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Ancelle che escono dall’ombra? La dimensione professionale della donna nel corso dei secoli

20 Novembre 2020

Una riflessione sulla dimensione professionale femminile con Anna Bellavitis e Melania Mazzucco

Anche quest’anno, in occasione della settimana dedicata globalmente a combattere la violenza contro le donne, l’Istituto storico italo-germanico della Fondazione Bruno Kessler e la Fondazione Museo Storico del Trentino hanno proposto un incontro dal titolo “Un passo indietro: emarginazione professionale e violenza contro le donne”.

Nonostante lo spostamento al virtuale dettato dalla contingenza pandemica, il webinar è stato ben partecipato e ha visto alternarsi al microfono la storica Anna Bellavitis e la scrittrice Melania Gaia Mazzucco, che si sono confrontate sul tema del lavoro femminile nei secoli sia dal punto di vista di impiego finalizzato al mantenimento economico, sia da quello della realizzazione personale.

La professoressa Bellavitis ha fatto un interessante excursus sulla storia del lavoro nei secoli scorsi, che ha visto la donna muoversi con difficoltà a livello professionale: fino al ‘700 inoltrato, infatti, le donne non ricevevano alcuna formazione, non potevano andare all’università ed erano escluse, per esempio, dalle corporazioni artigiane seicentesche, che le includevano o meno solo a seconda del proprio tornaconto (es.: per far pagar loro le tasse, per non avere la loro concorrenza sul mercato, ecc.). Di fatto, però, le donne lavoravano, eccome: oltre alla gestione dei figli e della casa, spesso aiutavano i mariti in bottega, si prendevano cura degli animali, si occupavano della vendita di prodotti agricoli al mercato, coltivavano la terra. Eppure, questi lavori non erano conteggiati come tali, spesso non erano nemmeno retribuiti e di sicuro non erano professionalizzanti. Le donne o erano mogli di qualcuno  – che contestualmente aiutavano negli affari – o facevano lavori precari non riconosciuti dalla società. Si muovevano nella dimensione del “fare” piuttosto che in quella dell’ “essere”.

Sovente erano le loro stesse famiglie a ostacolarle, magari per favorire i figli maschi, chiudendole in convento o relegandole al ruolo di mogli, figlie, aiutanti. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni che Melania Mazzucco ha ritenuto fosse doveroso ripescare dall’oblio e documentare con approfondite ricerche storiche trasposte poi sul piano narrativo dalla sua abile e prolifica penna. La dott.ssa Mazzucco ha voluto dare voce, nei suoi romanzi, a Marietta Tintoretto, figlia del celebre pittore omonimo, anche lei pittrice grazie al padre che l’ha sostenuta e incoraggiata in tal senso; e, in particolare, all’incredibile figura di Plautilla, protagonista de L’architettrice (Einaudi, 2019), anch’essa figlia d’arte che ha avuto la possibilità di dedicarsi allo studio dell’architettura – da qui il titolo del libro – grazie al padre che la supportò e aiutò nel suo percorso non privo di ostacoli.

In alcuni, fortunati casi – non descritti questi nei libri della Mazzucco – è stato lo stesso governo a farsi promotore di alcune donne: pensiamo per esempio a Cassandra Fedele, umanista quattrocentesca sostenuta dal governo veneziano o a Laura Bassi, fisica teorica e scienziata naturale che nel ‘700 venne coinvolta attivamente nel rilancio dell’ateneo bolognese.

Si delineano così sullo sfondo poliedrico del passato tutta una serie di figure femminili che sono riuscite a riscattarsi dal ruolo ancillare di mera cura del focolare domestico uscendo dall’ombra per dedicarsi ad una professione e ad una passione amata, venendo riconosciute dalla società nella loro identità lavorativa.

Voci spesso sfumate nelle pieghe del tempo, figure da taluni ritenute addirittura leggendarie, a cui Melania Mazzucco ha saputo restituire il posto che avevano di diritto nella storia della donna e della società.


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