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La diffusione dell’automazione in Europa e l’impatto sulla diseguaglianza dei redditi familiari

2 Ottobre 2023

Piotr Lewandowski, noto economista polacco, ha presentato i risultati preliminari di uno studio di ricerca congiunto volto a valutare l'impatto dell'automazione (robot industriali) sulla diseguaglianza dei redditi delle famiglie in 14 Paesi europei.

Piotr Lewandowski è economista del lavoro e Presidente del consiglio di amministrazione dell’Institute for Structural Research (IBS) di Varsavia, Polonia, nonché ricercatore presso l’IZA di Bonn e la RWI di Essen. Nel seminario tenutosi il 12 settembre 2023 Piotr Lewandowski ha presentato i risultati preliminari di uno studio di ricerca congiunto volto a valutare l’impatto dell’automazione (robot industriali) sulla disuguaglianza dei redditi delle famiglie in 14 Paesi europei nel periodo compreso tra il 2006 e il 2018, caratterizzato dalla rapida adozione dei robot industriali. Per capire la dimensione dei risultati di questa ricerca, abbiamo rivolto alcune domande a Piotr Lewandowski.

  • Che impatto ha avuto la diffusione dell’automazione sul tasso di disoccupazione e sul reddito delle famiglie?

Nell’ultimo decennio si è cercato di comprendere come il crescente processo di automazione, in particolare la diffusione dei robot industriali, abbia influito sui mercati del lavoro dei diversi Paesi. Considerando anche la letteratura in questo settore, la mia interpretazione è che non possiamo dire con certezza se i robot stiano riducendo l’occupazione e i salari, perché i risultati differiscono molto a seconda della regione e dell’area geografica considerata. Le ricerche condotte negli Stati Uniti, ad esempio, mostrano spesso che i robot hanno degli effetti negativi sul mercato del lavoro. Tuttavia, gli studi sui Paesi europei o sul Giappone mostrano che questi effetti sono molto più limitati o addirittura positivi.

Nel nostro studio ci sforziamo di valutare gli effetti occupazionali e salariali della penetrazione dei robot e di valutare le implicazioni per la diseguaglianza dei redditi delle famiglie. Si tratta di un aspetto cruciale, perché negli Stati con un modello sociale come quello europeo i sistemi fiscali e previdenziali rispondono essenzialmente a ciò che accade sul mercato del lavoro con i redditi delle famiglie piuttosto che con i salari in sé. Abbiamo evidenziato come i robot, in definitiva, abbiano avuto solamente un piccolo impatto negativo sui salari e sui tassi di disoccupazione dei gruppi di lavoratori più esposti.

Tuttavia, nonostante l’impatto negativo dell’automazione sul mercato del lavoro, le sue conseguenze sulla diseguaglianza dei redditi delle famiglie sono molto ridotte o quasi inesistenti. Questo è dovuto principalmente al fatto che i sistemi previdenziali in Europa hanno ampiamente compensato gli shock negativi sul reddito causati dall’automazione.
In un certo senso, quindi, gli Stati di cui sopra hanno saputo rispondere e reagire a questa sfida. Anche se c’è un impatto negativo sull’occupazione, nella maggior parte dei Paesi le persone ricevono un reddito sostitutivo che è più o meno sufficiente a compensare tale riduzione. La diseguaglianza è aumentata in molti Paesi negli ultimi 15-20 anni. Tuttavia, il nostro studio dimostra che è improbabile che siano stati i robot a determinare questo fenomeno. Altri fattori, forse legati al commercio e a scelte politiche che hanno limitato la redistribuzione del reddito, hanno probabilmente svolto un ruolo più importante.

  • Ci sono differenze, ad esempio, negli effetti che si verificano nel mercato del lavoro, in termini di salari e tassi di occupazione, in alcuni Paesi rispetto ad altri? E quali variabili macro e microeconomiche giocano un ruolo chiave in questo processo?

Il nostro studio mostra chiaramente che gli Stati sociali hanno svolto un ruolo chiave nell’attutire gli shock del mercato del lavoro dovuti all’automazione. Paesi come il Belgio o la Germania hanno subito forti shock del mercato del lavoro causati dall’automazione, ma la risposta dei sistemi fiscali e di welfare è stata piuttosto forte ed estesa. Tuttavia, questo non è avvenuto in altri Paesi, soprattutto nell’Europa dell’Est. La qualità e la forza della sicurezza sociale variano quindi da Paese a Paese, e certamente questo influisce sul modo in cui gli shock del mercato del lavoro influenzano il tenore di vita. Anche le istituzioni del mercato del lavoro sono importanti: ad esempio, la legislazione sulla protezione dell’occupazione, i salari minimi o la contrattazione collettiva, i sindacati, ecc.

Purtroppo, sappiamo ancora molto poco di come questi fattori influenzino l’impatto dell’automazione. Sappiamo che Paesi come la Germania sono stati più resistenti all’automazione rispetto agli Stati Uniti. Probabilmente, la forte contrattazione collettiva e i sindacati in grado di negoziare con i datori di lavoro varie azioni volte a garantire i posti di lavoro in Germania hanno giocato un ruolo fondamentale. Ma questo non basta per sostenere che un altro Paese, come l’Italia o la Polonia, dovrebbe adottare il modello tedesco di contrattazione collettiva e trarne gli stessi benefici. Il modello e il funzionamento delle istituzioni del mercato del lavoro dipendono dalla loro storia, dalle norme sociali, dal capitale sociale, ecc. Quindi, per concludere, lo stato sociale è chiaramente importante per attutire gli shock del mercato del lavoro. Ma non esiste un modello perfetto di contrattazione collettiva, di salario minimo o di protezione dell’occupazione che massimizzi i benefici dell’automazione o del commercio in ogni Paese.

  • Pensa che ci siano delle politiche economiche in grado di influenzare l’impatto della penetrazione dell’automazione industriale?

Le tecnologie potenzialmente in grado di sostituire le persone, ad esempio i robot specializzati, hanno due possibili effetti. In primo luogo, migliorano la produttività, in quanto i prodotti possono essere realizzati più velocemente e con una qualità superiore. Ciò consente alle aziende di crescere e di assumere più lavoratori. In secondo luogo, riducono la domanda di lavoro a un determinato livello di produzione. L’effetto complessivo sull’occupazione dipende quindi da quale dei due fattori prevale: la scala o la sostituzione. Questo equilibrio può variare a seconda dei settori o dei prodotti. La risposta del commercio è importante: se l’automazione consente alle imprese di aumentare le loro quote di mercato globale, l’aumento della scala dell’attività può compensare l’effetto di sostituzione del lavoro dovuto all’adozione delle tecnologie di automazione. Questo processo potrebbe persino portare ad un aumento dell’occupazione. Credo quindi che parte della sfida consista nell’identificare le aree in cui l’automazione può effettivamente portare ad un aumento della produzione grazie ad una maggiore efficienza e a prezzi più bassi, innescando così una crescita legata al commercio.

Per esempio, sappiamo che c’è un’enorme richiesta di energia rinnovabile, quindi probabilmente dovremmo investire di più nell’automazione che aiuterebbe a produrre più pannelli solari o turbine eoliche in modo più economico. Sappiamo che ci sarebbe un grande mercato per questi prodotti. Ma l’automazione in un settore in cui la domanda è più o meno satura, come nel caso del settore automobilistico, avrà effetti di sostituzione più forti, perché le vendite di auto non esploderanno solo perché possiamo produrle più velocemente. I call center sono un esempio ancora più estremo. I chat bot potrebbero automatizzare i call center, ma nessuno chiamerà più l’assistenza clienti solo perché i chat bot sono più economici e possono rispondere tutto il giorno. Le politiche pubbliche potrebbero quindi cercare di indirizzare gli sforzi e incoraggiare una maggiore automazione e innovazione in quelle aree in cui è possibile ottenere questa espansione, come i settori delle energie rinnovabili.

  • Lei ha anche studiato un tema molto caldo come l’effetto delle politiche climatiche ed energetiche sul mercato del lavoro, può quindi dirci qualcosa al riguardo?

Le transizioni climatiche ed energetiche hanno anche importanti implicazioni per il mercato del lavoro. I posti di lavoro ad alta intensità di carbonio subiscono uno shock negativo potenzialmente significativo, sia perché la produzione è ad alta intensità di energia, sia perché vengono prodotti rifiuti o materiali che non sono affatto rispettosi dell’ambiente. Ciò include l’estrazione del carbone e la generazione di energia, ma anche l’industria siderurgica, chimica, petrolchimica e del cemento che hanno processi industriali ad alta intensità di carbonio.

La transizione climatica ed energetica ridurrà la domanda di lavoratori nei settori ad alta intensità di carbonio, ma cambierà anche la domanda di competenze. Sarà ancora più visibile a livello aggregato: la transizione crea molti posti di lavoro, ma questi richiedono competenze molto diverse rispetto ai lavori tradizionali che diventeranno quindi obsoleti. Questo processo rappresenterà soprattutto uno shock di riallocazione che avrà una dimensione geografica molto importante. Le aziende che soffriranno perché la produzione è ad alta intensità di energia o di carbonio tenderanno a raggrupparsi in poli industriali, mentre i nuovi posti di lavoro che emergeranno saranno dislocati in altri luoghi o maggiormente distribuiti. I divari e le diseguaglianze potranno condurre alcuni lavoratori a guadagnare di più e quelli, invece, più svantaggiati, avranno difficoltà a spostarsi in settori diversi.

All’interno di questo scenario, le politiche educative, in particolare, dovrebbero essere orientate al futuro, per indirizzare i più giovani verso nuovi percorsi lungimiranti. È molto importante investire nell’apprendimento permanente, ma dobbiamo riconoscere che sarà anche molto difficile. È intrinsecamente difficile infatti, riqualificare persone che hanno lavorato per molti anni in industrie manifatturiere ad alta intensità di carbonio. Le autorità dovrebbero cercare di identificare i lavori con competenze simili e trasferibili e considerarli come delle possibili alternative.

  • Secondo lei, l’avanzamento e l’emergere dell’intelligenza artificiale come evoluzione o integrazione del lavoro già svolto dai robot industriali, soprattutto nel settore del terziario avanzato (o quaternario), che impatto avrà sul mercato del lavoro dei Paesi europei?

Si tratta di una domanda impegnativa, poiché queste nuove tecnologie non sono ancora state adottate su larga scala e ci sono pochissimi studi sul loro impatto effettivo. Al momento abbiamo piuttosto delle ipotesi.
L’adozione diffusa delle tecnologie di intelligenza artificiale porterà chiaramente l’automazione al di là dei lavori di routine che potevano essere automatizzati con le tecnologie precedenti, indirizzandola verso compiti cognitivi a minore intensità di routine. In passato, con i computer e i robot industriali, le attività lavorative svolte da persone che avevano elevate competenze matematiche, capacità relazionali e conoscenze molto specifiche, come nei servizi legali, nelle traduzioni o in altri campi, non potevano essere sostituite dalle tecnologie; al contrario, il progresso tecnologico avvantaggiava i lavoratori in possesso di tali competenze. Ora è diverso, c’è il rischio che alcuni dei lavori cognitivi più qualificati vengano sostituiti da queste tecnologie di IA, ma ci sono anche due opportunità.

La prima è che possiamo utilizzare alcune di queste tecnologie per migliorare le condizioni di vita delle persone che sono, diciamo, meno privilegiate.
Ad esempio, molti bambini delle zone rurali non hanno insegnanti altrettanto bravi dei bambini che vivono in città. Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, possiamo migliorare l’accesso a ciò che le persone possono imparare o alle risposte che possono ottenere. Penso che questo rappresenti un’opportunità, ma anche una sfida per la politica.

In secondo luogo, la maggior parte dei Paesi europei, soprattutto quelli come l’Italia e la Polonia, si trovano ad affrontare un rapido invecchiamento della popolazione. Il numero di persone che entrano nel mercato del lavoro è in calo e in molte professioni emerge una carenza di manodopera. L’Europa ha sempre meno lavoratori e rimane incerta ad accettare un maggior numero di immigrati provenienti da Paesi terzi. La crescita dell’IA crea opportunità in questo contesto, in quanto consente l’automazione di alcune mansioni in occupazioni con carenza di lavoratori. In un certo senso, l’IA potrebbe arrivare al momento giusto per alleviare queste carenze. Tuttavia, si tratta di una sfida per la politica, poiché dobbiamo pensare a quali siano le applicazioni più utili di queste tecnologie in un futuro non troppo lontano. I benefici per la società derivanti dal “miglior uso dell’IA” potrebbero non essere necessariamente allineati con i benefici privati delle aziende che adotteranno effettivamente queste tecnologie.
In conclusione, poiché l’offerta di lavoro in Europa è destinata a diminuire e la carenza di lavoratori a crescere, le tecnologie di IA potranno aiutarci ad aumentare la produttività e a migliorare la qualità del lavoro, ma potranno anche portare ad un aumento della disoccupazione.


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