Sport e ricerca. Qualcosa che abbiamo in comune: l’irraggiungibile (?) perfezione
Concludiamo le quattro puntate di “FBK Magazine al Festival dello Sport” con una riflessione sull'aspirazione alla perfezione, punto di connessione tra il mondo rappresentatoci a Trento da tante campionesse e tanti campioni e quello che frequentiamo nella quotidianità della ricerca.
A far suonare sul mio taccuino (sì, avevo un taccuino) il campanello della similitudine tra l’atleta e la ricercatrice o il ricercatore è stato prima di tutto Filippo Tortu, velocista campione olimpico e vicecampione mondiale della staffetta 4×100 di atletica leggera. Intervistato sulla differenza di rendimento tra stagione individuale (corre i 200 metri, non benissimo il suo 2023) e di squadra (la staffetta, appunto, molto meglio), Tortu si è spiegato chiaramente: nelle gare individuali “ho sbagliato tante cose”. È una questione prettamente tecnica (“bacino troppo basso, approccio alla curva”), il che è tutto sommato un sollievo, perché ti dà una direzione sulla quale lavorare in allenamento. Quella stessa tecnica portata ai livelli più elevati che richiedono anche il passaggio del testimone nella staffetta, o una disciplina estremamente complessa come quella dei 400 ostacoli.
Uno dei momenti più alti degli eventi che ho potuto seguire al Festival dello Sport è stato l’incontro con Kevin Young, atleta che sui 400 ostacoli segnò nel 1992 un record del mondo destinato a durare per ventinove anni (46.78). Young ci ha parlato, con simpatia e brio, proprio della ricerca della tecnica senza difetti (il numero dei passi tra un ostacolo e l’altro, per esempio), della necessità di ripetere all’infinito un gesto per levare di mezzo anche le minime impurità, ci ha raccontato insomma di come aspirando alla perfezione si possa persino raggiungerla. E di come per ottenerla sia utile immaginarla: nessuno ai suoi tempi pensava che si potesse correre i 400 ostacoli in meno di 47 secondi. Per fissare bene in mente la fattibilità di quel tempo, Young era solito scrivere dappertutto (dai post-it fino ai muri) il crono perfetto: 46.89. Avrebbe fatto addirittura di meglio. Sarà per questo che la sua carriera agli altissimi livelli è durata, tutto sommato, poco tempo? Dove si possono trovare le motivazioni per migliorarsi quando sei consapevole che farlo è probabilmente impossibile, dato che hai raggiunto un livello fisico e tecnico difficilmente ripetibile?
La ricerca della perfezione è faticosa, anche perché insegue un obiettivo niente affatto scontato, al contrario, si tratta di un traguardo che quasi mai si è capaci di tagliare, Kevin Young a parte. Perché allora provarci? La risposta la troviamo anche nelle parole dell’ex-capitano della nazionale di basket, Luigi Datome: l’essenza dello sport è il superamento dei propri limiti e uno dei motori che alimenta il viaggio verso il superamento dei propri limiti è la curiosità. Di curiosità come motore dell’azione ci ha parlato, nella sua intervista, anche Anton Krupicka. Uno degli esempi portati da Datome in merito ha chiamato in causa il suo trasferimento in Turchia, dove ha giocato per cinque stagioni al Fenerbache Instanbul (vincendo molto, che male non fa), esperienza dalla quale si è portato dietro la fascinazione per una cultura che guarda a oriente e a occidente, fatta di stratificazioni. In Turchia ci è andato certo perché era una grande opportunità professionale, ma anche perché aveva voglia di conoscere, di imparare, di capire.
I desideri, appagati, di Datome aiutano a chiudere con una considerazione sulla similitudine proposta all’inizio. Per raggiungere dei risultati, nello sport come nella ricerca, serve certamente la motivazione. Per arrivare a determinati livelli ci vuole la predisposizione (si potrebbe chiamare anche talento), ma c’è pure tanta tecnica, fatta di prove, errori, limature, apprendimenti, confronti, ci sono il rigore e la determinazione… c’è l’allenamento, insomma.