Povertà lavorativa in Italia: cos’è e come combatterla
Partendo da una discussione dei meccanismi che conducono a situazioni di povertà lavorativa, Andrea Garnero, ospite del centro di ricerca FBK-IRVAPP, ha presentato i dati relativi a estensione e caratteristiche del fenomeno in Italia e le cinque proposte elaborate per il Ministero del Lavoro per contrastare sia il diffondersi delle basse retribuzioni lavorative, sia la crescita della povertà nei nuclei familiari
In Italia un quarto dei lavoratori ha una retribuzione individuale bassa (cioè, inferiore al 60% della mediana) e più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà (cioè, vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana).
Nel dibattito pubblico, la povertà lavorativa è spesso collegata a salari insufficienti mentre questa è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno), la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e l’azione redistributiva dello Stato.
“La povertà lavorativa – ha commentato il direttore di FBK-IRVAPP, Prof. Mirco Tonin – è un esempio di problema sociale complesso. Non è ovvio quali siano le misure più efficaci ad affrontarlo. Per questo è essenziale valutare in maniera rigorosa le politiche che si mettono in atto. FBK-IRVAPP si occupa proprio di questo, nell’ambito delle politiche del lavoro, ma anche di quelle educative, sociali, economiche.”
A margine della presentazione, ho rivolto alcune domande all’esperto.
Come viene definita la povertà lavorativa in Europa?
L’indicatore di povertà per occupati è stato definito nel 2003 e rappresenta una misura di povertà delle persone occupate. La necessità di un indicatore specifica si è creata con lo sviluppo della povertà lavorativa. In passato, avere un lavoro era sufficiente per non cadere in povertà. Da oltre un decennio non più. L’indicatore europeo permette quindi di misurare il fenomeno che è sempre la condizione necessaria per poi prendere misure al riguardo. Dal punto di vista tecnico, la condizione di povertà si misura in maniera relativa: una persona è povera se vive in un nucleo familiare il cui reddito disponibile (cioè, al netto delle disposte e comprensivo degli eventuali trasferimenti pubblici di cui si beneficia) equivalente (cioè pesato per il numero di componenti del nucleo familiare) è inferiore al 60% della mediana del reddito disponibile equivalente nazionale. La condizione di occupazione, invece, si riferisce solo a chi ha lavorato per più di metà dell’anno. Chi lavora solo un paio di mesi all’anno quindi non fa parte del campo di osservazione di questo indicatore e questo è un problema perché così i lavoratori più vulnerabili sono esclusi.
Che differenza c’è fra la situazione degli uomini e quella delle donne?
Controintuitivamente la percentuale di donne in situazione di povertà lavorativa è di molto inferiore a quella degli uomini: nel 2020 il 8,15% vs. il 12,4%. Questo però non significa che le donne siano favorite nel mercato del lavoro rispetto agli uomini, anzi. Questo risultato è conseguenza della misura che considera i redditi familiari e non quelli individuali. Le donne nel nostro paese sono ancora molto spesso il secondo percettore di reddito e, quindi, anche se i loro salari sono in media più bassi di quelli degli uomini e il part-time e i contratti a tempo determinato più diffusi, si trovano a vivere in nuclei familiari non poveri. Uno dei fattori di rischio più importanti è infatti il numero di percettori di reddito: i nuclei familiari in cui c’è un solo percettore di reddito, nella maggioranza dei casi un uomo, hanno un rischio di povertà lavorativa quattro volte più elevato dei nuclei in cui i percettori di reddito sono due.
Povertà e bassa retribuzione stranamente non coincidono, quali rischi emergono nella definizione delle politiche?
Le basse retribuzioni sono solo uno dei fattori di povertà lavorativa che dipende anche e soprattutto dai tempi di lavoro (tempo parziale e contratti temporanei) e dalla composizione del nucleo familiare e il numero di percettori di reddito. Se si vuole affrontare il problema della povertà lavorativa è dunque necessario mettere in campo delle politiche che affrontino il tema delle retribuzioni ma che considerino anche i tempi di lavoro, la continuità lavorativa, il numero di percettori e quindi il lavoro femminile e poi il ruolo del sistema fiscale e dei trasferimenti pubblici e in particolare, reddito di cittadinanza, l’assicurazione contro la disoccupazione, l’assegno unico per le famiglie.
La polarizzazione del confronto è nemica della comprensione dei fenomeni e rischia di aggravare le disuguaglianze. Come migliorare informazione e consapevolezza?
La ricerca e la valutazione delle politiche pubbliche svolgono un ruolo fondamentale non solo nel disegnare adeguatamente ed eventualmente aggiustare in corso d’opera le misure che sono state prese ma anche nel promuovere un dibattito che il più possibile parta dai fatti. Su molti temi controversi, come l’effetto del salario minimo sull’occupazione o il ruolo delle politiche attive o il disegno delle politiche di sostegno al reddito decenni di lavoro di analisi e ricerca hanno permesso di smussare le differenze e offrire alcuni punti fermi su cui impostare il dibattito. Per questo motivo è importante che la ricerca non resti appannaggio degli specialisti ma che sia disseminata anche presso il grande pubblico. Il confronto tra idee diverse resta comunque fondamentale perché alla fine qualunque politica pubblica è il frutto di una scelta valoriale e quindi politica e non puramente tecnocratica. Ma la ricerca può fornire gli elementi da cui partire.
In video, Garnero risponde infine ad altre tre questioni cruciali:
- Qual è la situazione in Italia?
- Quale impatto ha avuto la pandemia?
- Quali sono le proposte chiave per interrompere la “catena di produzione” della povertà?
Andrea Garnero (OCSE/JRC)
Economista del lavoro presso il Direttorato per l’Occupazione e gli Affari Sociali dell’OCSE, attualmente in sabbatico di ricerca presso il Joint Research Center della Commissione Europea. Ha ottenuto il PhD in economia presso la Paris School of Economics e l’Université Libre de Bruxelles. In precedenza, ha lavorato alla Direzione per l’occupazione e gli affari sociali della Commissione Europea e come assistente per gli affari economici e il G20 del Presidente del Consiglio. Dal 2017 al 2021 è stato membro del gruppo di esperti sul salario minimo del governo francese. Nel 2021 ha coordinato il gruppo di lavoro “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.