della cultura musulmana. Le patrizie romane lo indossavano per rimarcare il loro status sociale, le dame di corte se ne adornavano timidamente il capo come simbolo di riserbo e purezza, tutt’oggi alcune anziane signore del Sud Italia lo indossano in segno di lutto o come simbolo di reverenza a Dio. Il comun denominatore è sempre uno: rendere “sacre” le parti del corpo che vengono coperte, non solo le teste, ma anche le mani guantate e le gambe inguainate in calze di seta. Similmente, scoprire il corpo comunicava una maggiore disponibilità sessuale dello stesso. Nel corso dei secoli, si è verificato uno “svelamento” del corpo femminile, in maniera diversa e con significati diversi. In alcuni casi, c’è stata addirittura un’alternanza negli usi del velo, come per esempio in Iran: negli anni trenta del Novecento, alle donne veniva tolto il velo con la forza per omologare il Paese all’ideale occidentale moderno mentre, in seguito alla rivoluzione sciita del 1978-79, si è fatta strada nuovamente l’dea di un islam utopistico a contraltare del Neoliberalismo americano. Nel 1982, in Iran viene reintrodotto l’obbligo di velarsi il capo – sia per le donne residenti che per le turiste di passaggio – obbligo tuttora in vigore. Il velo assume in questo contesto una connotazione prevalentemente politica (similmente anche in Turchia e Tunisia), che ha più a che fare con l’imposizione di un’ideologia piuttosto che con il credo religioso.
Allo stesso modo, l’introduzione del burqa (velo integrale che lascia intravedere gli occhi solo attraverso una piccola grata) da parte dei talebani afgani negli anni novanta, non ha nulla a che vedere con un obbligo teologico, ma è essenzialmente un’interpretazione estrema e politicizzata del Corano, testo di per sé polisemico che si presta a svariate interpretazioni.
Attualmente, l’utilizzo e il significato del velo per le donne di fede musulmana varia da Paese a Paese e, soprattutto nelle seconde generazioni, viene vissuto in modo diverso da persona a persona e talvolta contrastante. Vediamo perché.
PERCHÉ SI INDOSSA IL VELO?
Perché vediamo spesso le donne musulmane portare il velo? Che significato hanno i diversi tipi di velo? È una questione di imposizione o di volontà?
Domande legittime, ma a cui è impossibile dare una risposta univoca, per non incorrere in una banalizzazione e semplificazione del pluri-sfaccettato mondo musulmano. In linea generale, i musulmani osservanti prevedono che una bambina inizi a portare il velo con l’età dello sviluppo, ovvero dopo la comparsa della prima mestruazione. Dopo questo primo passo – che comunque non è obbligatorio né uguale per tutte – l’utilizzo del velo diventa però un’espressione di fede a Dio da parte della donna, un atto di Fede a tutti gli effetti, un modo per compiacere il Divino. Non è più un simbolo religioso e culturale ma un modo intimo e personale di espressione religiosa.
Contrariamente a quanto si pensa, infatti, nel Corano non viene sancito esplicitamente l’obbligo di velare il capo bensì di non ostentare il proprio corpo e di osservare un comportamento modesto.
“E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare” (Sura XXIV, v.31)
Portare il velo non dovrebbe quindi essere un obbligo, ma piuttosto una questione di coscienza e responsabilità individuale fra Dio e il fedele, la cui dimensione secondo l’Islam si articola su tre assi (rapporto con Dio, rapporto con se stessi, rapporto con la società e l’ambiente in cui si vive).
Ma allora perché l’uomo non è chiamato ad osservare un simile dettame, per esprimere la sua devozione? Anche qui, sarebbe affrettato giudicare la non usanza del velo da parte degli uomini musulmani sulla base della presunta sottomissione da essi operata nei confronti delle donne. Va infatti ricordato che l’Islam è una religione di ortoprassi, caratterizzata da svariati gesti e atti che il fedele è chiamato a compiere nel corso delle sue giornate e della sua vita di credente, come per esempio la recitazione delle cinque preghiere giornaliere, il pellegrinaggio alla Mecca, l’osservanza del digiuno durante il Ramadan e molti altri. Sono azioni che servono a riequilibrare la spiritualità della persona e a rinnovare il suo rapporto con Dio. È chiaro quindi che anche l’uomo musulmano ha la sua parte di ritualità da seguire, sebbene diverse da quelle della donna.
IL VELO COME MEZZO DI RIAPPROPRIAZIONE IDENTITARIA?
Abbiamo già più volte detto che l’analisi del mondo musulmano non può e non deve essere semplificata, ma deve essere puntualmente contestualizzata nel tempo storico e nello spazio geo-politico.
Per esempio, come viene visto l’utilizzo del velo da parte delle seconde generazioni di musulmani, nati in un Paese occidentale?
Il rapporto con il velo dipende in gran parte dalla famiglia di origine, che può caldeggiarne l’uso oppure lasciare la decisione all’arbitrio della donna. Alcune ragazze scelgono di non indossare il velo per sentirsi più occidentali, per non essere “diverse” dalle compagne di scuola ma anche per non incarnare lo stereotipo della donna musulmana sottomessa dapprima al padre e poi al marito.
Ci sono però anche molte ragazze che si velano il capo per riappropriarsi dell’identità ereditata dalla famiglia di origine ma i cui contorni sfumano e si confondono con quella del Paese in cui vivono. In questo senso, il velo si fa mezzo di ricostruzione identitaria, diviene un modo per non tagliare il cordone ombelicale con la culla originaria, per integrarsi proprio attraverso la propria “alterità”.
Questo breve excursus non è che un fugace accenno a questo indumento che tanta parte ha avuto nel corso della storia e trova varie ricollocazioni anche nella letteratura e nell’iconografia. Affascina ma al tempo stesso inquieta, perché velando copre, lasciando però intravedere sotto il suo manto etereo mondi lontani, eppure vicini.
Fonti: Relazioni dell’incontro “Il velo nel mondo islamico” con Sumaya Abdel Qader (dott.ssa in Biologia e Mediazione Linguistica e Culturale) e Sara Hejazi (ricercatrice FBK-ISR, antropologa e giornalista).