Lavoro e sicurezza: con lo smartworking il rischio è informatico
L’emergenza Covid-19 ha spinto molte aziende a ricorrere al lavoro da remoto: quali sono i rischi informatici?
In queste settimane di emergenza gli italiani hanno scoperto un nuovo termine: smart working. Il lavoro da remoto, modalità utilizzata abitualmente in Italia solo dal 3,6% dei lavoratori secondo una recente indagine Eurostat, è diventata l’unica alternativa per milioni di persone nel nostro Paese. Un cambio di rotta forzato e, in alcuni casi, improvvisato, che nasconde qualche insidia: non solo problemi di produttività e strumenti a disposizione, ma anche di sicurezza informatica, soprattutto nel caso di attività che portano a gestire dati sensibili o a maneggiare documenti riservati.
Meglio utilizzare strumenti aziendali
“Il tessuto produttivo italiano – ha commentato Silvio Ranise, a capo del gruppo di lavoro Security & Trust in FBK – non era preparato e pertanto si cerca di far fronte ad una situazione inedita. Si sta facendo ricorso a tutti gli strumenti a disposizione inclusi quelli personali per poter contribuire almeno in parte alla produttività delle aziende”. Ma questo cosa comporta? La prima insidia arriva dagli strumenti: molti dipendenti sono costretti a lavorare da casa con dispositivi personali, facilmente attaccabili. I rischi sono diversi, dalla presenza di antivirus “deboli” (sempre che siano presenti) all’utilizzo di software non aggiornati e vulnerabili fino alla connessione con reti e modem non sicuri.
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